Ecco i pericoli che vengono dalle confezioni

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TÜV SÜD MOCA contenitori
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Le normative e le buone pratiche per la filiera alimentare. I cambiamenti nello stile e nei consumi alimentari, la globalizzazione delle filiere, la richiesta di sicurezza in ambito alimentare, relativa oltre che al prodotto stesso anche al packaging e a tutti quei materiali con i quali i cibi vengono in contatto, hanno reso la sicurezza alimentare un aspetto complesso ed articolato per tutti i protagonisti della filiera «dal campo alla tavola»

In occasione della giornata mondiale della sicurezza alimentare, lo scorso 7 giugno l’Oms (l’Organizzazione mondiale della sanità) ha presentato il rapporto 2018 dedicato all’Europa, che mette in evidenza come nel nostro continente, nell’arco di un anno, oltre 23 milioni di persone, 44 ogni minuto, si sono ammalate a causa di cibo contaminato da batteri, virus, parassiti e sostanze chimiche. Una situazione che impatta, non solo sulle persone colpite, ma anche sull’economia e sull’ambiente.

Le abitudini alimentari che coinvolgono anche i consumatori italiani, e che il Rapporto Coop 2018 ha fotografato fornendo informazioni interessanti, stanno cambiando velocemente, con un incremento nell’ultimo decennio del 7,8% del settore della ristorazione e l’affermarsi negli ultimi anni dei piatti confezionati acquistati nella Gdo che crescono del 5,6%.

Cosa sono i Moca

I dati dell’Oms indicano come le sostanze chimiche rappresentino un rischio per la nostra salute. Queste sostanze possono trovarsi nel cibo anche a causa della migrazione dai materiali con i quali è venuto in contatto nel processo produttivo, in quello di trasporto e distributivo o in quello di consumo. Questi materiali, definiti sinteticamente Moca (Materiali e Oggetti destinati a venire a Contatto con gli Alimenti), sono parte integrante della filiera e per essi valgono gli stessi criteri e principi di sicurezza che si applicano agli alimenti. Tra loro ricadono prodotti utilizzati nell’imballaggio come carte, cartoni, pellicole e plastiche; contenitori come pentole e scatole; utensili e stoviglie; componenti utilizzati nelle attrezzature per le lavorazioni alimentari come macchine per il caffè o presenti negli impianti di produzione.

Ai Moca si applicano questi principi di sicurezza perché possono trasferire dei loro componenti ai prodotti alimentari, e in alcuni casi causare la contaminazione dei cibi con i quali vengono a contatto. Questo trasferimento è legato ad una serie di fattori che dipendono principalmente dalla natura e dalla composizione dei materiali e delle sostanze con i quali i Moca sono prodotti, dalla natura e composizione dei cibi, dalla superficie di contatto, dal tempo e dalla temperatura di contatto tra essi ed il cibo.

«La disciplina sui Moca si basa sul principio che non esiste la migrazione zero, vi è sempre un’interazione fra l’alimento ed i materiali con cui esso viene a contatto — dichiara Michela Gallo, Food Contact Service Line Manager presso i laboratori pH —. L’articolo 3 del Regolamento 1935, ad esempio, indica infatti che i materiali e gli oggetti non devono trasferire ai prodotti alimentari componenti in quantità tale da costituire un pericolo per la salute umana, comportare una modifica inaccettabile della composizione dei prodotti alimentari o causare un deterioramento delle loro caratteristiche organolettiche. Questo, tuttavia, implicitamente ammette il trasferimento di sostanze che non vadano a compromettere le caratteristiche di sicurezza e salubrità dell’alimento».

Le norme di riferimento per i Moca

Il caposaldo europeo in ambito alimentare è il Regolamento Ue 178/2002, mentre specificatamente per i Moca, i Regolamenti fondamentali sono il Reg. UE 1935/2004 (quadro) ed il successivo 2023/2006 sulle Buone Pratiche di Fabbricazione (Gmp). Le basi su cui si poggiano i regolamenti sono l’armonizzazione normativa, la valutazione del rischio da parte dell’Efsa (l’Autorità europea per la sicurezza alimentare), la responsabilità dell’operatore alimentare e la rintracciabilità.

In Italia è il ministero della Salute che lavora a fianco delle autorità comunitarie nella gestione a livello nazionale anche per l’allerta rapida comunitaria Rasff (Rapid Alert System For Food & Feed) che, istituita ufficialmente dal Reg. UE 178/2002, prevede che, dopo un controllo ufficiale a seguito di una richiesta da parte di soggetti diversi, venga identificato un rischio per la salute correlato ad un prodotto, a seguito del quale si attiva il sistema rapido di allerta, che prevede la procedura di ritiro dal mercato o di richiamo nel caso di rischio grave. Su questo specifico argomento il ministero della Salute pubblica annualmente una relazione: quella relativa al 2018 evidenzia come le segnalazioni pervenute riguardanti i Moca sono state 138, in crescita rispetto all’anno precedente, delle quali 50 hanno riguardato ammine aromatiche e formaldeide, 34 metalli pesanti, come nichel, cromo, piombo cadmio, 22 per contaminazione industriale e 3 dovute ad alterazioni causate da frodi, etc. I prodotti Moca risultati irregolari provenivano per la maggior parte dalla Cina (96).

Packaging e Moca

Da alcuni dati presentati all’Economic Packaging Conference 2019 promossa dall’Istituto Italiano dell’Imballagio e Conai (Consorzio nazionale degli imballaggi) nel 2018 il fatturato del settore è cresciuto del 2,6% raggiungendo i 33,5 miliardi di euro, mentre la produzione è cresciuta del 2,4%, toccando i 16,7 milioni di tonnellate. Carta e cartone rappresentano il 32% della produzione del settore, ma solo il 23% del fatturato, mentre la plastica pesa per il 18% della produzione ma a valore rappresenta il 46% del settore.

Conclude Michela Gallo: «Quando si parla di test sui Moca, le prime due voci alle quali si pensa sono la migrazione globale, come indice di inerzia chimica, e le migrazioni specifiche con le quali si valuta il tenore di cessione di determinati composti. Questa è tuttavia solo una parte dei requisiti. Deve essere garantita l’inerzia sensoriale mediante test organolettici, come pure l’idoneità tecnologica dei prodotti. Non da ultimo, per numerosi materiali è richiesto il rispetto della conformità della composizione in termini di sostanze autorizzate».

Oltre ad un’ampia gamma di test chimici e prestazionali, eseguiti dai laboratori pH appartenenti al Gruppo TÜV Italia, le aziende vengono supportate dai tecnici del laboratorio anche nella parte di gestione documentale, sia come controllo di dichiarazioni in ingresso, sia nella stesura della Dichiarazione di Conformità che accompagnerà i materiali.

Errori o inesattezze delle Dichiarazioni di Conformità, oltre a costituire potenzialmente una violazione, possono portare a rallentamenti o blocchi nello sdoganamento dei beni.

 

(Fonte Sangalli M&C)