Si chiede il passaggio dei docenti delle Scuole Statali alle dipendenze delle Regioni. Quale potrebbe essere la finalità di questa iniziativa legislativa? Interrogativo aperto alla riflessione e alla valutazione politica! Quando si tratta di scuola il legislatore deve ritenere che tocca il sacro del Paese, non solo il luogo ma soprattutto i cittadini impegnati nella più sacra delle funzioni: l’evoluzione personale e sociale, il rapporto tra eguali, la ricerca e lo sviluppo delle conoscenze
Ci siamo occupati in tante occasioni su questa stessa rivista di autonomia nella scuola; l’interesse è stato rivolto al processo formativo e a tutti i suoi riflessi sull’originalità delle menti degli attori in campo.
Ora è impellente riflettere sullo stesso termine ma riferito al dibattito che i politici hanno sollevato con le loro determinazioni incluse nel contratto di governo. E visto che una quota della maggioranza chiede di affrettare l’autonomia differenziata non possiamo non riflettere sulle conseguenze che lambiscono la scuola italiana nella sua struttura portante.
Abbiamo sempre ritenuto che gi interventi statali sulla scuola non possano prescindere dai valori pedagogici e didattici che si ricolleghino direttamente con il fondamento democratico sancito dalla nostra Costituzione. Ribadiamo quelli che salvaguardano la parità tra i cittadini da cui deriva la certezza dell’Unità nazionale e della pace sociale:
- La regionalizzazione dell’autonomia non può minare: l’unità di lingua e i suoi simboli (bandiera, inno), la salute, il salario, la pensione, la casa; la libertà di parola, pensiero e aggregazione; la formazione personale e il progresso civile con superamento degli ostacoli che impediscono l’evoluzione equilibrata dei singoli e la loro crescita culturale.
- L’avvicendarsi partitico non può ledere i diritti acquisiti e riconosciuti della convivenza democratica in ogni sua espressione, dalla scuola al lavoro, validi per tutto il territorio nazionale.
- L’affermazione della volontà degli italiani non può ritenersi soddisfatta se essa riguardasse una loro percentuale, anche se cospicua, riferita al quorum dei votanti e non a quello della totalità degli elettori. Per cui le determinazioni e le ricadute sulla totalità dei cittadini non possono costituirsi in base a maggioranze.
La scuola deve seguire il suo iter alla luce del diritto e dell’aggiornamento delle scienze della formazione: non può soggiacere a trasformazioni dettate dalle convenienze e pubblicità partitiche ad ogni mutare di maggioranze governative. Ne va della continuità che pure è un coefficiente fondamentale della formazione. Si potrebbe obiettare che questa riflessione sia dettata da rigurgiti romantici; non è così perché l’insegnamento, fondato sui risultati della didattica come scienza, è la porta aperta con la migliore spinta verso il futuro.
Nel tempo della globalizzazione, tanto sottolineata e favorita, c’è per l’istruzione l’esigenza della sua riconduzione ai capisaldi della scienza perché i soggetti affidati non soggiacciano alle ferree leggi del mercanti ma alla funzione del diritto a difesa delle libertà connesse.
Un antefatto storico
Un passo indietro: allo scoccare ufficiale dell’Unità d’Italia i cantieri navali di Palermo, risorsa economica, sociale e occupazionale della maggiore città del sud, videro la destinazione autoritaria verso Genova, unitamente alla sottrazione dei lingotti d’oro del Regno delle Due Sicilie a favore dell’erario del nascente Stato italiano. Questi due avvenimenti sono stati alla base del depauperamento sociale del sud d’Italia con gravi conseguenze che si sono riversate sull’assetto socioeconomico delle regioni interessate con la povertà diffusa e l’analfabetismo generalizzato.
Cittadini e campagna restavano l’asse portante dell’involuzione sociale del sud solo a favore dei consumi locali estranei all’arricchimento del triangolo industriale nel nord del Paese.
Si trattò allora di un effetto di regionalizzazione differenziata pur nel Regno unitario: è un antefatto storico?
Il governo italiano della XVII legislatura ha dato ascolto alla proposta delle tre regioni del nord (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna) della loro autonomia differenziata nel cui pacchetto appariva già l’istruzione.
In questa XVIII legislatura l’attuale governo ha riproposto con determinazione di attuare il disegno ma con l’intento di ampliare le materie oggetto di autonomia e, mentre è accresciuto il numero delle regioni richiedenti, è stato costituito il tavolo tecnico presso il Dipartimento per gli Affari Regionali.
In questo quadro, ad esempio, si chiede il passaggio dei docenti delle Scuole Statali alle dipendenze delle Regioni. Quale potrebbe essere la finalità di questa iniziativa legislativa? Interrogativo aperto alla riflessione e alla valutazione politica!
Con la manifestazione del 9 Febbraio scorso i Sindacati della scuola, confederali e non, hanno inoltrato al governo e alle Commissioni Istruzione della Camera e del Senato un documento contro il disegno di conferimento di maggiori poteri alle Regioni circa l’istruzione, anche per quelle a statuto ordinario, con questa motivazione: «provvedimento che risulterebbe nocivo per il carattere unitario del sistema di istruzione». Infatti, affermano i sindacati, qualora si sancisse una legge in tal senso «si darebbe vita a progetti formativi localistici». Si tratterebbe di una forma di distorsione dell’autonomia, già concessa alle scuole, a favore di iniziative ispirate però da particolarismi regionalistici.
Ci ricolleghiamo all’antefatto storico sopra citato. Le scuole del centro sud, dipendenti unicamente dalle risorse dello Stato, senza sponsor industriali, resterebbero penalizzate. Le prove Invalsi, veramente finalizzate alla quantificazione più che alla qualità, risulterebbero il dato oggettivo dell’inferiorità e quindi della minore erogazione dei budget.
La nostra Costituzione, art. 116. cm 3, concede la possibilità alle Regioni a statuto ordinario, fermo restando quanto sancito per quelle a statuto speciale, di godere di forme e condizioni particolari di autonomia mentre con l’art. 117 si enuncia il principio dell’interesse nazionale e delle altre Regioni.
La Commissione Bicamerale può solo salvaguardare il rapporto tra territori regionali, risorse economiche e riconoscimento dell’autonomia in istruzione?
Non è solo la sensibilità dei Sindacati della scuola o la suscettibilità dei dipendenti pubblici della Scuola, dell’Università e della Ricerca a fare luce sulle questioni emergenti dal dibattito politico: è l’esigenza unitaria della formazione che cementa il senso di popolo e di Nazione, quello che fa esprimere da parte di tutti, non sempre con grande coscienza, «gli Italiani!». Sono quelli che si riconoscono tali, che si sono formati come tali e non solo quanti hanno votato nell’urna un proprio colore politico!
Quando si tratta di scuola il legislatore deve ritenere che tocca il sacro del Paese, non solo il luogo ma soprattutto i cittadini impegnati nella più sacra delle funzioni: l’evoluzione personale e sociale, il rapporto tra eguali, la ricerca e lo sviluppo delle conoscenze.
Francesco Sofia, Pedagogista, Socio onorario dell’Associazione nazionale dei pedagogisti italiani