Più cani e meno lupi: minaccia per la biodiversità

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Una nuova ricerca internazionale a cui hanno contribuito ricercatori del Dipartimento di Biologia e biotecnologie Charles Darwin della Sapienza, ha studiato il crescente rischio di ibridazione tra cane e lupo. I risultati del lavoro, che fanno appello alla comunità scientifica per una gestione condivisa del problema, sono stati pubblicati sulla rivista «Frontiers in Ecology and Evolution»

L’ibridazione antropogenica, riconosciuta da molti scienziati come una delle principali cause di perdita di biodiversità su scala globale, si ha quando l’uomo favorisce l’incrocio di diverse popolazioni selvatiche (sia animali sia vegetali), provocando la perdita della loro identità genetica e condizionando il loro aspetto, la fisiologia, l’ecologia e di conseguenza anche il valore socio-culturale che le contraddistingue.

In particolare nel caso dell’ibridazione tra cane e lupo il rischio è oggi sensibilmente maggiore rispetto al passato a causa della distruzione di habitat naturali da parte dell’uomo, della persecuzione diretta al lupo e della grande quantità di cani vaganti, specialmente in alcune regioni nel nostro paese.

Un gruppo internazionale di oltre quaranta scienziati, di cui fanno parte Paolo Ciucci e Luigi Boitani del Dipartimento di Biologia e biotecnologie Charles Darwin della Sapienza, ha condotto uno studio sociologico per capire le cause che si celano dietro la mancanza di una gestione efficace del problema dell’ibridazione antropogenica tra cane e lupo. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista «Frontiers in Ecology and Evolution».

L’urgenza di un intervento nasce dal fatto che gli ibridi sono fertili e quindi c’è il rischio che i geni dei cani si possano riversare all’interno delle popolazioni di lupo fino a far sì che queste diventino virtualmente composte di soli ibridi, con il pericolo di una estinzione genomica.

Gli autori dello studio suggeriscono che la mancanza di intenti e di un punto di vista comune nella comunità scientifica sia alla base dell’insufficiente prevenzione e gestione del fenomeno, sostenendo invece che poter contare su un consenso scientifico sia fondamentale per favorire una sensibilizzazione a livello mediatico, politico e istituzionale, volta all’adozione di adeguati provvedimenti gestionali.

I ricercatori individuano tre aspetti che più di altri determinano la mancanza di consenso tra scienziati sull’argomento: la specializzazione in ambiti disciplinari differenti, come la genetica e l’ecologia, porta gli scienziati ad avere punti di vista etici tendenzialmente diversi, specialmente per quanto riguarda l’uso di metodi di controllo cruenti; inoltre, è la carenza di studi specifici o riprove sperimentali sull’efficacia dei vari tipi di intervento gestionale che lascia spazio a intuizioni soggettive su quali possano essere gli interventi più efficaci; infine, alcuni studiosi sono contrari alla rimozione degli ibridi perché temono che ciò possa poi rappresentare una scappatoia legale per l’uccisione di lupi.

C’è invece consenso sulla necessità di educare il pubblico sull’impatto dei cani vaganti, sulla necessità di mitigare il randagismo e di rimuovere gli ibridi da popolazioni di lupo numericamente ridotte e in fase di ricolonizzazione.

«Se venisse assicurato maggiore spazio alla ricerca sulla fattibilità ed efficacia dei vari interventi gestionali – conclude Paolo Ciucci della Sapienza – sarebbe più semplice ottenere un consenso tra gli scienziati. Continuare a negare il problema dell’ibridazione antropogenica solo perché la sua gestione è altamente complessa, sarebbe infatti un errore imperdonabile».

(Fonte Università Sapienza)