Il Paesaggio cambia sotto i nostri occhi

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Intervista a Marcello Schiattarella, Professore associato di geografia fisica e geomorfologia dell’Università degli studi della Basilicata. «Dopo un quarto di secolo di lavori, la nuova Carta Geologica d’Italia» è ancora incompleta. «Intere espansioni urbane sono state portate a compimento ignorando le più elementari cautele ambientali, spesso con la complicità, inconsapevole o meno, di chi vi si insediava»

Da oggi fino all’8 ottobre si tiene a Matera, Capitale europea della Cultura 2019, il Simposio «Paesaggio fisico e paesaggio culturale – dai borghi fragili ai parchi geoculturali» organizzato dall’Associazione italiana di geografia fisica e geomorfologia (Aigeo), dall’Associazione dei geografi italiani (Agei), dalla Società italiana di geologia ambientale (Sigea) e dall’Associazione italiana insegnanti di Geografia (Aiig), sulle tematiche del paesaggio che rappresentano il fil-rouge delle attività dei sodalizi scientifici coinvolti.

L’evento si svolge presso la nuova sede del polo materano dell’Università degli studi della Basilicata ed è anche prevista un’escursione attraverso quell’unicum paesaggistico costituito dai Sassi e dalle chiese rupestri della Murgia materana. Inoltre, in programma domenica e nella mattinata precedente il Simposio, le diverse associazioni cureranno attività associative specifiche.

Abbiamo voluto porre alcune domande a Marcello Schiattarella, Professore associato di geografia fisica e geomorfologia dell’Università degli studi della Basilicata, che assieme ad Antonello Fiore, Presidente nazionale della Sigea, ha curato la parte organizzativa dell’evento.

Come è organizzata la due giorni del Simposio «Paesaggio fisico e paesaggio culturale» e in che modo si coniugano questi due aspetti del paesaggio?
Studiosi di diversa estrazione si incontrano a Matera per confrontarsi sulle tematiche inerenti il paesaggio nella sua complessità concettuale. Il paesaggio fisico rappresenta la «matrice» sulla quale si innestano il paesaggio antropico, e dunque quello culturale, il paesaggio agrario, il paesaggio sensibile e quello razionale o della memoria. Il risultato della combinazione di base dei caratteri geologici, geomorfologici e climatici di un determinato territorio forgia il paesaggio fisico. Questi stessi fattori determinano e controllano il tipo di impianto vegetazionale e l’uso del territorio da parte della specie umana e delle altre specie animali. L’interazione tra paesaggio naturale e culturale è dunque continua e fortissima, e costituisce le fondamenta della nostra esistenza.

Patrimonio culturale, fragilità territoriale, politiche di valorizzazione, cosa è stato fatto, e non fatto, in Italia?
La comunità del nostro paese è continuamente messa alla prova da eventi naturali di tipo diverso, dalle alluvioni ai terremoti, che ci ostiniamo a definire catastrofi. È invece quasi sempre la nostra specie a compiere passi falsi, e spesso non vuole riconoscere di averli fatti. Si tratta di gravi sciatterie del passato e ancora più colpevoli omissioni del presente. In Italia disponiamo di un ingente patrimonio in beni culturali, artistici e storico-archeologici che abbiamo forse imparato a valorizzare ma che non sappiamo proteggere. Serve una corretta gestione della catena di competenze scientifiche e professionali, prima ancora dei fondi per sostenerle adeguatamente.

La legislazione italiana è adeguata a garantire la salvaguardia del territorio? E la classe politica come si pone relativamente al tema?
Le leggi nazionali e regionali in materia sono numerose e spesso ben formulate. Naturalmente, laddove queste hanno bisogno di sostegno finanziario per funzionare, la classe politica sembra non comprenderne la portata. Valga un solo esempio: dopo un quarto di secolo di lavori, la nuova Carta Geologica d’Italia (varata con un’apposita legge, come successe per la vecchia edizione) è per metà incompleta e in buona parte non editata.

Quali sono le varie figure professionali che concorrono alla difesa del paesaggio e come le stesse collaborano nel raggiungimento degli obiettivi di difesa?
Geomorfologi e geologi del Quaternario per gli studi di base sull’evoluzione dei caratteri fisici del paesaggio, fitogeografi, agronomi e forestali per lo studio e la protezione del paesaggio agrario e boschivo, i geografi per la pianificazione territoriale in senso ampio e strategico a scala dei rilievi e dei bacini idrografici, gli architetti per quella dei tessuti urbani, gli ingegneri idraulici, i geotecnici e i geologi applicati per la protezione ambientale e la progettazione eco-compatibile. C’è spazio per tutti e necessità di tutte quelle competenze, possibilmente in un quadro di maggiore ascolto reciproco.

Quali sono i rischi ambientali che maggiormente incidono sulla salvaguardia dei borghi fragili e quali sono le misure da mettere in campo per difenderli, valorizzarli, non mettendo però in pericolo le comunità?
Intanto va detto che le comunità si mettono spesso in pericolo da sole. È un argomento scottante che non va sottaciuto: intere espansioni urbane sono state portate a compimento ignorando le più elementari cautele ambientali, spesso con la complicità, inconsapevole o meno, di chi vi si insediava. Per i borghi antichi è tutto molto complicato, ma tanto può essere fatto in termini di prevenzione antisismica, per esempio. Se però costruisci nel greto del fiume, l’unica strada è la demolizione senza indugi.

Elsa Sciancalepore