L’Alto potenziale cognitivo tra diritto e legislazione
Una preoccupazione si annida dentro le pieghe della fenomenologia specifica. C’è un grande potenziale energetico di intelligenze che, se non debitamente valorizzato, si disperde con danno sia delle persone sia del bagaglio culturale della Nazione; questa assisterebbe impotente alla mancata fioritura delle creatività e all’appassire di «doni» dall’alta capacità intellettuale
Finalmente qualche scuola, in Italia, nell’aggiornamento degli insegnanti inserisce la problematica dell’Alto potenziale cognitivo (Apc).
È diffusa la valutazione statistica che indica il 5% degli alunni come soggetti appartenenti a questa tipologia.
Si tratta però di un dato statistico, dice molto e dice poco. Infatti la misura è suggerita dai rilevamenti conclamati e viene estesa a tutta la popolazione scolastica. Ma molti «dotati», non essendo individuati, sfuggono al calcolo, rimangono nel cono d’ombra e subiscono l’«ostracismo didattico»; ciò li priva dell’ascesa che la loro intelligenza pretenderebbe.
Per questo motivo, prima che la sensibilità di un Collegio metta a punto il piano di aggiornamento speciale, è auspicabile che ciascun insegnante approfondisca da sé l’individuazione dei «segnali» che i Gifted Children lanciano a loro insaputa e che spesso i genitori non scoprono e di conseguenza non patrocinano l’attenzione dei formatori dei figli.
Un’occasione da non perdere
Adesso gli strumenti culturali per muoversi in questo affascinante campo del sapere sono abbastanza chiari e diffusi. Di essi abbiamo in passato anche noi scritto su questa Rivista (Dicembre 2016, Giugno 2017, Dicembre 2017).
La ricerca si cimenta anche in Italia in modo serio e puntuale, tentando di coordinare in rete le scuole più sensibili che si aggiornano.
Speriamo che tutte le Associazioni professionali degli insegnanti progettino corsi di formazione scientifica a tappeto sul territorio nazionale anche perché non è detto che gli stimoli ministeriali siano sufficienti per alimentare la realizzazione dei profili psico-pedagogici degli insegnanti tanto da renderli abili nella ridefinizione dell’impianto didattico.
Una preoccupazione si annida dentro le pieghe della fenomenologia specifica. C’è un grande potenziale energetico di intelligenze che, se non debitamente valorizzato, si disperde con danno sia delle persone sia del bagaglio culturale della Nazione; questa assisterebbe impotente alla mancata fioritura delle creatività e all’appassire di «doni» dall’alta capacità intellettuale.
Studi di pedagogia applicata e di psicologia evolutiva avvertono che la mancata attenzione verso l’Apc potrebbe determinare la possibilità di anomalie della persona e del comportamento nei soggetti interessati.
Abbiamo fortunatamente, in Italia, il dettato Costituzionale che all’art. 3 fornisce allo Stato e ai cittadini il motore appropriato per il rispetto del diritto di ciascuno «alla libertà e all’eguaglianza … rimuovendo gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana».
Secondo tale dettato l’Autonomia degli istituti scolastici deve muoversi nella prospettiva della didattica che segua le sue leggi e le sue dinamiche nel rispetto delle persone affidate e a beneficio della comunità civile. Infatti lo stesso articolo mentre indica la finalità intermedia (pieno sviluppo della persona umana) subito dopo detta il traguardo più generale: «l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
La prospettiva dei possessori di Apc è la loro realizzazione umana e sociale, la loro sconfitta è perdita dell’individuo e della comunità intera!
Se la Repubblica è definita «democratica, fondata sul lavoro» (art. 1) essa consente la fortuna delle persone nella loro realizzazione democratica completa, come entità individuali piene, inserite nel lavoro.
Se la legge-base del nostro Stato indica le coordinate della parità e della democrazia con riferimento alla rimozione degli ostacoli significa che i Padri costituenti si sono resi conto che la nascente Repubblica non avrebbe potuto valorizzarsi senza la ricostruzione della vita civile attraverso la giustizia nella condivisione dei valori individuali.
La formazione è un diritto
Oggi, ogni repubblica è fragile perché la democrazia non è fatta una volta per tutte. I recenti fatti di cronaca, che vedono sempre più giovani con armi e in violente sopraffazioni, sono il termometro di malesseri culturali e psicologici strettamente legati a disfunzioni, reticenze, povertà morali che, covate nella famiglia, lambiscono la scuola.
È per questo che dobbiamo risalire al Diritto perché la formazione non è una elargizione di generosità; essa nasce dal vanto fondamentale di ogni individuo e da questo presupposto si estende fino a raggiungere le pieghe della società.
Si deduce da tutto ciò come l’attenzione all’Apc non è un merletto di contorno è invece la trama propria del tessuto generale della vita scolastica e sociale.
Lo Stato: chi? Proprio lo Stato di partecipazione, lo Stato che è presente nell’esercizio dei beni individuali; la Scuola è lo Stato vicino all’alunno che, attraverso la mediazione dei suoi formatori, restituisce alla comunità intera i valori di ogni giovane cittadino, le sue conoscenze globali e la sua partecipazione al benessere democratico.
Lo Stato ha inoltre organi specifici per vigilare su questi aspetti del Diritto: gli Assessorati degli Enti Locali hanno il compito di promuovere quanto concerne la Pubblica Istruzione e di prevenire i danni che di fatto esplodono in emergenza.
Diciamo «pubblica» in senso esteso: tale si determina perché riguarda i cittadini e non perché destinata esclusivamente alle scuole dello Stato. Ogni aggregazione sociale formativa di minori rientra nella fattispecie e soprattutto la scuola, anche se «privata, paterna, paritaria, ecc.». Anche gli Enti di proprietà privata sono di interesse pubblico perché gestiscono la formazione di una porzione volontaria della società e quindi concorrono con responsabilità al bene generale.
Che forse nella Sanità le strutture private convenzionate non rientrano nella piattaforma sanitaria generale del nostro Stato? E su di esse lo Stato non esercita vigilanza e cooperazione? E gli Assessori non sono preposti anche al loro legale funzionamento per il bene comune?
Tutte le strutture socio-politiche che ruotano nell’area della formazione e della prevenzione, soprattutto in riferimento ai minori, devono contribuire al beneficio di coloro che rientrano nella specificità di cui ci occupiamo.
Le teorie della persona
Se il disagio di alunni con Apc è provocato dalla stessa scuola allora questa, prima ancora che si doti dello sportello di consulenza per l’aiuto individuale contro il malessere, è tenuta a curare la piattaforma generale su cui ogni alunno possa seguire l’iter delle conoscenze e rendersi abile nell’esercizio della propria intelligenza; qualora questa fosse di alto profilo il dotato potrà così prendere coscienza del suo «saper fare», traguardo del successo.
Le teorie dinamiche della persona apparvero negli Usa con Lewin nel ’35 e tra gli anni ’62 e ’70 con Tallent, Maslow, Rogers, Backmann e Secord. Le loro intuizioni dovrebbero essere oggi alla base della didattica impostata su positività, salute e benessere mentali.(1) In Italia i loro trattati sono stati tradotti più tardi ma senza destare interesse nel mondo scolastico.
Dobbiamo riconoscere che la legislazione italiana della scuola, in particolare quella dei primi segmenti, mantiene valori di alto profilo riconosciuti universalmente; uno di essi è la continuità nella formazione. Eppure quell’efficienza ha perduto lo smalto dei primi anni della sperimentazione.
È mancato il rapporto tra il pensiero didattico e lo sviluppo delle scienze antropologiche, specialmente delle neuroscienze. È solo di questi ultimissimi anni lo sforzo di superare il gap che ci vede alla rincorsa rispetto ai sistemi europei e anglosassoni.
Basterebbe, come primo approccio, che l’insegnante si informi sulla Teoria del Campo di Kurt Lewin per venire attratto dalle osservazioni sulla dinamica dell’intelligenza: si renderà conto del rapporto che esiste tra l’area personale più intima dell’alunno e la regione esterna da cui gli provengono gli input. Risulterà evidente l’effetto reattivo che viaggia tra accoglimento e sbarramento nella mente.
Se questa è una dinamica necessaria allora il diritto si fonda prima che sulla Legge sull’essenza stessa degli individui.
Da questo nucleo di base può originarsi l’esigenza di dinamiche coerenti della didattica. In altri termini, l’Apc ottiene dalla comune e generale legge del rapporto apprenditivo il diritto alla formazione, destinata a tutti gli alunni. L’individualità degli apprendimenti è direttamente proporzionale a questa attenzione e questa attenzione è direttamente proporzionale alla preparazione scientifica degli insegnanti.
La legislazione può difettare, di fatto succede, ma il diritto all’apprendere è parte integrante del valore dei singoli giovani cittadini, è dovere deontologico degli educatori e formatori consentirne lo sviluppo secondo la peculiarità delle menti.
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In coda qualche interrogativo come introduzione ad altre riflessioni. Che il Parlamento o il Governo rivedano/correggano/abroghino norme risalenti ai Regi Decreti, soprattutto in chiave di disciplina a scuola, ben venga!
Ma (c’è sempre un ma quando gli interventi sono della gestione governativa di turno!) portiamo all’attenzione dei lettori alcuni interrogativi che invitano alla riflessione critica tra pedagogia e didattica:
La sociologia scolastica studia i fenomeni dei comportamenti infantili e giovanili o lascia agli insegnanti l’onere di inventarsi le soluzioni?
Se c’è bisogno di più presenza genitoriale a scuola, in dialogo con gli insegnanti, come giudicare i rapporti via web per comunicare nel tempo reale valutazioni e/o altro senza parlarsi negli occhi?
L’influenza dei social nelle mani di minori in solitudine chi la segue, di ciò chi si cura?
Le sanzioni sono risolutive anche del problema del bullismo? Chi si cura di ciò, come e quando? Sarà qualche ora di Educazione Civica a risanarli, impartita da chi, come e quando? E quando essa era inserita nell’insegnamento della Storia ha prodotto benefici? Se no, perché?
Basta enunciare la sua introduzione a spese «senza oneri per lo Stato», come recitano tanti commi della legge 107 della renziana Buona Scuola? O basteranno i 100 euro lordi contrattuali (qualche pizza!) ad invogliare gli insegnanti a maggiori e più qualificati oneri?
Gli altri interrogativi … ecco spazio alle considerazioni del lettore.
Gli insegnanti hanno la formazione e l’aggiornamento (anche questo senza oneri per lo stato!) per formare alla corresponsabilità con meno autoritarismo e meno autoreferenzialità? A quando interventi di Ricerca-Azione per esaminare le problematiche sorgenti e ricercare sul campo le soluzioni?
Il registro-arma! Bastava chiamare il personale ausiliario, consegnare il registro di classe con la nota e spedire il minore dal dirigente perché sanzionasse lui?
Queste correzioni parlamentari basteranno perché non si senta più nelle aule: «Fuori!» per assolversi con una pedagogia del corridoio?
«Ai miei tempi …» !? No, ora, adesso è il tempo, è quello di alunni trattati come figli senza paternalismo e maternalismo ma nel rispetto delle dignità. Bisogna consumare insieme il sale (di memoria aristotelica) per creare in aula il tavolo delle parole, del confronto con cui risolvere il conflitto in coscienza di autonomia e regola.
C’è necessità di meno ministri tutto fare e tutto dire, compiacenti con il «già fatto», di ministri che parlino meno nelle piazze e in volo e quando si pensa alla scuola si invochi la saggezza e la scientificità perché sono in gioco le coscienze, i diritti, la pace sociale.
Non è necessario Salomone per comprendere che non basta la norma perché la scuola cambi, questa cambia se cambia la società, la società cambia se cambiano le relazioni in famiglia, a scuola, nella politica locale a beneficio della relazione di reciprocità e a confronto con lo stato come servizio e non come potere.
Meno parole al vento e più vento di parole che diano vigore alle vele sulle rotte dell’armonia.
(1) K.LEWIN, A dynamic theory of personality, N.Y. 1935, tr. Teoria dinamica della personalità, Firenze 1965; A.H.MASLOW, Toward a Psycology of Beng, N.Y. 1962, tr. Verso una psicologia dell’essere, Roma 1971; N.TALLENT, Psycological prospectives on the person, N.Y. 1967, tr. Prospettive psicologiche sulla persona, Roma 1970; C.W.BACKMANN, P.F.SECORD, A Social Psycological View of Education, N.Y. 1968, tr. Psicologia sociale dell’educazione, Firenze 1973. Per una sintesi coordinata rispetto alla didattica cfr. F.SOFIA, Didattica: sinergia e salute. La risultante creativa, Catanzaro 2016.
Francesco Sofia, Pedagogista, Socio onorario dell’Associazione naz. dei pedagogisti italiani