Fermare la distruzione della storia
In questo mare definibile oggi «maremagnum» eccoci alle prese con l’invisibile che fa strage. Ha come un’intelligenza artificiale e infatti seleziona, sceglie e comincia da coloro che sono depositari di ricordi. Come se sapesse che è meglio togliere di mezzo gli ultimi partigiani e qualche superstite di shoah. L’invisibile sa che è difficile il negazionismo e che è più facile eliminare i testimoni della memoria. Decapitare le nostre memorie!
Spazio delle considerazioni. A più voci si afferma: questo tempo ci cambia, non sarà più come prima!
Si affermò la stessa cosa dopo quell’11 settembre del «siamo tutti americani»: sappiamo che non è stato così perché forse potremmo anche affermare «meno male» perché non vorremo un Tramp nelle nostre giornate del tutto italiane. Non è stato così per un altro motivo; perché ad esempio come condividere il muro del Messico?
Eppure qualche italiano avrebbe proposto una diga all’italiana, tanto per frenare i flussi d’acqua e non consentire approdi al più antico dei continenti.
L’antropologia che studia l’evoluzione della specie ci avverte che dalla linea del Nilo l’Homo sapiens ha varcato tutti i confini e guarda un po’ che cosa succede oggi: su questo mare per modo di dire «nostrum» crocevia di fenici, cartaginesi, romani, normanni, turchi quasi come a gioco del tiro a piattello c’è il ripercorrere di barche non più di pirati, ma di mani protese anelanti l’approdo.
Difendiamo le nostre memorie
In questo mare definibile oggi «maremagnum» eccoci alle prese con l’invisibile che fa strage. Ha come un’intelligenza artificiale e infatti seleziona, sceglie e comincia da coloro che sono depositari di ricordi. Come se sapesse che è meglio togliere di mezzo gli ultimi partigiani e qualche superstite di shoah. L’invisibile sa che è difficile il negazionismo e che è più facile eliminare i testimoni della memoria. Decapitare le nostre memorie!
E allora? Corriamo ai ripari: raccontiamo ancora mentre è possibile visto che resta ancora qualcuno che possa dire dei nostri anni andati. Prima che la dimenticanza cancelli di sapere dei connubi tra americani e mafia di Sicilia, tra americani e emigrazione del sud verso tutti i nord del mondo.
L’Europa dell’unione non è tutta il risultato di una fantasia e di un’utopia possibile: di essa fanno parte tanti che agognano recuperi sociali a discapito degli interessi di altri e così le nostre intuizioni, le nostre fabbriche, senza muri di protezione sbarcano oltre confini.
Gli egoismi nazionali
Se io ti impoverisco tu svenderai il tuo patrimonio: ma, scusate, non è la tecnica della mafia? Eppure è la Francia che compra pezzi italiani, è la Germania che fa altrettanto. Ho visto Alonisos, splendida isola delle Sporadi, germanizzarsi, e così via. Le squadre di calcio! Ma se i patron sono stranieri che cosa vuoi che gliene importi del tifo in trasferta e dei contagi. Prenda il virus anche Maldini, importante è salvare il flusso di danaro. Vai avanti Atalanta e beccati l’invisibile, tanto lo menerai a Valencia e a Lecce e i tardo mentali degli italiani possono mettersi a ruota, del resto ad un gioco di piedi può benissimo corrispondere il ragionamento fatto con i piedi.
Non saremo più come prima? Forti dubbi perché non è la paura che cambia la mentalità; anzi contagia altri scontri. Non avevamo pensato che dopo il ’45 non sarebbe stato più come prima? E si era fabbricato l’Onu. Poi i caparbi fautori della rivalsa tra terrorismo e P2 e ancora di movimenti clandestini anarchici ci hanno riportati nel terrore e nel baratro e siamo sempre alla ricerca di anticorpi!
Tutti costoro hanno anche il web: chi avrebbe pensato a questo alleato occulto, anonimo, ai suoi virus. Così lo stesso termine viaggia tra digitale e infezione.
Scientificamente si sa, gli anticorpi sono dentro gli organismi, dentro di noi se ne abbiamo e quindi la cura antivirus è tutta protesa all’interno della nostra capacità di reazione.
Cercare nella situazione attuale quale possa essere il virus che cova e poi esplodere al momento della riedizione del-noi-prossimi-per-tutti: è facile, è difficile? L’uno e l’altro «vossignoria»! Eppure c’è qualche barlume che potrebbe indicare il «dopo». Non va cercato nell’ufficialità e nella pubblica manifestazione del sentire; va intravisto dentro i segni che si manifestano; essi sono più per creare proseliti che per significare progetti. Infatti le svastiche diffuse, moltiplicate in questi giorni, possono essere un progetto?
Simboli distruttivi
Esse sono simboli, vessilli, indicazioni di radici, indicazioni di campus pronti a germinare, come il maggese che si prepara alla semina per il pascolo raffinato della primavera. Le svastiche sono come un aratro, dissodano, rendono plausibile un simbolo che ha dietro un’idea, che ha dietro un discorso, che ha dietro una proposta, che ha dietro uno spazio, che ha dietro un obiettivo che ha dietro un’azione, che ha dietro un fine, che ha dietro… un cambiamento, che ha dietro una rivoluzione, che ha dietro un potere… che ha dietro una schiavitù, diremmo un’economia in senso lato circolare, rigeneratrice di antiche censure, antiche soggezioni, antiche soluzioni, vecchie pretese, antiche violenze, passata dittatura.
Attenzione al «non saremo come prima!». E se nel prima c’è la democrazia? E se c’è una libertà? E se c’è ancora una possibilità virtuosa della pace?
Il problema è allora: aggiustiamo questo presente, purifichiamolo, potiamolo, dissodiamolo, innaffiamolo, alimentiamolo, difendiamolo, curiamolo, rilanciamolo; e se questo è… saremo come prima, più di prima, migliori di prima, non surrogati e ricordi di un tempo del «si stava meglio quando si stava peggio»!
È un lavoro, il lavoro… buon lavoro!
Francesco Sofia