Abbiamo compromesso il 40% del mare

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coccodrillo delle filippine in estinzione
È in estinzione il coccodrillo delle Filippine
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Rapporto Onu su perdita biodiversità. Greenpeace: «Urgente protezione di foreste e oceani, necessari anche cambiamenti nella nostra dieta». Una gamma di possibili scenari per i prossimi decenni e indicazioni per i decisori. A rischio un milione di specie

Il rapporto sulla biodiversità pubblicato oggi dall’Onu lancia l’allarme sull’enorme perdita di specie a causa dall’impatto umano. Per le Nazioni Unite sono necessarie azioni urgenti per proteggere le foreste, gli oceani e occorrono cambiamenti radicali nella produzione e nel consumo di cibo.

Ormai gli allarmi si susseguono, dalla perdita di habitat e quindi di biodiversità, alla invasione quasi senza soluzione della plastica. Chi riesce ad essere obiettivo e non ha scheletri nell’armadio, non può non convenire che siamo nel mezzo del disastro. Non c’è soluzione dopo, ma solo una misera riparazione che comunque ci arretra ad un livello più basso.

Il rapporto del Gruppo intergovernativo per la Biodiversità e i Servizi Ecosistemici (Ipbes) avverte inoltre che un milione di specie sono a rischio di estinzione, più che in ogni altro momento nella storia umana.

«Quanto emerge da questo rapporto è devastante. Nonostante il ruolo fondamentale della biodiversità nella conservazione della vita sul Pianeta, il prevalere degli interessi economici ha portato ad un tale sfruttamento delle risorse naturali da rischiare ora conseguenze irreversibili — afferma Martina Borghi, campagna foreste di Greenpeace Italia —. Per mantenere le temperature globali sotto il grado e mezzo ed uscire dalla crisi climatica che stiamo attraversando, è urgente combinare una drastica riduzione delle emissioni di anidride carbonica con la conservazione della biodiversità, prestando particolare attenzione agli ecosistemi naturalmente capaci di immagazzinare grandi quantità di carbonio, come le foreste torbiere», conclude Borghi.

Il rapporto Ipbes rivela che le attività umane hanno «significativamente modificato» la maggior parte degli ecosistemi terrestri e marini. Si afferma che il 40 per cento dell’ambiente marino globale mostra «gravi alterazioni» a seguito delle pressioni umane e che la «ricchezza e abbondanza» degli ecosistemi marini è in declino.

Questo rapporto di valutazione globale Ipbes, sottolinea Vincenzo Ferrara nel suo Blog, è il più completo ed omnicomprensivo mai attuato. Inoltre, concorre agli obiettivi ultimi delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile, perché si basa sul Millennium Ecosystem Assessment del 2005, che introduce anche metodi innovativi di valutazione delle prove.

Il rapporto è stato redatto, nell’arco di questi ultimi tre anni, da 145 autori esperti provenienti da 50 paesi, con contributi aggiuntivi di altri 310 autori di quasi tutti i Paesi delle Nazioni Unite. il Rapporto valuta i cambiamenti negli ultimi cinquant’anni, fornendo un quadro completo della relazione tra i percorsi di sviluppo economico e il loro impatto sulla natura. Offre anche una gamma di possibili scenari per i prossimi decenni.

«I nostri oceani sostengono tutta la vita sulla Terra — afferma Giorgia Monti, responsabile della campagna mare di Greenpeace Italia —. Invece di saccheggiare i mari per ottenere profitti a breve termine, i governi dovrebbero mettere la sostenibilità al centro delle proprie politiche. Il rapporto Onu conferma infatti che i meccanismi esistenti per proteggere i nostri oceani non funzionano. Oggi solo l’1 per cento dei mari globali è protetto e non esiste uno strumento legale che consenta la creazione di santuari nelle acque internazionali».

Per Greenpeace c’è bisogno di un accordo globale che protegga almeno il 30 per cento dei nostri oceani entro il 2030. Si tratterebbe di un’opportunità unica per i governi di lavorare insieme per salvaguardare la biodiversità marina, garantire la sicurezza alimentare a milioni di persone e avere oceani sani, ovvero una grande risorsa per contrastare i cambiamenti climatici.

Il rapporto Ipbes afferma infine che fattori come il cambiamento dell’uso del suolo, cambiamenti climatici e i livelli di consumo sono aumentati a livelli senza precedenti.

«Accogliamo con favore la richiesta di un’azione urgente per cambiare le nostre abitudini alimentari, in modo da ridurre il consumo di carne e latticini la cui produzione intensiva ha effetti negativi ormai ben documentati sulla biodiversità, i cambiamenti climatici e la salute umana», dichiara Federica Ferrario, responsabile della campagna agricoltura di Greenpeace Italia.

Per Greenpeace dimezzare produzione e consumo di carne e prodotti lattiero-caseari entro il 2050 deve diventare una priorità a livello politico, dal momento che non c’è più tempo da perdere.

Da qui l’appello ai decisori politici ed una serie di raccomandazioni.

«Siamo all’ennesima, autorevolissima, sottolineatura scientifica su ciò che il Wwf sostiene da anni, e cioè che con l’erosione della biodiversità e dei servizi ecosistemici che la stessa vita sulla Terra ci garantisce, dal ciclo dell’ossigeno e del carbonio a quello dell’acqua, dalla produzione alimentare alle risorse forestali, stiamo mettendo a rischio il nostro stesso futuro. È necessario incidere sull’economia perché perseverare con l’attuale meccanismo basato sulla crescita materiale indefinita è come continuare a segare il ramo sul quale siamo seduti. Abbiamo bisogno di attuare un’economia della post-crescita, che ci consenta di vivere nei limiti biofisici della nostra Terra», ha detto Gianfranco Bologna, Direttore Scientifico Wwf Italia.

«Le più importanti istituzioni del mondo si stanno rendendo conto di una situazione drammatica che Slow Food denuncia da oltre vent’anni – dichiara Carlo Petrini, presidente di Slow Food -. Negli ultimi 70 anni abbiamo distrutto i tre quarti dell’agrobiodiversità che i contadini avevano selezionato nei 10.000 anni precedenti. Fonti autorevoli già da tempo ci stanno mettendo in guardia perché stiamo attraversando la sesta estinzione di massa e per la prima volta il responsabile di questa crisi ecologica globale è l’uomo. Lo scenario descritto è molto grave: la perdita di specie, razze e habitat naturali è pesantissima. Non abbiamo più tempo ma abbiamo uno strumento efficace con cui possiamo cambiare la situazione: il nostro cibo quotidiano. Cambiando le nostre scelte alimentari possiamo fare molto per salvare il suolo, le acque, l’intero pianeta».

 

R. V. G.