La solidarietà diffusa che si è verificata nel caso di Palermo, merita una valutazione pedagogica: l’opinione pubblica ha provato fastidio, questo si tramuta in valutazione e atti politici, la politica invade il momento didattico, i giovani interessati quale effetto ricavano? A questa ultima domanda la risposta la troveranno loro stessi e la loro guida a scuola: meglio così, il processo ritorna nella libertà!
La didattica è la scienza delle azioni dinamiche della conoscenza guidata basata su principi antropologici scientifici. Tutti coloro che sono interessati all’apprendimento, a qualsiasi livello intellettivo appartengano, sono corroborati dalle medesime opportunità della scienza che ne tutela il progresso razionale e l’arricchimento culturale.
Se invece consideriamo i coefficienti della prassi apprenditiva allora si verifica la variazione della proporzione tra i contenuti delle discipline e le singole intelligenze.
Quali sono i dati assoluti qualificanti, validi per tutti che alimentano la didattica?
Sono almeno quattro:
- L’insegnamento va sorretto dall’epistemologia.
- L’azione didattica è direttamente proporzionale al rapporto tra le intelligenze in funzione (Insegnante–Alunno) e i contenuti delle discipline.
- L’azione didattica pretende la proporzione tra la comunicazione e le capacità intellettive dei soggetti.
- L’apprendere si realizza se alla proposta didattica fa riscontro la disposizione mentale liberata dagli impedimenti immanenti o esterni alle persone.
Questa premessa conduce ad una prima conclusione: la funzione didattica si concretizza se la prassi è sostenuta dal progetto oggettivo cioè dal piano individualizzato che rispetti il processo di possibili percorsi apprenditivi.
La duplice proiezione della didattica, teorica e pratica, è scientifica se alla lezione frontale espositiva e cattedratica si contrappone la metodica fondata sull’osservazione, il confronto, l’ipotesi e la verifica, azioni tutte di metodo laboratoriale.
Applicando questo criterio in un gruppo di alunni si evidenzia che i cosiddetti «normodotati» come i diversamente abili e in particolar modo i Gifted Children interagiscono con risultati positivi: la loro proiezione verso i traguardi non è standard ma dinamica, secondo il variare dei percorsi mentali dei soggetti.
L’insegnante, nel laboratorio, si trasforma da testimone qualificato della disciplina in partecipante clinico (in senso greco), come co-attore che modera e coordina, concorrente nella sfida del sapere, rispettando e valorizzando ogni intelligenza disposta alla conoscenza.
Nella dinamica indicata si favorisce il rispetto e la libertà di chi apprende, che avanza la sua interpretazione, tenta il giudizio, esplora possibili novità. Mentre l’azione dell’insegnante si trasforma da sorvegliante-guida in operatore della più innovativa delle operazioni: il libero manifestarsi delle intelligenze.
Dove sta il tappo che imbottiglia la questione dei giovani studenti di Palermo cimentatisi nell’accostamento tra leggi antiebraiche e disposizioni anti-migranti?
C’è chi assegna agli studenti il limite di interpretazione, c’è chi detta il decalogo didattico all’insegnante. Nell’uno e nell’altro caso si dà per scontato un principio morale: è necessario muoversi nella liceità; poi si fissa il limite del lecito. Ma non si avverte la contraddizione che si annida dentro questo percorso. Alla ricerca viene assegnata la censura, come criterio operativo sull’insegnamento.
Indirettamente tutti gli organi, definiti dal ministro dell’Istruzione «preposti» al controllo, al giudizio e all’ammenda, hanno riversato sull’insegnante la responsabilità morale e legale di atti di lettura, interpretazione e produzione degli alunni giudicati da estranei all’azione didattica come lesivi di verità storica.
Forse ci si è dimenticati che il concetto sotteso a quell’accostamento non sono i fantasmi del fascismo e del nazismo, ma la costante della morte presente nella destinazione ebraica come in quella dei naufraghi. Se vogliamo sottrarre ai giovani questa impressionante capacità di accostamento … fate pure … ma attenzione a non codificare come pregiudizio storico di alunni e docente il pregiudizio politico dei poteri costituiti in cui ha avuto un ruolo non indifferente chi ha fatto la segnalazione con primo atto di ostracismo.
La solidarietà diffusa che si è verificata merita anch’essa una valutazione pedagogica: l’opinione pubblica ha provato fastidio, questo si tramuta in valutazione e atti politici, la politica invade il momento didattico, i giovani interessati quale effetto ricavano? A questa ultima domanda la risposta la troveranno loro stessi e la loro guida a scuola: meglio così, il processo ritorna nella libertà!
Francesco Sofia, Pedagogista, Socio onorario dell’Associazione nazionale dei pedagogisti italiani