Al momento in Puglia non risultano particolari criticità ma ciò non toglie che l’attenzione vada tenuta alta intensificando i punti di monitoraggio nei corpi idrici superficiali e sotterranei ed ostacolando eventuali traffici illeciti di matrici inquinate provenienti dalle aree in cui sono state riscontrate importanti contaminazioni. Intervista a Vito Felice Uricchio, direttore dell’Istituto di ricerca sulle acque del Consiglio nazionale delle ricerche (Irsa-Cnr)
Uno studio choc del gruppo di ricerca del professor Carlo Foresta dell’Università di Padova sulle ventenni residenti nell’area rossa veneta ad alto inquinamento Pfas ha evidenziato come i composti perfluorurati alterano la funzione dell’utero interagendo col progesterone e bloccano i meccanismi che regolano il ciclo mestruale, l’annidamento dell’embrione e il decorso della gravidanza. Inoltre alterano la regolarità del ciclo mestruale e ritardano la comparsa delle prime mestruazioni.
Un risultato a cui si è giunti dopo anni di lavoro del gruppo di ricerca che ha valutato l’effetto dei composti sul progesterone analizzando, in cellule endometriali in vitro, come gli stessi interferiscano vistosamente sulla attivazione dei geni endometriali attivati dal progesterone.
Abbiamo voluto fare il punto della situazione in argomento con il dott. Vito Felice Uricchio, direttore dell’Istituto di ricerca sulle acque del Consiglio nazionale delle ricerche (Irsa-Cnr).
I composti perfluorurati sono sostanze chimiche di sintesi che vengono utilizzate per rendere resistenti ai grassi e all’acqua tessuti, carta, rivestimenti per contenitori di alimenti, ma anche per la produzione di pellicole fotografiche, schiume antincendio, detergenti per la casa; possono essere presenti in pitture e vernici, farmaci e presidi medici. I composti sono ritenuti contaminanti emergenti dell’ecosistema data la loro elevata resistenza termica e chimica e in alcune regioni del mondo (Mid-Ohio valley negli Usa, Dordrecht in Olanda, e Shandong in Cina) ed in particolare in alcune zone della Regione Veneto, soprattutto nelle falde acquifere delle Province di Vicenza, Padova e Verona, sono stati rilevati in quantità importanti tale da generare diffuso inquinamento del territorio…
Quale la situazione a livello internazionale e nazionale?
La significativa diffusione di questa famiglia di sostanze chimiche altamente fluorurate utilizzate a livello globale in applicazioni industriali e di consumo ne determina a livello internazionale una presenza che interessa le matrici ambientali e l’uomo.
Sono più di 3.000 le sostanze perfluoro-alchiliche (Pfas) attualmente utilizzate e che probabilmente sono sviluppate ogni anno in alcune parti del mondo.
La caratteristica della elevata persistenza di tali sostanze chimiche comporta che esse siano state rinvenute in concentrazioni misurabili nel sangue della maggior parte delle persone dei Paesi industrializzati, compresa l’Italia. Gli effetti nocivi sulla salute legati all’esposizione ad alcuni Pfas come l’acido perfluoroottanoico (Pfoa) e l’acido perfluoroottansolfonico (Pfos) comprendono, tra gli altri, alterazioni della funzionalità epatica, livelli ormonali alterati e ridotto peso alla nascita (Agenzia per le sostanze tossiche e Registro delle malattie, 2018). La situazione italiana rispecchia quella internazionale con picchi registrati nelle note aree del Veneto. La questione in Italia è stata sollevata dal Cnr-Irsa che nel 2006 era coinvolta nel progetto europeo Perforce che fece emergere che il fiume Po presentava le concentrazioni massime di Pfoa tra tutti i fiumi europei. L’evidenza di una situazione di potenziale rischio ecologico e sanitario nel bacino del fiume Po portò nel 2011 alla stipula di una convenzione tra il ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare (Mattm) (Divisione V) e Irsa per «La realizzazione di uno studio del Rischio Ambientale e Sanitario associato alla Contaminazione da sostanze perfluoro-alchiliche (Pfas) nel Bacino del Po e nei principali bacini fluviali italiani». Tale progetto ha rappresentato il primo studio completo sulla distribuzione e le sorgenti dei composti perfluorurati nei principali bacini idrici italiani e gli eventuali rischi connessi alla loro presenza. Il progetto è stato strutturato in diverse attività di campo e di laboratorio.
Quali gli studi condotti o in essere in tema?
Dalla consultazione delle banche dati scientifiche emerge che sono migliaia le pubblicazioni internazionali sull’argomento e che
dal 2004 ogni anno il numero tende ad incrementarsi ed in soli 10 anni si è decuplicato a testimonianza della grande attenzione al tema.
Anche nel dibattito scientifico internazionale l’Irsa è tra gli Istituti di ricerca più attivi.
Quale la situazione a livello locale, in Regione Puglia?
Al momento in Puglia non risultano particolari criticità ma ciò non toglie che l’attenzione vada tenuta comunque alta intensificando i punti di monitoraggio nei corpi idrici superficiali e sotterranei ed ostacolando eventuali traffici illeciti di matrici inquinate provenienti dalle aree in cui sono state riscontrate importanti contaminazioni. La Puglia rientra tra le Regioni che ha predisposto un Piano di monitoraggio per i Pfas e l’Agenzia regionale per la protezione ambientale (Arpa) Puglia ha collaborato con l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), il Cnr-Irsa e l’Istituto Superiore di Sanità alla definizione delle Linea guida per il monitoraggio delle sostanze prioritarie che comprendono i Pfos.
Come poter contenere i danni dell’inquinamento Pfas in atto apportando rimedi e soluzioni al problema?
Il modo più efficace per poter contrastare l’inquinamento è agire sulla prevenzione evitando l’impiego di tali sostanze e controllando le importazioni di beni da Paesi meno sensibili al problema. In aggiunta è possibile agire sulla depurazione delle acque reflue sia urbane sia industriali al fine di impedire che tali sostanze vengano disperse nell’ambiente, anche se in tale direzione occorre un ulteriore sforzo della ricerca per abbattere i costi della depurazione.
Cosa prevede la norma in argomento e quali le migliorie da apportare per rendere più sicuro il nostro ambiente?
I primi provvedimenti normativi dell’Unione europea che hanno introdotto restrizioni all’uso del Pfos risalgono al 2006, la Regione Veneto ha legiferato in materia mentre a livello europeo e nazionale sono in corso di definizione normative riferite alle acque potabili.
Come l’Irsa, e l’apparato della ricerca scientifica in generale, le sta gestendo e quali le programmazioni future?
L’impegno dell’Irsa è plurimo ed agiamo a differenti livelli che coinvolgono i seguenti ambiti: a) lo sviluppo di metodi analitici in grado di rilevare in maniera esatta e riproducibile il dato riferito alla presenza degli inquinanti (tra cui i Pfas) nelle matrici ambientali ed in particolare riferite alle acque; metodi che sono utilizzati dagli organi di controllo, società di gestione, privati, etc.; b) la definizione di protocolli operativi di controllo in collaborazione con le Forze dell’Ordine ed in particolare con la Guardia di Finanza in porti, aeroporti e sul territorio, contrastando traffici illeciti che comportano l’introduzione sul territorio nazionale di tali sostanze (che spesso si rinvengono nelle acque reflue e nei corpi idrici; c) lo sviluppo di sistemi sensoristici avanzati volti alla rilevazione remota di sostanze inquinati; d) l’implementazione di sistemi innovativi di depurazione delle acque reflue civili ed industriali per la rimozione efficiente di tali contaminati batteri; e) lo sviluppo di strategie di bonifica matrici inquinate.
Elsa Sciancalepore