Già dieci anni fa la superficie impegnata in Puglia era pari a quella del resto d’Italia. I possibili effetti dell’invasione fotovoltaica in aree agricole, dai danni biologici al suolo a quelli idrogeologici. Un esame rigoroso
In seguito all’aumento vertiginoso di richieste per impianti fotovoltaici nel Salento, si parla di aggressione e di problemi che affliggono, complice la malavita, questa parte meravigliosa della Puglia.
A questo proposito, Massimo Blonda, Biologo ricercatore Cnr, propone un originale riflessione da dove si ricava che il problema di oggi ha radici antiche.
Ecco il testo.
Correva l’anno 2010, quando approfondii gli effetti ambientali della proliferazione di impianti fotovoltaici in aree agricole in Puglia. Rileggendo oggi alcuni pezzi che scrissi, non vi trovo niente che non sia ancora del tutto valido, e attualmente preoccupante per quanto sta accadendo in Salento.
Le richieste per le singole centrali fotovoltaiche si riferiscono ormai frequentemente ad installazioni prossime o superiori ai 10 MW, capaci di impegnare grandi superfici agricole, nonostante l’uso di terreni, nelle intenzioni del legislatore, non voleva costituire la prassi, ovvero l’opzione primaria, ma una possibilità alternativa, solo secondaria all’uso di superfici più idonee (es. capannoni industriali, discariche in fase post operativa, singoli tetti, coperture parcheggi, ecc.). Secondo alcune prime stime, relative all’anno 2009, emergerebbe un totale di 738,323 MW istallati, per una superficie totale agricola impegnata pari a circa 2.214 ettari. I primi 2 mesi del 2010, sempre da una prima stima, presenterebbero una richiesta di installazione pari a 405,678 MW, per una superficie totale agricola impegnata stimabile in circa 1.217 ettari. Di fatto la superficie impegnata in Puglia risulterebbe già pari a quella del resto d’Italia.
Risulta pertanto evidente che il fenomeno stia assumendo, o abbia già assunto, dimensioni tali da rappresentare, per i suoi effetti cumulativi, un fattore di impatto ambientale degno di molta attenzione. Infatti gli effetti cumulativi di tali installazioni si potrebbero configurare non soltanto come una semplice sommatoria quantitativa dei singoli impatti, comunque meritevole di una valutazione, ma potrebbero caratterizzare un impatto totale qualitativamente diverso, più grave e imprevisto, specie se si manifestasse, come purtroppo avviene, una particolare concentrazione di istallazioni contigue o prossime le une alle altre in determinate aree del territorio regionale.
I fenomeni cumulativi ipotizzabili riguardano diversi aspetti.
In primo luogo le modificazioni indotte sui suoli delle aree occupate dagli impianti in questione; i suoli potrebbero subire fenomeni di perdita di permeabilità alla penetrazione delle acque meteoriche, sia per effetto delle lavorazioni di preparazione dell’area e di installazione dei pannelli che per trasformazioni successive. Tale fenomeno, associato alla automatica concentrazione delle acque meteoriche solo nei punti di scolo delle superfici dei pannelli solari, potrebbe determinare fenomeni idrogeologici non sottovalutabili, fra i quali il principale è rappresentato da un rapido ed elevato deflusso superficiale. Interessando aree di una certa vastità potrebbe indursi una significativa alterazione dei processi di ricarica della falda, nonché i fenomeni alluvionali e di erosione che ne derivano.
Ulteriore fattore da considerare è quello relativo alla depressione dell’attività biologica associata alla perdita costante di irraggiamento solare delle aree ombreggiate dai pannelli, non compensata, come avviene invece per il sottobosco forestale, dall’apporto di sostanza organica e nutrienti del ciclo biologico della biomassa vegetale e animale sovrastante, né dalla buona prassi delle pratiche agricole, se non espressamente previste nei piani di gestione di tali insediamenti. Piccole aree isolate, destinate a tali istallazioni, potrebbero ricevere comunque, per trasporto e diffusione, apporti naturali dalle aree limitrofe; vaste aree, come pure aree prossime l’una all’altra non separate da sufficienti aree di compensazione dei cicli biologici, non potrebbero giovare nemmeno di questi limitati fenomeni compensativi. In altre parole la componente organico-biologica di queste aree sembrerebbe destinata ad una progressiva riduzione, con una netta accelerazione dei fenomeni di desertificazione, che a loro volta incrementerebbero i fenomeni idrogeologici descritti in precedenza.
Non sarebbe neppure da sottovalutare l’effetto microclimatico determinato dalle installazioni in oggetto, determinato dalla separazione di fatto che si genera fra l’ambiente al di sopra e quello al di sotto dei pannelli, specie se molto ravvicinati e su vasta area, con esiti opposti fra estate e inverno; anche in questo caso è proprio l’entità dell’effetto cumulativo che merita attenzione.
Ulteriore elemento di riflessione meriterebbe la valutazione del ciclo di vita degli stessi pannelli: una così massiccia e contemporanea installazione determinerà automaticamente una altrettanto contemporanea dismissione dei pannelli, con un effetto sui processi di smaltimento degli stessi che deve essere previsto per non tradursi in una ulteriore emergenza.
Ancora da valutare resta l’effetto delle aree pannellate sul comportamento della fauna avicola acquatica migratoria: dall’alto le aree pannellate potrebbero essere scambiate per specchi lacustri. Ancora una volta singoli isolati insediamenti non sarebbero capaci di determinare incidenza sulle rotte migratorie, mentre vaste aree o intere porzioni di territorio pannellato potrebbero rappresentare un’ingannevole appetibile attrattiva per tali specie, deviarne le rotte e causare gravi morie di individui esausti dopo una lunga fase migratoria, incapaci di riprendere il volo organizzato una volta scesi a terra. Ciò sarebbe ancora più grave in considerazione del fatto che i periodi migratori possono corrispondere con le fasi riproduttive e determinare, sulle specie protette, imprevisti esiti negativi progressivi.
Come si può rilevare, anche se le precedenti osservazioni si presentano di tipo prevalentemente presuntivo e qualitativo, il quadro che ne restituiscono non è assolutamente difendibile sul piano della sostenibilità ambientale. Il fenomeno esplosivo dello sviluppo pugliese di tali insediamenti è assolutamente unico in Italia e in Europa, e comunque non ha pari in nessuna altra area mediterranea. Si assiste, cioè, ad un fenomeno del tutto nuovo, pionieristico, del quale non sono mai stati studiati scientificamente gli esiti. Pertanto sarebbe opportuno adottare quanto meno il principio di precauzione.
Massimo Blonda, Biologo ricercatore Cnr