Quello che la Sigea nella nota chiede a gran voce è di avviare un confronto tra Adsp e le Associazioni di protezione ambientale e quelle che rappresentano la società civile e questo al fine di affrontare e chiarire tutte le questioni di carattere tecnico-scientifico e ambientali rimaste aperte per il completamento della colmata chiedendo, inoltre, di mettere in atto meccanismi che permettano di poter accedere ai documenti e di poter esprimere liberamente le opinioni tecnico-scientifiche e le valutazioni dei costi
È stata oggetto di un recente dibattito mediatico la realizzazione, pareri favorevoli e contrari, della colmata di Marisabella nel porto di Bari.
Ma facciamo un po’ di storia…
Il completamento dell’ansa di Marisabella, o sarebbe meglio scrivere Mar Isabella in onore della duchessa di Bari (Isabella d’Aragona) che ai primordi del 500 curò la bonifica del torrente Picone che sfociava nell’insenatura, è un’opera pubblica «traumatica e incompiuta» di cui si comincia ad aver ricordo nella seconda metà del 900 con la realizzazione della colmata, realizzata solo per 1/3 del suo sviluppo totale, alla fine anni degli anni 90 sempre del secolo scorso.
E quello a cui si assiste oggi è una ripresa dei lavori di completamento della colmata nel porto di Bari che ha riportato di attualità e ha fatto rivivere le diffuse situazioni di «opere incompiute» presenti sul territorio nazionale. Opere che ieri come oggi vengono spesso giustificate dalle Autorità locali in virtù di valutazioni relative a perdite di risorse economiche, di competitività e di posti di lavoro con conseguenti soluzioni tecniche, forse non sufficientemente e opportunamente valutate nella loro globalità rispetto a potenziali, ma possibili, modificazioni fisico-ambientali «irreversibili» a cui sarebbero sottoposte le aree interessate dall’intervento «antropico».
Ma quello di cui ci si lamenta oggi non è solo il motivo della ripresa di talune opere bensì anche il metodo utilizzato per informare la comunità della realizzazione di tali attività con la messa in scena di rapporti tra Associazioni di protezione ambientale, Comitati cittadini (in tema in prima linea ritroviamo «Salviamo il mare di Marisabella al porto di Bari») riuniti nella Consulta comunale dell’ambiente di Bari e l’Autorità Portuale che sembrano nei fatti sospesi con la diffusione solo di notizie parziali e indiscrezioni di stampa.
In argomento si è espressa anche la Società italiana di geologia ambientale (Sigea) la quale ritiene che gli importanti interventi di trasformazione e di completamento della colmata nel porto di Bari interessino, per gli sviluppi che ne derivano, i vari livelli territoriali su cui tali decisioni ricadono e quindi partendo da quello metropolitano sino a quello transnazionale.
La Società inoltre nella «richiesta di un confronto sulla ripresa dei lavori» inviata alla Autorità di sistema Portuale del mare Adriatico meridionale (Adsp) e per copia conoscenza alla Consulta comunale dell’ambiente di Bari, lo scorso 4 settembre, considera come alcuni elementi di carattere tecnico-ambientale evidenziati e discussi diversi anni fa, ed eventualmente altri aggiuntivi, sarebbe opportuno riconsiderarli nell’attuale riattivazione dei lavori.
Due i punti importanti da ridiscutere…
La presenza di acque pluviali «urbane» e di acque sotterranee interessanti la colmata e l’area urbanizzata prossima a essa e i meccanismi del loro smaltimento. Quello che si deve gestire sono due tipologie di acque che avevano e hanno come recapito finale l’ansa di Marisabella e che ai fini della salvaguardia idraulica della colmata e in particolare del costruito presente nell’hinterland immediatamente prospiciente la stessa, necessitano della realizzazione oltre che di due canali trasversali che attraversavano la colmata, di un fondamentale «canale di guardia» posto a monte della stessa.
Il secondo punto riguarda invece le attività di sbancamento del «basamento roccioso carbonatico» costituente il fondale del porto prospiciente la colmata e la necessità di eliminare parte delle rocce carbonatiche del basamento del fondale ipotizzata per aumentare la profondità di pescaggio dell’area. Un intervento costoso e dagli impatti non secondari dove la Sigea aveva proposto, e riporta alla mente, di prevedere una rete di monitoraggio sismico con «geofoni» disposti nell’area portuale e nell’area urbanizzata prospiciente l’operazione, intervento che permetterebbe di misurare «in continuo» l’entità della propagazione delle onde microsismiche generate dall’esplosivo utilizzato.
Quello che la Sigea nella nota chiede a gran voce è di avviare un confronto tra Adsp e le Associazioni di protezione ambientale e quelle che rappresentano la società civile e questo al fine di affrontare e chiarire tutte le questioni di carattere tecnico-scientifico e ambientali rimaste aperte per il completamento della colmata chiedendo, inoltre, di mettere in atto meccanismi che permettano di poter accedere ai documenti e di poter esprimere liberamente le opinioni tecnico-scientifiche e le valutazioni dei costi. Perché è indispensabile che la cittadinanza attiva venga a conoscenza delle operazioni in essere e in divenire con azioni partecipate e condivise e con la realizzazione di un percorso certamente più lungo e più complesso che risulta però l’unico modo, in controtendenza rispetto a decisioni verticistiche e tecnocratiche-economicistiche, per affrontare tematiche che riguardano il territorio, bene comune in un Paese che pensa alla tutela dell’ambiente e al benessere dei suoi cittadini.
Elsa Sciancalepore