Luca Parmitano rientrato a Terra insiste nel sottolineare la fragilità del pianeta e nell’urgenza di tutelarlo e metterlo in sicurezza
È rientrato a Terra dopo 201 giorni e una serie di record. Luca Parmitano, astronauta italiano dell’Esa (Agenzia spaziale europea), ha così messo assieme 367 giorni di permanenza nello spazio, nelle sue due missioni, quella del 2013 e quella che si è conclusa lo scorso 6 febbraio con l’atterraggio nelle steppe del Kazakhstan.
Due giorni fa, AstroLuca ha raccontato la sua esperienza nel corso di una conferenza stampa che si è tenuta a Colonia, presso il centro Eac di addestramento degli astronauti europei, dove l’astronauta italiano è stato trasferito dal Kazakhstan, e da dove inzierà la fase di riabilitazione post-missione.
«Il momento più emozionante? Impossibile citarne uno, direi tutta la missione, e tutti i 201 giorni della sua durata. E questo sia per gli aspetti tecnici sia per quelli umani, a cui do la precedenza… Le passeggiate spaziali? Il culmine della mia carriera professionale», ha detto Luca Parmitano, che nella conferenza stampa ha ancora una volta sottolineato quelle che sono le problematiche maggiori del nostro pianeta. La sua missione è chiamata «Beyond», cioè «Oltre», poiché come sottolinea lo stesso Parmitano, guarda oltre i confini della Terra, e si proietta verso la nuova conquista della Luna ormai imminente, e le future missioni a Marte.
Ma la Terra non è un obiettivo di conquista, ma di tutela: «La fragilità del nostro pianeta vista dallo spazio “è vera”», conferma Luca, che già aveva espresso questi concetti nella sua prima conferenza stampa dallo spazio a fine luglio: «Da lassù ti accorgi che quello che hai visto fino a questo momento della Terra è solo una piccolissima parte di un sistema vivente che è a rischio — dice — ma la vita continua ben oltre i danni che stiamo facendo, perché l’universo è predisposto per la vita. Ma bisogna agire».
«Dallo spazio si vede la fragilità, la bellezza della natura che si ribella nella sua capacità devastante di farci sentire piccoli — aggiunge —. Abbiamo visto fuochi bruciare nelle foreste Amazzoniche, in Africa, in Australia. Questa fragilità così evidente ha l’effetto di farci pensare a quale sia l’elemento più fragile? Me lo hanno chiesto anche al summit sul clima all’Onu».
Luca è in piena forma, nonostante le difficoltà, del tutto normali, del post-missione a sole 48 ore dal rientro da una missione di lunga durata: «Devo dire che mi sento in forma, proprio come avvenne sei anni fa — dice Luca, in compagnia del Direttore Generale dell’Esa, Jan Woerner —. Certo è una missione di lunga durata e quindi all’inizio è un po’ dura, ma si recupera in tempi brevi. Mi sento bene, anche se con una sensazione un po’ pesante, perché questo è il primo effetto che sentiamo sul corpo. Ma già sapevo che era così, ero preparato perché era già capitato al rientro della mia precedente missione di 166 giorni».
«Ma questa volta — continua — mi sono sentito molto più a mio agio rispetto al primo rientro a bordo della Sojuz al termine della precedente missione, Volare. La seconda volta è decisamente più facile, un po’ perché psicologicamente sei già pronto, e forse anche perché stavolta l’atterraggio è stato di tipo “verticale”, e dunque meno sollecitato».
«Una missione di lunga durata come questa – dice ancora – è fatta di molti momenti importanti. Dal lato tecnico c’è il lancio e il rientro, le parti più dinamiche e più “sollecitate”, ma poi l’arrivo e l’attracco dei vari moduli, le passeggiate spaziali, gli esperimenti da compiere a bordo… tutto emozionante. E poi il lato umano: gli straordinari collegamenti a terra, sia quelli istituzionali sia quelli con gli studenti, con gli scienziati. Insomma, 201 giorni straordinari».
Luca, sono molti i tuoi record portati a termine in questa missione, a cominciare dal tuo ruolo di comandante, primo italiano e solo terzo europeo ad assumere questo prestigioso incarico…: «Sì, ecco se devo ricordare uno dei momenti di maggiore emozione, questo è avvenuto quando ha preso l’incarico di comandante, rivissuta ancora più intensamente tre giorni fa durante il passaggio di consegne al collega russo Skripochka. In questi mesi l’equipaggio ha fatto un lavoro incredibile, con grande grinta e grande resilienza. Io sono orgoglioso del loro lavoro, e spero che loro lo siano altrettanto. Personalmente sono molto orgoglioso, come italiano ed europeo ad aver svolto questo incarico».
E poi, le quattro «passeggiate spaziali»: «Sì, è stata un esperienza straordinaria. Il culmine della mia carriera di astronauta, finora. Più di 20 ore nello spazio esterno, a lavorare all’apparato Ams, un gioiello tecnologico per aprire nuove frontiere per la scienza. Timori per l’incidente che mi capitò nel 2013? Direi di no, anzi le complessità e le difficoltà sono ancora più stimolanti per migliorare e comprendere al meglio queste grandi sfide».
Antonio Lo Campo