Eurostat propone un metodo di calcolo per valutare quanto un’economia sia circolare. La transizione verso l’economia circolare rappresenta un’opportunità di trasformazione della nostra economia, con possibilità di creare posti di lavoro e generare nuovi e sostenibili vantaggi per l’Europa, ma come si valuta se un’economia è circolare e quanto lo è? Ecco cosa propone Eurostat
La transizione verso l’economia circolare, dove il valore dei prodotti, dei materiali e delle risorse viene mantenuto nel circuito economico il più a lungo possibile e la produzione di rifiuti viene ridotta, risulta essere un contributo essenziale agli sforzi messi in campo dall’Unione europea per raggiungere lo sviluppo sostenibile, un’economia a basso utilizzo di carbone, basata su efficienti risorse ed un’economia competitiva.
Ad oggi manca un «sommario» che ricomprenda tutti gli indicatori sulla circolarità dell’economia a livello macro e micro economico, riconosciuto da tutti i soggetti istituzionali e non.
La Commissione europea ha predisposto la Comunicazione (2018) 29 gennaio 2018, il «Quadro di monitoraggio per l’economia circolare», che valutava i progressi raggiunti nella direzione dell’economia circolare, presentando 10 indicatori ed alcuni sub-indicatori, che comprendono un ampio range di aspetti relativi all’economia circolare, frutto di un lungo processo di negoziazione tra i Paesi Membri.
Le Nazioni Unite hanno creato un gruppo (International Resource Panel) chiamato ad indagare le sfide connesse all’utilizzo sostenibile delle risorse naturali, ad oggi questo ha realizzato diversi rapporti e gestisce ed aggiorna un database sui flussi di materiali.
Esistono poi le esperienze della Fondazione Ellen Mac Arthur e del Circle Economy che propongono delle metodologie da applicare a casi studio su scala mondiale, territoriale, settoriale o di singola impresa per il monitoraggio dell’economia circolare.
A livello italiano, anche a seguito delle sollecitazioni ricevute da imprese, associazioni di categoria, consorzi, rappresentanti delle pubbliche amministrazioni, il Mattm e il Mise, con il supporto tecnico e scientifico di Enea, hanno avviato alla fine del 2017 un «Tavolo di Lavoro» tecnico con l’obiettivo di individuare adeguati indicatori per misurare e monitorare la circolarità dell’economia e l’uso efficiente delle risorse a livello macro (sistema Paese), meso (regione, distretto, settore, ecc.) e micro (singola impresa, organizzazione, amministrazione).
Il nuovo indicatore, elaborato da Eurostat, avvalendosi dell’aiuto di un gruppo di studiosi e con il supporto di soggetti portatori di interesse, è chiamato «tasso di circolarità d’uso di un materiale» (di seguito Cmu), è utilizzato per monitorare i progressi verso l’economia circolare basandosi sulle materie prime seconde, cioè valutando il contributo dei materiali riciclati nel panorama complessivo dei materiali usati. In buona sostanza, il tasso di circolarità nell’uso di un materiale misura la quota di materiale recuperato e re-introdotto in economia, salvando l’estrazione di materia prima, rispetto a tutti i materiali impiegati. L’indicatore comprende i flussi di materiali ma non quelli di acqua, carburanti fossili e energia.
La quantità di materiale riciclato in termini assoluti non è in grado di mostrare quanto un’economia sia circolare. La quantità di materie prime seconde immesse in un processo produttivo potrebbe aumentare nella stessa misura di tutti gli altri materiali. In questo caso non aumenterebbe la circolarità di quell’economia ma semplicemente il riciclaggio.
Per capire quanto un’economia sia circolare, bisogna mettere in relazione i due aspetti, quindi l’equazione è
Cmu= U/M
l’uso complessivo dei materiali è dato dall’uso circolare dei materiali diviso l’uso complessivo del materiale utilizzato in un processo produttivo.
Un alto tasso di Cmu significa che le materie prime seconde hanno sostituito in concreto le materie prime, riducendo gli impatti ambientali dell’estrazione di materiali vergini.
L’uso di materiali riciclati può comprendere sia la capacità del singolo paese di produrre materia prima seconda sia il contributo alla raccolta differenziata dei materiali destinati al riciclaggio. In un’economia chiusa, dove non c’è import-export, i due aspetti coinciderebbero ma nella realtà esistono flussi di rifiuti che vengono importati e/o esportati da un paese ad un altro paese, quindi questi dati non possono combaciare, perché i rifiuti possono essere raccolti in modo differenziato in un paese e poi trattati in un altro paese.
Eurostat ritiene che il tasso Cmu misuri lo sforzo realizzato dal singolo paese per raccogliere rifiuti da riciclare. Questa prospettiva, quindi, dà importanza allo sforzo del paese nella gestione della raccolta differenziata dei rifiuti destinati al recupero/riciclaggio che, indirettamente, contribuisce all’approvvigionamento mondiale di materia prima seconda e quindi all’eliminazione delle materie prime derivanti dall’estrazione.
Il Cmu è strettamente collegato con i diagrammi di Sankey sui flussi di materiali, che giocano un ruolo importante nel monitorare i progressi verso l’economia circolare. Il diagramma mostra
- i flussi di materiali che vengono introdotti in un sistema economico, sia che siano estratti nel paese o importati nello stesso,
- il processo produttivo, che li trasforma da materia a prodotti,
- l’accumulo in stock, la trasformazione in rifiuti e come vengono scaricati nell’ambiente o trattati e re-introdotti nel sistema economico.
L’evoluzione di questo tasso nei 28 paesi membri dell’Ue è in costante aumento, un solo picco di decrescita è stato registrato nel 2011.
C’è una grande differenza di Cmu tra i paesi, applicando la formula proposta da Eurostat, il range, nel 2016, va da poco più dell’1% in Grecia e Romania sino al 29% nei Paesi Bassi.
L’Italia si posiziona sopra il 15%, dietro a Paesi Bassi, Belgio, Francia e Regno Unito.
Per approfondire: Circular material use rate.
(Fonte Arpat)