Il rapporto mostra che una migliore gestione del territorio contribuisce ad affrontare i cambiamenti climatici, ma non può essere considerata l’unica soluzione. Se si vuole mantenere il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2°C è indispensabile ridurre le emissioni di gas a effetto serra prodotte da tutti i settori
Il territorio è ormai sottoposto, da parte delle attività umane, a una crescente pressione cui si aggiunge quella portata dai cambiamenti climatici. È stato presentato alla comunità italiana il Rapporto Climate Change and Land, un atteso rapporto dell’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc) che indaga le interazioni tra gli ecosistemi terrestri, e la sostenibilità dell’uso del territorio e del suolo rispetto ai cambiamenti climatici.
Un lavoro che ha richiesto la collaborazione di centinaia di studiosi di tutto il mondo che hanno analizzato le pubblicazioni scientifiche disponibili sull’argomento e il cui risultato costituisce il contributo scientifico fondamentale per i prossimi negoziati sul clima e l’ambiente, come la Conferenza delle Parti della Convenzione Onu per combattere la desertificazione che si terrà a New Delhi, India, a settembre (Cop14) e la Conferenza della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Cop25) che avrà luogo a Santiago del Cile a dicembre.
Il rapporto mostra che una migliore gestione del territorio contribuisce ad affrontare i cambiamenti climatici, ma non può essere considerata l’unica soluzione. Se si vuole mantenere il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2°C è indispensabile ridurre le emissioni di gas a effetto serra prodotte da tutti i settori.
Nel 2015, i governi hanno appoggiato l’accordo di Parigi per rafforzare la risposta mondiale ai cambiamenti climatici con il contenimento dell’aumento della temperatura media globale ben al di sotto dei 2°C, rispetto ai livelli pre-industriali, e perseguendo impegni per limitare questo innalzamento a 1,5°C.
Di fronte all’aumento della popolazione mondiale e agli impatti negativi dei cambiamenti climatici sulla vegetazione, il territorio deve rimanere produttivo per garantire la sicurezza alimentare.
Esistono limiti al contributo che dobbiamo attenderci dal territorio per affrontare i cambiamenti climatici, ad esempio per quello che riguarda le colture destinate alla produzione energetica e per quanto concerne l’imboschimento. Inoltre, alberi e suolo hanno bisogno di tempo per immagazzinare efficacemente carbonio. La bioenergia va considerata con attenzione per evitare rischi per la sicurezza alimentare, per la biodiversità, e per il deterioramento del territorio.
Il Rapporto Climate Change and Land sottolinea che si possono affrontare meglio i cambiamenti climatici se si insiste sul concetto della sostenibilità. La gestione sostenibile delle risorse del territorio, ad esempio, può aiutare ad affrontare efficacemente i cambiamenti climatici.
Inoltre, quando il territorio è deteriorato diventa meno produttivo, limita la possibilità di crescita delle coltivazioni e riduce la capacità di assorbire carbonio da parte del suolo. Questa situazione inasprisce i cambiamenti climatici che a loro volta aggravano il deterioramento del territorio in molti modi. Circa 500 milioni di persone vivono in aree colpite dalla desertificazione. Zone aride e regioni sottoposte a siccità sono anche più vulnerabili ai cambiamenti climatici e agli eventi estremi quali ondate di calore, tempeste di sabbia, mentre l’incremento della popolazione provoca ulteriore pressione su queste zone. È quindi necessario, indica il Rapporto, definire soluzioni per affrontare il deterioramento del territorio e prevenire, o adattarsi a futuri e ulteriori cambiamenti climatici.
Altro tema centrale è la sicurezza alimentare dove un’azione coordinata per affrontare i cambiamenti climatici può migliorare la situazione per quello che riguarda contemporaneamente il territorio, la sicurezza del cibo e dell’alimentazione, la risoluzione del problema della fame. I cambiamenti climatici interessano i quattro pilastri della sicurezza alimentare: la disponibilità (produzione e resa), l’accesso (prezzi e capacità di ottenere cibo), l’utilizzo (nutrizione e cucina) e la stabilità (interruzioni della disponibilità).
Il Rapporto evidenzia che circa un terzo del cibo prodotto va perso o sprecato e le cause di questo dato differiscono sostanzialmente tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo, così come differiscono tra regioni. La riduzione di questi sprechi e di queste perdite ridurrebbe le emissioni di gas serra e migliorerebbe la sicurezza alimentare.
Nel Rapporto si legge che esistono modi per gestire i rischi e ridurre vulnerabilità inerenti il territorio e il sistema alimentare. La gestione del rischio può migliorare la resilienza delle comunità agli eventi estremi che impattano i sistemi alimentari. Questo può essere un risultato derivante dal cambiamento di abitudini alimentari o anche di attività finalizzate ad un utilizzo delle colture che prevenga l’ulteriore deterioramento del territorio e favorisca la resilienza verso eventi meteorologici estremi e variabili.
Altri modi di adattamento agli effetti negativi dei cambiamenti climatici riguardano la riduzione delle ineguaglianze, il miglioramento dei redditi, l’equo accesso al cibo in modo da non lasciar che alcune regioni siano svantaggiate. Esistono poi altri metodi per la gestione e la condivisione dei rischi, come i sistemi di allerta precoce già disponibili.
Bassa crescita demografica, riduzione delle diseguaglianze, miglioramento dell’alimentazione e diminuzione degli sprechi alimentari sono poi azioni che potrebbero favorire un sistema alimentare più resiliente e rendere maggiori porzioni di territorio disponibili per bioenergia e, allo stesso tempo, proteggere le foreste e gli ecosistemi naturali.
Anche le politiche che sono al di fuori del dominio del territorio e dell’energia, come quelle sulla mobilità e l’ambiente, possono produrre una differenza rilevante nell’affrontare i cambiamenti climatici. Agire tempestivamente è più conveniente dal punto di vista dei costi poiché è una scelta che contribuisce ad evitare le perdite.
Perché come sottolinea Donatella Spano (Università di Sassari e Fondazione Cmcc), durante i lavori di presentazione, per redigere soluzioni efficienti è necessario accrescere conoscenza e consapevolezza creando tra tutti gli attori coinvolti, amministratori – cittadini – aziende – ricerca, partecipazione, apprendimento, flessibilità, cooperazione. Lucia Perugini (Fondazione Cmcc) sottolinea inoltre come sia necessario cambiare comportamenti, abitudini alimentari, avviare una gestione sostenibile del territorio al fine di massimizzare i benefici di mitigazione, adattamento, biodiversità e contrasto al degrado del suolo.
Perché non c’è adattamento senza mitigazione!
Elsa Sciancalepore