Le praterie del Sud, ma chi ci pensa?

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Parco Alta Murgia
Uno scorcio del Parco nazionale dell'Alta Murgia
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Un Progetto finanziato con il Programma Life riferito alla conservazione di praterie in Ungheria, potrebbe interessare anche il Sud Italia, Puglia in particolare, solo se le autorità regionali se ne rendessero conto. In Ungheria il progetto potrà funzionare moltiplicando i fattori di investimento virtuoso per la conservazione fino a 72 milioni di Euro

Tra i progetti recentemente finanziati dalla Commissione Ue con il Programma Life bandito nel 2017, ve n’è uno di particolare interesse perché riferito alla conservazione di praterie in Ungheria. Nonostante la localizzazione, questo progetto potrebbe interessarci perché l’Italia è uno dei Paesi europei che detiene un’importante quota di distribuzione di praterie mediterranee (certo molto diverse da quelle Pannoniche oggetto del progetto ungherese) che stanno col tempo modificandosi a causa della riduzione drammatica del pascolo, soprattutto ovino.

Il progetto (titolato «Life-Ip Grassland-HU»), proposto da una serie di Parchi Nazionali magiari, dalla Camera di agricoltura ungherese e dalla sezione ungherese dell’associazione protezionistica BirdLife international, si propone molteplici obiettivi strategici: la gestione delle praterie per la conservazione della natura, il controllo dell’incremento di arbusti e della riforestazione delle praterie, la riduzione della frammentazione degli habitat e della scomparsa dei corridoi ecologici, il controllo delle specie invasive, il contrasto all’abuso ed allo sfruttamento eccessivo di terreni e di risorse naturali (comprese le attività del settore turistico), la sensibilizzazione degli agricoltori e degli allevatori per sostenere la conservazione della natura, la gestione ottimale dei livelli delle acque e la revisione delle misure di conservazione per le specie e per gli habitat prioritari.

Tra i risultati attesi spiccano il miglioramento dello stato di conservazione di praterie seminaturali e di habitat correlati di importanza comunitaria in 30 siti di rete Natura 2000; l’acquisto di 77 ettari di terreno per la conservazione di specie ed habitat; la conversione in pascolo di 40 ettari di terra arabile; la rimozione di arbusti di specie autoctone da 480 ettari in 22 siti Natura 2000; lo sradicamento di specie esotiche invasive da 922 ettari in 21 siti Natura 2000; la promozione o il mantenimento delle condizioni per una gestione tradizionale del territorio rispettosa della natura insieme ad una migliore infrastruttura di gestione; il miglioramento delle condizioni idrologiche (regimi idrici) di taluni tipi di habitat su 2000 ettari; il migliorato dello stato di conservazione delle specie tipiche e prioritarie (con popolazioni che rimangono stabili o in aumento di almeno il 15%); la costituzione di sei colonie di criceto europeo (Cricetus cricetus) e di 4 colonie di talpa minore (Nannospalax superspecie leucodon); il mantenimento o l’aumento di almeno il 10% delle superfici di sei habitat prioritari di praterie.

Il budget complessivo del progetto è di circa 17,2 milioni di Euro di cui circa 10,3 a carico dell’Ue. Ma il progetto faciliterà l’uso coordinato di circa 72 milioni di Euro con finanziamenti complementari in 42 progetti a valere sul Fondo europeo di Sviluppo Rurale (Feasr) e sul Fondo europeo di Sviluppo regionale (Fesr).

Perché questo progetto può interessare il nostro Paese e, soprattutto, il Sud Italia? Perché è il tipo di progetto che ben si potrebbe realizzare nei Parchi nazionali dove maggiore è la presenza di prateria mediterranea che per la sua conservazione ha bisogno di un pascolamento adeguato (non del superpascolamento) e del restauro vegetazionale dei tanti suoli oltraggiati dal fenomeno dello «spietramento» meccanico a partire dalla fine degli anni 80 del secolo scorso e per almeno un decennio.

In un’ottica virtuosa di sistema finanziario pubblico, un progetto di questo tipo dovrebbe collegarsi ad altri progetti di conservazione e di sviluppo sostenibile dell’economia agropastorale mediante i fondi europei per l’agricoltura e le infrastrutture prima citati. Per far questo esiste uno strumento obbligatorio adottato in sede di programmazione nazionale e regionale di queste risorse: si chiama Paf (Prioiritized Action Framework) ed è il quadro di azioni (anche in questo caso riemerge il «mito della cornice» di popperiana memoria) che dovrebbe tenere insieme sviluppo infrastrutturale, sviluppo rurale e politiche di tutela dei Siti Natura 2000.

Non che non vi siano state proposte in linea con il progetto magiaro, ma sistematicamente, soprattutto in Puglia, chi detiene i cordoni della borsa dei Fondi Strutturali, ossia la Regione, le affonda ritenendole non meritevoli di sostegno economico.

In Ungheria, quindi, il progetto potrà funzionare moltiplicando i fattori di investimento virtuoso per la conservazione fino a 72 milioni di Euro. Di certo, in Italia, ed in particolare nelle regioni del Mezzogiorno (quelle in cui i Fondi Strutturali europei investono di più) l’effetto moltiplicatore manca del tutto. I programmi di utilizzazione dei vari Fondi sono monadi, non dialogano tra loro ed, anzi, si scontrano in un labirinto di confuse strategie e di antitetiche azioni. È la certificazione che la vecchia mitteleuropa (ora sovranista) resta più capace di chiunque nell’usare gli arnesi economici comunitari per programmare il suo sviluppo, addirittura sostenibile?

Fabio Modesti