Le foreste offrono molteplici ricchezze, dall’ambiente, alla salute, all’economia ma nel concreto non siamo in grado di fare una gestione corretta e si finisce per fare un mare di danni
La bioeconomia riveste un ruolo di grande importanza nell’ambito dell’economia circolare, come rilevato anche dall’ultimo Rapporto curato del Circular Economy Network in collaborazione con Enea. Per essere circolare e sostenibile, la bioeconomia deve essere in primo luogo rigenerativa, utilizzare cioè le risorse naturali compatibilmente con la loro resilienza e contribuire alla loro rinnovabilità, mantenendo nel tempo la fertilità dei suoli e le altre condizioni ecologiche che consentono di rigenerarle.
In questo contesto il settore forestale gioca una funzione chiave, in riferimento anche alle sue potenzialità di produzione bioenergetica (biomasse legnose ad uso energetico) e di trasformazione del legno.
Le foreste offrono molteplici ricchezze, dall’ambiente, alla salute, all’economia e non solo; in campo ambientale gestire bene i boschi significa anche avere effetti positivi sui cambiamenti climatici, evitando incendi, dissesti idrogeologici e tanto altro ancora.
Una gestione forestale sostenibile è dunque quella attenta non solo alla funzione produttiva di lungo termine, ma anche al mantenimento delle funzioni ecosistemiche e di regolazione forniti dalle foreste stesse.
In Italia però, come lo stesso Rapporto ci sottolinea, si registrano dei problemi nella gestione delle foreste, che vanno dalla scarsa organizzazione e bassa remunerazione e dalla riduzione dell’investimento pubblico, ai danni generati dai cambiamenti climatici (siccità, incendi, uragani, fenomeni franosi), dalla carenza di iniziative pubbliche e private per la gestione forestale sostenibile e per il miglioramento e la valorizzazione delle specie autoctone, all’insufficiente attivazione e scarsa collaborazione con l’industria nazionale di trasformazione del legno, grande utilizzatrice di legno importato. A quest’ultimo proposito si ricorda che il patrimonio di legno disponibile in Italia risulta oggi sottoutilizzato e, nonostante il fatturato e la forza lavoro impiegata nell’industria del legno e della carta, circa l’80% del legno utilizzato nel nostro Paese è ancora importato, dato paradossale se si pensa all’immensa superficie boscata del territorio nazionale.
Uno studio condotto da Crea e Università di Firenze è andato ad analizzare la filiera foresta-legno seguendo l’approccio della bioeconomia circolare, studiando cioè i flussi di materiali legnosi e le emissioni di anidride carbonica derivanti dal processo produttivo e quantificando le 4R dell’economia circolare (Reduce, Re-use, Recycle, Recover).
La ricerca, svolta nell’ambito del progetto Life14 CCM/IT/905 «Recovery of degraded coniferous Forests for environmental sustainability Restoration and climate change Mitigation» (FoResMit), si è concentrata sulla foresta di Monte Morello in Provincia di Firenze successivamente agli interventi di diradamento realizzati nel corso dell’attività progettuale.
I risultati hanno quindi evidenziato come i diradamenti eseguiti non siano riusciti, nel caso della foresta in questione, ad ottimizzare gli assortimenti legnosi commercializzati, puntando unicamente sulla produzione di cippato.
Questo fatto ha avuto due effetti, uno negativo dal punto di vista economico e del tempo di vita dei prodotti, un altro invece positivo per quanto riguarda le emissioni di anidride carbonica, soprattutto in riferimento a quelle evitate impiegando fonti rinnovabili anziché fonti fossili, e per la valorizzazione energetica di una parte del legno morto presente in grande quantità nella foresta.
(Fonte Arpat)