Siamo in una sala d’attesa con due uscite…
Si tratta di pianificare e mettere a regime un nuovo modello economico in grado di approfittare della maggiore efficienza e dei più bassi costi marginali dell’energia rinnovabile, dell’economia circolare, della economia della condivisione e della manifattura digitale con sistemi additivi, per creare una nuova dinamica di sviluppo ad altissima intensità di benessere
Quali sono le uscite da questa sala d’attesa in cui ci troviamo?
È bene che assimiliamo una consapevolezza: dalla porta da cui siamo entrati, non si esce più. Quella porta è chiusa per sempre alle nostre spalle. Sbarrata, murata.
Una metafora per rappresentare il concetto che «nulla sarà come prima».
Guardate, non è una proiezione fantastica, catastrofista per alcuni e radiosa per altri, ma una oggettiva realtà, oramai innegabile. Tutti gli osservatori, gli analisti, gli studiosi di tutte le discipline, ne sono convinti, ma la sensazione, ammettiamolo, è percepita anche da noi; basta pensarci in maniera appena lucida.
Due esempi
Solo per fare qualche esempio, è chiaro come il sole che tantissime piccole attività economiche, sia del futile che di prodotti e servizi importanti, che si reggevano in un equilibrio precario e appena positivo, non avranno la forza di riprendersi, non da sole almeno. E questa è una cosa del tutto nuova, nel senso che, se si vorrà una loro ripresa, il «pubblico» dovrà investire molto e bene.
Ma a questo punto sorgerà l’elementare domanda: servono solo a far lavorare e mangiare chi le fa o sono importanti, «essenziali e indifferibili» come per la prima volta abbiamo classificato le attività antropiche in Italia?
Nel primo caso, c’è altro, sempre sostenuto dal pubblico, che potrebbe occupare le stesse persone ma su cose più utili e importanti, o potrebbero essere favorite forme di partenariato sociale o misto?
Nel secondo, visto che per molte il sostegno pubblico sarà così determinante o del tutto determinante, non è più logico e normale che siano gestite direttamente dal pubblico o assegnate dal pubblico tramite procedure virtuose? Magari con definizione di tetti produttivi, in base a programmazione efficiente e con garanzia di potersi sostenere in base alle reali necessità e senza sprechi sovrapproduttivi e inutili competizioni per l’accaparramento di quote di mercato.
Questo senza assolutamente togliere il diritto, a chiunque, di rischiare in proprio, avviando qualsivoglia attività privata, ma senza sostegno alcuno.
Un altro esempio è legato al fatto che col virus si dovrà convivere, bene o male, anche in misura della non certezza che si possa disporre di vaccini totalmente efficaci ad abbattere ogni rischio. Ciò mentre il rischio di nuove e diverse patologie è possibile che si affacci nei prossimi anni. Il sistema sanitario, quindi, deve cambiare decisamente assetti, scopi, strutture e riferimenti, attraverso gestioni necessariamente pubbliche. In associazione, il peso del welfare generale sarà molto maggiore, rivestendo una funzione preponderante nel mantenimento della capacità di sostentamento e coesione sociale.
Quindi le pubbliche amministrazioni necessiteranno di ristrutturazione e potenziamento, altrimenti non potrebbero reggere tale compito, come oggi sono ridotte e svuotate. Con criteri di efficienza, certo, ma non sempre sotto lo schiaffo delle spending review e quale emblema di parassitismo o burocratismo che il «produttivismo» di questi ultimi decenni ha insinuato nell’immaginario collettivo. E anche questo è un fatto.
Ce ne sarebbero tanti altri, ma questi bastano e avanzano a tornare al concetto da cui siamo partiti: se dalla porta da cui siamo entrati non si può uscire più, da dove si esce da questa sala d’attesa?
Ci sono solo due porte d’uscita, che affacciano su due ben diversi panorami, che non sono miscelabili o sovrapponibili. E dobbiamo adesso decidere da quale vogliamo far sfollare la sala.
La prima porta
La prima porta, che definiremo sul Green New Deal, vero, apre su un periodo di veloce riequilibrio, sia del rapporto fra uomo e ambiente sia all’interno delle società e della distribuzione di risorse e bisogni.
Si tratta infatti di pianificare e mettere a regime un nuovo modello economico in grado di approfittare della maggiore efficienza e dei più bassi costi marginali dell’energia rinnovabile, dell’economia circolare, della economia della condivisione e della manifattura digitale con sistemi additivi, per creare una nuova dinamica di sviluppo ad altissima intensità di benessere.
Il Green New Deal, vero, implica profonde trasformazioni economico sociali che non si limitano alla sola transizione energetica e alla lotta al cambiamento climatico ma comportano anche una nuova strategia di sviluppo economico e occupazionale e la redistribuzione della ricchezza.
Volendo schematizzare per punti un tale disegno, che in realtà non sarebbe scomponibile per settori nettamente separati, potremmo indicarne 13 principali:
- Obiettivi climatici ambiziosi;
- Sovranità energetica con approvvigionamento da fonti sicure, pulite ed economiche;
- Economia circolare nella produzione e nei consumi;
- Efficientamento energetico e materiali sostenibili nell’edilizia, in un piano di ridefinizione dei territori urbani;
- Risanamento dell’ambiente e bonifiche dei territori inquinati;
- Protezione e sviluppo degli ecosistemi e della bio diversità;
- Promozione di una agroecologia sana, post carbon, di filiera corta per la sovranità alimentare, come settore primario della nuova economia;
- Accelerazione verso una mobilità sostenibile elettrica e a idrogeno da fonti rinnovabili;
- Ripopolamento sostenibile di piccoli centri e delle campagne, con la costituzione di una rete di comunità resilienti e totalmente autosufficienti;
- Definizione di azioni di mitigazione e adattamento al cambiamento climatico sulla base delle aree climatiche omogenee alla dimensione territoriale;
- Costruzione di un nuovo welfare adeguato al cambiamento, sia per il servizio sanitario sia per il superamento del rapporto assoluto lavoro-salario-sostentamento;
- Sviluppo di un sistema di valuta locale composita (banche delle materie, delle competenze e del tempo);
- Sviluppo di un nuovo Sistema sanitario pubblico nazionale e sovrannazionale (europeo) in grado di rispondere alle vere sfide della medicina moderna, le malattie croniche degenerative e un sistema sanitario di allerta in grado di rispondere in maniera «militare» alle pandemie.
Certamente nessuna di queste linee strategiche potrebbe essere realizzata immediatamente, da sola e per intero, ma nel periodo di transizione almeno non dovrebbe essere sostenuta nessuna misura che andasse nel verso opposto.
Nei due esempi che facevamo all’inizio per richiamare il concetto del «nulla sarà come prima», abbiamo ragionato come se fosse questa la naturale porta di uscita dalla sala d’attesa. Ma purtroppo c’è la seconda porta.
La seconda porta
Definiremo questa come la porta del Wbas (Worsened Business As Usual), ovvero il solito sistema, ma peggiorato. Cioè nulla di profondamente diverso nella logica di sfruttamento lineare del pianeta e dell’uomo sull’uomo, ma con una drastica degenerazione di tutte le dinamiche negative che la sorreggono e ne sono conseguenza. Non ci vuole tanta fantasia a immaginare di quale scenario parliamo, perché le avvisaglie già si cominciano a manifestare.
Per prima cosa il Wbas avrà bisogno di un controllo totale sulla possibilità di reazioni sociali, e comunque di qualsiasi rischio di derive rispetto alle pianificazioni: servirà un controllo e una forte censura su ogni forma di informazione e circolazione delle idee, il divieto assoluto di manifestazioni e assembramenti, il costante distanziamento sociale e la limitazione alla libera circolazione delle persone e il loro tracciamento. Il pretesto dell’emergenza sanitaria continua è un’ottima condizione di base e proprio questi giorni anche il nostro governo sta ventilando questa possibilità. E servirà assolutamente il 5G.
Poi serve l’abbattimento di tutte le limitazioni «burocratiche» (così le chiamano) cioè i vincoli paesaggistici, ambientali sanitari e antimafia. Il pretesto sarà la necessità di una libera e potente ripresa economica, come se l’altra strategia di cui parliamo non rappresentasse anche una potentissima ripresa di sviluppo in tutti i sensi. Da organizzazioni datoriali a qualche scimmia urlatrice politica, già questa cosa viene arrogantemente riproposta, rimbalzando proprio dalla Cina e dall’America.
In associazione al «liberi tutti», quelli che ne hanno la possibilità iniziale, ovviamente, sul piano globale servirebbe consolidare l’estrattivismo fossile, magari approfittando delle aree ricchissime di giacimenti liberate dallo scioglimento di ghiacci e permafrost. Ma senza abbandonare la strategia di Bioeconomia, già assaporata dalle multinazionali, in base alla quale tutta la materia biologica diventa materia di modifica, trasformazione e appropriazione brevettuale, in associazione al divieto di autoproduzione, raccolta o comunque fruizione libera. Anche qui lo spauracchio igienico sarebbe ottimo pretesto.
La produzione di cibo, poi, sarebbe un’ulteriore occasione per industrializzare il suolo, spazzando via ogni resistenza a chimica, Ogm e monocolture, attraverso cui far sparire anche residui di agroecologia e pratiche biologiche e biodinamiche.
Questo scenario Wbas comporterebbe di fatto un’ulteriore drastica concentrazione di ricchezze e potere nelle solite poche mani, perché si genererebbe su un parterre iniziale molto cambiato, come sappiamo, in cui tutta la capacità di produrre servizi e oggetti da piccole e medie realtà è stato annientato. Basterà distribuire al «popolo» elemosine di sostentamento minimo (tanto devono stare prevalentemente in casa), e far pervenire risorse solo alle solite grandi imprese, attraverso le solite grandi banche.
In questo scenario il ruolo della criminalità organizzata sarebbe cruciale, cioè garantirebbe al sistema «alto» una gestione del sommerso illegale che sarebbe lo sfogatoio di tutte le incontenibili frustrazioni sociali che dovessero emergere. Un vero contrabbando di scampoli di vita, pagato al costo di un controllo aggiuntivo a quello ufficiale.
Resta ancora più inquietante il modo ancora non molto chiaro in cui, come si sente dire insistentemente, si dovrà abbattere di due terzi la popolazione mondiale. Intendiamo il modo ulteriore rispetto agli effetti automatici del Wbas, che non sarebbero certo leggeri.
Questa condizione è assolutamente necessaria al Wbas, per fronteggiare la riduzione comunque di risorse e il naturale peggioramento delle condizioni ambientali. Se siamo un terzo, ben distribuiti e regimentati, il Wbas può durare a lungo.
Irrilevante, infine, sarebbe il problema degli assetti di governo, dal locale al globale. Non servirebbe nessuna particolare e lenta procedura di modifica di costituzioni e regimi. In emergenza continua si instaura una dittatura di fatto, che basta tenere in vita con pretesti vari.
Ora sta a noi decidere, finché ne possiamo ancora parlare: da quale porta vogliamo uscire? Se aspettiamo che qualcuno ce la apra, è bene che ne siamo certi: sarà la seconda.
La prima tocca a noi aprirla, e ci vorrà tanta forza.
Massimo Blonda