Per la prima volta, un gruppo di ricercatori (università di Bologna e di Manchester) è riuscito a paragonare le caratteristiche di nano-nodi realizzati su catene molecolari di lunghezza diversa. Una scoperta che apre la strada alla nascita di una nuova generazione di materiali, più leggeri, resistenti e flessibili
Lo sanno bene scalatori e marinai: quando si parla di nodi, lunghezza, tensione e tenuta sono fattori in grado di fare la differenza in modo significativo. E lo sanno altrettanto bene i chimici, che spesso hanno a che fare con intrecci simili ma molto più piccoli, a livello molecolare. Se però è semplice confrontare e valutare nodi diversi nel mondo macroscopico, quando le dimensioni diventano nanometriche le cose si fanno molto più complicate.
Una soluzione arriva ora grazie al lavoro di un gruppo di ricerca delle università di Bologna e di Manchester, che per la prima volta è riuscito a paragonare le caratteristiche di nano-nodi realizzati su catene molecolari di lunghezza diversa. I risultati dello studio, pubblicati su «Pnas», aprono la strada a future applicazioni tecnologiche da cui potranno nascere materiali di nuova generazione, più leggeri, resistenti e flessibili.
Nodi nanometrici
La formazione di nodi o di intrecci a livello molecolare è un fenomeno comune in natura, che si può osservare in biomolecole come le proteine o il Dna. Ed è prendendo spunto proprio da queste strutture naturali che negli ultimi anni gli scienziati sono riusciti a sviluppare strategie per realizzare nano-nodi artificiali, intrecciando molecole ottenute per sintesi chimica e congiungendo le loro estremità.
«Questi nodi molecolari presentano un’architettura che mostra diverse analogie con i nodi macroscopici – spiega il professor Matteo Calvaresi, che ha coordinato il gruppo di ricerca dell’Università di Bologna -. Ma se nella vita quotidiana è abbastanza facile rendersi conto di come la differente lunghezza di un nodo può influenzare la sua tenuta e le sue proprietà macroscopiche, quando si tratta di nano-nodi fare le stesse valutazioni non è così immediato». Questo perché fino ad oggi non era possibile confrontare tra loro, a livello molecolare, nodi di diverse dimensioni, lunghezza e tenuta.
Tre nano-nodi a confronto
A riuscirci, per la prima volta, è stato il gruppo di ricerca anglo-italiano guidato dal professor David Leigh dell’Università di Manchester, che già nel 2017 era entrato nel Guinness dei primati per aver realizzato il nodo molecolare più piccolo al mondo. Con questo nuovo lavoro, gli scienziati sono riusciti ad annodare allo stesso modo tre catene molecolari di tre lunghezze diverse: 20, 23 e 26 nanometri. Sono così nati tre nodi con la stessa forma ma legati su fili molecolari di dimensioni differenti, che i ricercatori hanno potuto mettere a confronto, evidenziandone le diverse caratteristiche.
«Confrontando questi tre nano-nodi – dice il professor Calvaresi – abbiamo scoperto come la struttura, la dinamica e la reattività delle catene molecolari annodate variano sensibilmente in funzione della lunghezza e quindi della rigidità del nodo. L’esempio più evidente, in questo senso, è che i tre nodi, quando sottoposti a stress, presentano tre diversi punti di rottura».
Nanomateriali annodati
I ricercatori, insomma, sono riusciti a creare dei modelli capaci di spiegare come la dimensione dei nano-nodi riesce ad influenzare la loro tenuta e le loro proprietà chimico-fisiche: la diversa tensione degli intrecci e il diverso scorrimento del filo molecolare determina le differenti caratteristiche delle tre molecole. Un risultato che può rivelarsi particolarmente rilevante per l’ideazione di nuovi nanomateriali.
«Questo lavoro – conferma Matteo Calvaresi – è di fondamentale importanza per la progettazione di materiali molecolari annodati: la scoperta delle proprietà che regolano i nano-nodi permetterà in futuro di intrecciare molecole in maniera tale da generare on demand una nuova generazione di materiali più leggeri, resistenti e flessibili».
I protagonisti dello studio
La ricerca è stata realizzata da ricercatori dell’Università di Manchester (Regno Unito) e dell’Università di Bologna. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista «Pnas» con il titolo «Effects of knot tightness at the molecular level».
Per l’Università di Bologna hanno collaborato Matteo Calvaresi, Francesco Zerbetto e Angela Acocella del Dipartimento di Chimica «Giacomo Ciamician».
(Fonte Alma Mater Studiorum – Università di Bologna)