Iran e Puglia, ricercatori e stupidità

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Una ripresa mediante fototrappola
Una ripresa mediante fototrappola
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Otto ricercatori zoologi e biologi della conservazione sono stati condannati da un tribunale in Iran per aver «disseminato la corruzione sulla Terra»: avevano utilizzato fototrappole per monitorare il ghepardo asiatico. In Puglia un Forestale denunciò il direttore di un Parco per aver messo fototrappole in violazione della privacy… ma la denuncia fu archiviata

La notizia fa rabbrividire per il destino delle persone coinvolte ma soprattutto per l’oggetto della questione. La rivista scientifica «Nature», in un editoriale della fine dello scorso mese di novembre ha rivelato che 8 ricercatori zoologi e biologi della conservazione sono stati condannati da un tribunale in Iran a pene da 6 a 10 anni di carcere per aver «disseminato la corruzione sulla Terra». La loro colpa è stata quella di aver utilizzato fototrappole per monitorare il ghepardo asiatico (Acinonyx jubatus venaticus) di cui sono presenti al mondo meno di 100 esemplari, la maggior parte dei quali vive in Iran.

I ricercatori iraniani furono arrestati nel gennaio del 2018 con l’accusa di spionaggio. In realtà lo furono in 9 ma uno di loro, Kavous Seyed Emami, morì per cause sconosciute poco dopo l’arresto. Tutti svolgevano la ricerca per conto della Persian Wildlife Heritage Foundation, un’associazione no profit ben conosciuta che ha stretti legami con le organizzazioni mondiali per la conservazione della natura (come l’Iucn) ed i Programmi Onu per la tutela dell’ambiente.

Ma se dicessimo che un epilogo simile sarebbe potuto accadere in Italia, e precisamente in Puglia? La prima reazione sarebbe dire «non è possibile». E invece lo è, certo non con accuse di stampo religioso ma per «violazione della privacy». Diciamo che sarebbe potuto accadere perché l’esito giudiziario di una storia analoga, realmente accaduta all’allora Direttore di un’importante area protetta, fu l’archiviazione.

L’ufficiale di polizia giudiziaria che denunciò quel Direttore militava e milita nel Corpo Forestale dello Stato (oggi Carabinieri Forestali) ed era alle dipendenze funzionali dello stesso Ente. La denuncia fu depositata presso la Procura territorialmente competente per violazione di alcuni articoli del Codice della Privacy che tutt’ora prevede, per i reati contestati, pene da 2 a 4 anni di carcere ed una sanzione pecuniaria da 10.000 a 120.000 euro.

La colpa di quel Direttore fu, secondo l’ufficiale forestale, quella di non aver adeguatamente tutelato le immagini acquisite dalle fototrappole installate nel Parco per monitorare alcune specie selvatiche, in particola lupo e cinghiale, rendendole così «disponibili» a chi avesse notato la presenza della fototrappola.

Ora, è bene sapere che una fototrappola null’altro è che una macchina fotografica digitale con scheda elettronica rimovibile nella quale si immagazzinano le immagini. Come per qualsiasi fotocamera digitale è anche possibile scaricare le immagini con un apposito cavetto. Qualsiasi tentativo di blindare fisicamente la fototrappola è vano perché il malfattore che se ne volesse impossessare spacca tutto quel che si frappone tra sé e la macchina e se la porta. Allo stesso modo, qualsiasi tentativo di occultarla ha percentuali di successo alquanto basse. Queste informazioni erano ben note al Forestale così come gli era ben noto il posizionamento delle fototrappole nel territorio del Parco. E ben noto gli era pure che quelle attrezzature avevano immortalato in svariate occasioni bracconieri ed altri trasgressori, puntualmente segnalati all’autorità giudiziaria. Chissà se non sia stato proprio questo il problema.

Comunque, evidentemente anch’egli accecato da una sorta di furore religioso, l’ufficiale Forestale andò dal magistrato e consegnò la denuncia. E se una denuncia proviene direttamente da un ufficiale di polizia giudiziaria, il magistrato di turno si guarda bene dal non tenerne conto. L’esito delle indagini però, come detto, non ha reso onore al Forestale perché dopo circa 18 mesi il pubblico ministero archiviò la vicenda per «infondatezza della notizia di reato».

Anche l’Autorità Garante della Tutela dei Dati Personali, coinvolta nella vicenda per la sanzione pecuniaria, archiviò la pratica ed annullò la sanzione dopo aver audito il Direttore incolpevole, scusandosi anche a nome dell’agente Forestale e dicendo che mai era accaduta una cosa del genere e che mai sarebbe dovuta accadere.

La notizia fece il giro di tutti i Direttori di aree protette che sospesero tutte le attività analoghe fino alla conclusione della vicenda. In questo caso la macchina giudiziaria ha lavorato al meglio, ma l’animo di quell’ufficiale Forestale non era molto distante da quello dei giudici iraniani.

 

Fabio Modesti