Le risorse idriche e i cambiamenti climatici: fattori strettamente correlati. Presentati i risultati di uno studio recente che guarda anche al futuro
I risultati di un nuovo progetto sullo studio degli impatti del cambiamento climatico sui corpi idrici sotterranei a Torino e provincia. Una vera e propria banca dati per risultati e dati sui bacini di alimentazione, una dettagliata ricostruzione delle geometrie del sottosuolo, un’attenta analisi sull’interazione tra acque di scorrimento superficiale e acque sotterranee e il contenuto isotopico dell’acqua. I risultati sono stati presentati nel corso di un evento che si è tenuto presso il «Centro Ricerche Smat» di Torino.
La Smat, Società metropolitana acque Torino, ha organizzato un convegno coordinato dal suo Presidente, Paolo Romano, con i relatori Antonello Provenzale, dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse del Cnr, Stefano Ferraris, del Dipartimento Interateneo di Scienze, Progetto e Politiche del Territorio del Politecnico di Torino, e Elisa Brussolo, del Centro Ricerche Smat. Al convegno è intervenuto anche il meteorologo e climatologo Luca Mercalli: «Il progetto ci dà l’idea della sua modernità — ha detto Mercalli — per poter abbreviare i tempi per ottenere modelli quasi in tempo reale. Avevamo sistemi vecchi, che necessitano un’avanzamento. Le acque sono strettamente collegate ai fenomeni dei cambiamenti climatici in atto, e dobbiamo tenere sotto controllo la situazione per questa risorsa fondamentale in modo tempestivo».
«Ci servono strumenti per la situazione attuale del nostro pianeta e della nostra atmosfera — aggiunge —. Una diagnosi precoce per poter ottenere una stima giorno per giorno sulle anomalie. L’impegno per questo progetto-studio supportato da Smat è importante anche in visione futura». Gli impatti dei cambiamenti climatici espongono infatti a molte vulnerabilità. Come quella delle risorse idriche, dove viene influenzata la disponibilità dell’acqua sia in termini di qualità sia di quantità.
«La gestione dell’acqua potabile — dice Paolo Romano — e i sistemi infrastrutturali nel loro complesso. La capacità di adattamento dei cambiamenti climatici è una delle sfide più importanti che i gestori del servizio idrico integrato dovranno affrontare nel prossimo futuro».
«Le risorse idriche di origine sotterranei — aggiunge Romano — costituiscono l’80 per cento, in volume, degli approvvigionamenti della Smat: comprendere la risposta ai cambiamenti climatici delle acque sotterranee e la loro interazione con quelle in superficie risulta essere una tematica prioritaria».
Il programma di ricerca ha permesso di valutare sul territorio servito da Smat con orizzonte temporale che arriva al 2050, la vulnerabilità ai cambiamenti climatici delle risorse idriche sotterranee usate per scopi idropotabili. La stima della ricerca dell’acquifero in scenari di cambiamento climatico è stata ottenuta tramite una catena modellistica costituita da 5 modelli climatici globali che forniscono scenari climatici per l’intero pianeta, un modello climatico regionale innestato nei modelli globali, e il modello acqua-suolo-vegetazione che simula la risposta idrologica e le variabili del bilancio idrico alla scala di progetto.
Stefano Ferraris e Antonello Provenzale hanno illustrato una buona parte dei risultati, con molti dati e cifre. Le proiezioni climatiche suggeriscono uno situazione «stazionaria» di drenaggio nell’area di Torino e località limitrofe. I risultati stagionali mostrano però deficit di drenaggio nella seconda metà dell’anno. L’analisi delle precipitazioni mensili degli ultimi 20 anni conferma che negli ultimi mesi dell’anno c’è una diminuzione delle precipitazioni in settembre e ottobre e un aumento in novembre. Una tendenza che se confermata richiede, secondo gli esperti, attenzione.
E poi va analizzata la relazione fra precipitazione, risorse idriche e circolazione atmosferica nel Nord Ovest dell’Italia. Oltre alle analisi su lungo periodo, i dati evidenziano la forte variabilità interannuale delle precipitazioni, che perdura anche nei prossimi decenni. Ecco perché il gestore, sulla base di questi studi, deve continuare ad essere pronto per affrontare situazioni critiche: «Si suggerisce — sottolineano i relatori — di intraprendere un monitoraggio più frequente, specie nel periodo autunnale, e stilare un piano d’azione preventivo per l’approvvigionamento di fonti alternative a quelle sotterranee che possano essere messi in atto in modo tempestivo per sopperire a eventuali emergenze idriche».
«Con i cambiamenti climatici servono analisi dei dati su un lungo periodo — dice Mercalli, che è presidente della “Nimbus”, dedicata a studi sul meteo e clima —. Nell’autunno 2017 c’è stata siccità, così come il periodo che si è concluso da poco. Ma è aumentata ancora la temperatura media del nostro pianeta: abbiamo avuto un inverno asciutto, nei casi precedenti erano stagioni non invernali…». «I nostri dati — aggiunge — sono focalizzati dalla terribile estate 2003. L’ultimo periodo dicembre 2018-marzo 2019 è al decimo posto negli ultimi 200 anni. Ma vi è un affollamento di situazioni anomale: guardando al prossimo futuro, su un calcolo realizzato di recente sull’anidride carbonica nella nostra atmosfera, potremmo tornare come a 3 milioni di anni fa, nel Pliocene. Però all’epoca non c’eravamo e l’atmosfera non doveva subire tutte quelle anomalie che noi provochiamo oggi».
Antonio Lo Campo