In questi giorni abbiamo imparato ad apprezzare l’utilità della ricerca anche se il panorama mondiale della scienza ha dato risposte diverse a seconda delle nazioni e delle politiche vigenti. Il che la dice lunga sulla non univocità delle soluzioni. Che si continui a studiare, certamente, ma nel frattempo si possono eliminare gli inquinanti certamente non buoni per gli umani?
Un rapporto diretto fra smog, qualità dell’aria e malattie respiratorie, è una condizione acquisita che da anni si arricchisce di dati e conoscenze.
Si va dalle bronchiti alle allergie, dai tumori alle polmoniti… Le aree dove vi sono aziende inquinanti sono state poi particolarmente studiate anche se lì vi è un surplus di metalli pesanti.
Addirittura nel 1996, la bronchite cronica fu considerata, per i vigili urbani, malattia professionale; lo stabilirono i giudici del tribunale civile di Monza ribaltando una sentenza della Pretura di Milano annullata dalla corte di Cassazione.
Secondo un rapporto dell’Oms del 1992, ogni anno gli agenti chimici e biologici presenti nell’ambiente umano causano o contribuiscono alla morte di milioni di persone soprattutto bambini e all’infermità di centinaia di milioni di altri. Centinaia di milioni di persone soffrono di malattie respiratorie legate all’inquinamento; altrettante sono sottoposte ai rischi chimici; cibo e acqua contaminati causano la morte ogni anno di quattro milioni di bambini per affezioni diarroiche; due milioni di persone muoiono di malaria e 267 milioni la contraggono.
E non mancano responsabilità a carico anche delle polveri sottili.
Ininterrottamente gli studi ci hanno messo sull’avviso dei pericoli del nostro stile di vita, ma, pare, con scarse virate verso i cambiamenti.
Ora che la pandemia da Covid-19 ci ha imposto nuove abitudini, si cerca di andare più a fondo. Così uno studio dell’Unità investigativa di Greenpeace Italia, in collaborazione con Ispra, indaga i settori maggiormente responsabili del particolato in Italia.
E si scopre che a formare lo smog della Pianura Padana, oltre a ossidi di azoto e di zolfo, concorre in maniera importante l’ammoniaca che, liberata in atmosfera, si combina con questi componenti generando le polveri fini. Cruciale il ruolo degli allevamenti, responsabili di circa l’85 per cento delle emissioni di ammoniaca in Lombardia. Secondo l’Arpa regionale, l’ammoniaca che fuoriesce dagli allevamenti «concorre mediamente a un terzo del PM della Lombardia, ma durante gli episodi acuti tale contributo aumenta superando il 50 per cento del totale».
Mentre in Lombardia è chiaro il peso del settore allevamenti per l’inquinamento da PM, a livello nazionale la ricerca dell’Unità investigativa di Greenpeace Italia in collaborazione con Ispra mostra per la prima volta, dal 1990 al 2018, una media di quali settori abbiano maggiormente contribuito alla formazione del particolato PM2,5. Nell’analisi viene scattata anche una fotografia del 2018, anno in cui i settori più inquinanti si confermano essere il riscaldamento residenziale e commerciale (37 per cento) e gli allevamenti (17 per cento). Questi due settori insieme sono la causa del 54 per cento del PM2,5 nazionale. La percentuale del contributo degli allevamenti non è mai diminuita, anzi è passata dal 7 per cento nel 1990 al 17 per cento nel 2018.
Per questo, è recentemente nato il progetto Pulvirus. Lo scopo è di offrire a istituzioni e cittadini informazioni, risposte e indicazioni, sulla base di dati scientifici, competenze ed esperienze in tema di inquinamento atmosferico e Covid-19. L’iniziativa è grazie all’alleanza scientifica fra Enea, Istituto superiore di sanità (Iss) e Sistema nazionale per la protezione ambientale (Snpa, composto da Ispra e dalle Agenzie regionali del sistema nazionale per la protezione dell’ambiente). Si tratta di un’iniziativa di respiro nazionale in raccordo con il Servizio pre-operativo nazionale in via di definizione «Qualità dell’Aria – Mirror Copernicus» e in stretto rapporto con il progetto europeo Life-Prepair sul bacino padano.
Certo, queste attenzioni, questo fervore di ricerca, questo voler sapere di quanto incide la tale sostanza su… ci riempie di gioia e di sicurezza. In questi giorni abbiamo imparato ad apprezzare l’utilità della ricerca anche se il panorama mondiale della scienza ha dato risposte diverse a seconda delle nazioni e delle politiche vigenti.
Il che la dice lunga sulla non univocità delle soluzioni.
Ora, al cittadino comune, il famoso uomo della strada, interessa poco sapere chi ha ragione, interessa stare bene, evitare questi pericoli e condurre i suoi 80-90 anni in serenità e in buona salute.
Sappiamo che i tempi della ricerca non sono quelli umani, soprattutto nelle risposte perché le variabili in gioco sono veramente tante. Però, sapere di quanto gli ossidi di azoto e i vari PM incidano nella morte del 10-20-30 % dei cittadini che non ce l’hanno fatta e non ce la faranno, francamente ha poca importanza per coloro che ci hanno lasciato. Un po’ come sapere quanti sono i morti delle varie guerre…
Che si continui a studiare, certamente, ma nel frattempo si possono eliminare gli inquinanti certamente non buoni per gli umani, e, giacché ci siamo, non possiamo sospendere le guerre che certamente non portano un miglioramento all’umanità?
I. L.