Esploriamo bene bene! Intanto evitiamo proclami trionfalistici; continuiamo ad impiegare questo materiale in usi di nicchia, in strutture chiuse che non ne disperdano le polveri e non comportino contatto diretto, con precise prescrizioni di manipolazione e smaltimento. Precauzione! Non è una parolaccia, né un freno all’impetuoso sviluppo della scienza e della tecnica; è solo una delle componenti di un comportamento intelligente
L’Era del grafene sarebbe quella in cui sta entrando l’industria dei materiali innovativi.
Il grafene da sostituire all’acciaio, alla plastica, al legno e ad altre materie, in migliaia di usi e prodotti solidi, ma anche in processi industriali, e addirittura nel disinquinamento ambientale.
Forma fisica particolare della grafite, il grafene è carbonio puro, legato a se stesso in un unico strato molecolare in reticolo cristallino stabile, solo poco diverso dal diamante (non nel valore, ovviamente) con la stessa resistenza, ma con la flessibilità della plastica, se si vuole, o rigidissimo, se trattato fino a fibra di carbonio; un materiale veramente speciale: resistente, durevole, ecc. Un miracolo per l’umanità?
Così dicono, anche i media ufficiali.
Ma noi siamo i soliti «Tommaso», quelli che ficcano il naso, e ci vogliono vedere chiaro.
Il primo dubbio è facile da alimentare: è tossico?
Già, perché se ci dicono che fra poco ce lo troveremo ovunque, non facciamo come nel passato, con altri materiali «miracolosi», rivelatisi micidiali quando ormai era troppo tardi (tipo l’amianto, giusto per citarne uno a caso).
E basta Wikipedia a inquietare: dopo aver citato lavori scientifici che mostrerebbero i danni cellulari da particelle di grafene, il sito conclude con la seguente frase: «Gli effetti fisiologici del grafene rimangono incerti, e questo rimane un campo inesplorato». Siamo a cavallo!
Quindi, per piacere, esploriamo bene bene! Intanto evitiamo proclami trionfalistici; continuiamo ad impiegare questo materiale in usi di nicchia, in strutture chiuse che non ne disperdano le polveri e non comportino contatto diretto, con precise prescrizioni di manipolazione e smaltimento. Precauzione! Non è una parolaccia, né un freno all’impetuoso sviluppo della scienza e della tecnica; è solo una delle componenti di un comportamento intelligente.
Finché resta per uso di nicchia, non ci poniamo nemmeno il secondo dubbio da tipici rompiuova, cioè se produzione ed impiego massiccio del grafene sia o no sostenibile (altra parola grossa!); nel caso di esplosione produttiva di questa materia, proviamo ad essere preparati anche su questo.
Scartiamo subito l’ipotesi di ricavare il materiale da cavatura di grafite; se i quantitativi necessari dovessero diventare enormi, non possiamo continuare indefinitamente a sventrare altro territorio, ovunque sia.
Anche nell’ipotesi di recuperare tutto il grafene dopo l’uso, lo stock iniziale di risorsa da rendere disponibile costerebbe sacrifici ambientali inaccettabili. Per non parlare dell’impatto dei processi estrattivi anche sulle altre matrici, aria e acqua.
Andrebbe prodotto a partire da altre matrici carboniose, stavolta rigorosamente rinnovabili.
La ricerca si è già profusa in vari tentativi, con interessanti risultati, ma sono pochissime le matrici di partenza che meritano una considerazione, per la natura di rinnovabilità reale o convenzionale che posseggono.
La prima è costituita dalle biomasse. E come potrebbe non essere, visto che sono costituite prevalentemente da carbonio, in buona parte già ridotto? Il range di biomasse teoricamente utilizzabili è amplissimo, dalla legna ai rifiuti organici.
I processi di produzione di grafene da queste matrici sono, comunque, chimico-fisici e alquanto energivori, ma i criteri di valutazione sul loro impiego a questo scopo sono sempre gli stessi di cui si discute, quando si parla di salute del pianeta. Non possiamo pensare di tagliare alberi per fare grafene, né di sottrarre suolo all’agricoltura alimentare per farne biomassa trattabile, e nemmeno di interrompere il ciclo di restituzione dell’organico da rifiuto ai suoli, che ne hanno tanto bisogno. Rientra nella stessa visuale la conversione di biomasse in metano con la digestione anaerobica, industrialmente preferenziale poiché il metano è matrice ideale per la formazione del grafene.
Quindi grafene da biomasse? No, grazie, se non per pochissima quantità.
La seconda matrice ideale è il metano, dicevamo.
Escluso il gas fossile, stavolta non per la sua funzione combustibile ma sempre perché fossile, quindi non rinnovabile e indisponibile indefinitamente, resta la quota di questo gas che eventualmente si potrebbe, stavolta indefinitamente, produrre dall’acqua (via idrogeno) e, udite, CO2 atmosferica!; ciò sfruttando, ovviamente, fonti elettriche rinnovabili (eolico, fotovoltaico, idroelettrico, maree, correnti sottomarine, ecc).
Anzi, un gruppo di scienziati tedeschi dell’Istituto di tecnologia di Karlsruhe (Kit) ha sviluppato un modo semplice per trasformare l’anidride carbonica atmosferica in grafene, utilizzando direttamente l’idrogeno, quindi non transitando dalla forma metano.
Questa soluzione sembra migliore, anche perché appare l’unica in grado di contribuire fattivamente alla sottrazione di CO2 dall’atmosfera, legandola in forma solida stabile a materiali durevoli da «crosta terrestre», per dirla in biogeochimica.
E sembra migliore anche dell’impiego di plastica per fare grafene, da processare con una complicata sequenza chimico-fisica, con produzione di parecchi rifiuti. La plastica lasciamola com’è, solida e duratura; basta la rimuoviamo dall’ambiente e non ne gettiamo altra.
Al momento, però, manca ancora un attento studio, oltre che sui rischi sanitari di questo materiale, sul fabbisogno energetico per sintetizzarlo.
Esclusa la fonte energetica combustiva, per i suoi effetti sul clima, resta il vero rinnovabile, ovvero elettrico da fotovoltaico e forza meccanica naturale (eolico, ecc.). Ma ne avremo a sufficienza per tutti gli altri usi, il giorno in cui lanceremo alla grande la produzione di questa nuova materia prima?
Solo se scioglieremo questi due nodi potremo plaudire convinti all’ingegno umano questa volta, anche da spellarci le mani. Viceversa sarà un’altra trovata miope, destinata a fare più danni dei vantaggi garantiti; come al solito i primi per tanti e i secondi per pochissimi.
Massimo Blonda