Pfas, l’inquinamento si poteva fermare sin dal 2006

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Rivelazione da un rapporto di Greenpeace che è una sintesi dell’annotazione di polizia giudiziaria redatta dal Comando Carabinieri per la Tutela Ambientale Nucleo Operativo Ecologico (Noe) di Treviso. Iil ruolo dei tecnici Arpav è più volte al centro dell’annotazione del Noe tanto che gli investigatori del Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri di Treviso formalizzano, nero su bianco la «volontà dei tecnici Arpav di non voler far emergere tale situazione» di inquinamento

Con il rapporto «Le verità sul caso Pfas: come la popolazione veneta è stata condannata ad anni di grave inquinamento» diffuso oggi, Greenpeace denuncia come le autorità locali e gli enti di controllo ambientali potrebbero aver avuto un ruolo chiave nel ritardare gli interventi amministrativi (di bonifica) e le indagini penali a carico dell’azienda chimica Miteni.

Il rapporto è una sintesi dell’annotazione di polizia giudiziaria redatta dal Comando Carabinieri per la Tutela Ambientale Nucleo Operativo Ecologico (Noe) di Treviso, acquisito da Greenpeace a seguito della chiusura delle indagini relative al procedimento penale n. 1943/16, ovvero relativo a «inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche (Pfas) nelle province di Vicenza, Padova e Verona».

L’annotazione del Noe pone seri interrogativi sull’operato della Provincia di Vicenza che, in base agli esiti del progetto Giada, condotto tra il 2003 e 2009, avrebbe dovuto richiedere verifiche approfondite proprio sullo stabilimento di Miteni. Quei dati evidenziavano notevoli incrementi di concentrazione di Btf (Benzotrifluoruri) nelle falde acquifere tra Trissino e Montecchio Maggiore ma, secondo il Noe, non sarebbero mai stati nemmeno formalmente inoltrati all’Agenzia regionale per la Protezione dell’Ambiente del Veneto (Arpav). D’altra parte, la documentazione del Noe rivela che Arpav avrebbe potuto far emergere l’inquinamento già nel 2006, quando tecnici dell’agenzia regionale intervennero presso la barriera idraulica istallata nel sito di Miteni: le operazioni di bonifica potevano partire in quel momento.

«Quanto emerge dal documento del Noe è gravissimo ma non ci risultano ulteriori filoni di indagine aperti dalla Procura di Vicenza a carico degli enti pubblici coinvolti — dichiara Giuseppe Ungherese, Responsabile Campagna Inquinamento di Greenpeace Italia —. Ci auguriamo che la Procura agisca in fretta per definire un quadro chiaro ed esaustivo delle responsabilità e dei responsabili», conclude Ungherese.

In particolare, il ruolo dei tecnici Arpav è più volte al centro dell’annotazione del Noe tanto che gli investigatori del Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri di Treviso formalizzano, nero su bianco la «volontà dei tecnici Arpav di non voler far emergere tale situazione» di inquinamento.

Dai documenti acquisiti da Greenpeace, appare difficilmente comprensibile anche la scelta della Procura di Vicenza di fissare al 2013 il termine ultimo di commissione dei reati: dalla relazione del Noe risulterebbe che i vertici di Miteni, Igic e Mitsubishi Corporation potrebbero aver commesso reati fino al 2016 e oltre.

«La scelta della Procura di limitare gli accertamenti al 2013 implica l’inapplicabilità della normativa sui cosiddetti Ecoreati, entrata in vigore successivamente — aggiunge Ungherese —. Applicando la norma sugli Ecoreati, oltre alla possibilità di comminare pene più severe, si renderebbe minimo, almeno per alcuni degli imputati, il rischio della prescrizione».

Greenpeace segnala infatti come ancora una volta la prescrizione sui reati ambientali contestati rischia di far finire in un nulla di fatto, processualmente parlando, tutta la vicenda Pfas. La popolazione veneta, che continua a subire le gravi conseguenze dell’inquinamento da Pfas sulla propria salute, ha il diritto di sapere tutta la verità e di avere giustizia.

– Leggi il rapporto «Le verità sul caso Pfas: come la popolazione veneta è stata condannata ad anni di grave inquinamento».

(Fonte Greenpeace)