C’è una pedagogia dell’ascoltare e del parlare: l’educazione non solo a tacere perché ciò sarebbe banale sospensione del baccano ma quella a godere del senso della pace e bene che il Povero di Assisi riverbera sui fratelli del tempo presente e che Il Pellegrino Bianco proclama nelle rotte diverse di questa nostra epoca
Che il silenzio abbia la sua voce lo abbiamo appreso prima di tutto dalla musica. L’arte dei suoni indica il valore delle pause in tutte le dimensioni della loro durata: il contrasto tra le battute dei suoni e quelle di interruzione dà spessore all’estensione del canto e all’esecuzione strumentale. È come il gioco tra luce e ombra che lascia campo ai primi piani, alla vigoria delle membra della Pietà di Michelangelo, alle espressioni pittoriche del Caravaggio.
Che il silenzio abbia forza è la risultante del rapporto tra frastuono e pausa, tra vocio e riflessione. A questo genere di silenzio non sono le immagini a dare risalto, non sono le onde sonore a dare alta definizione: è il procedere solitario, l’apparire e il disconnettersi, il «guardare e passare» dantesco che, però, suggeriva la «non cura»; invece ecco il silenzio che accarezza l’ostacolo, addolcendolo e sminandolo.
Se volessimo assomigliarlo ad un colore: è il bianco steso sul groviglio di colori in tempesta, arruffati contro l’armonia, quale velo a cancellare le distorsioni, a dichiarare la pace al campo reso disposto ad accogliere altri colori e immagini come a dire che la poesia dell’esistenza può riprendere il ritmo dei sentimenti riappacificati.
Nel tempo di aggressioni verbali, denunce, denigrazioni e ingiurie che cesellano l’ambiente avverso ad ogni capacità dialogante, in questo tempo che imbavaglia ma non smorza i linguaggi avversi, in questo tempo votato alle solitudini strategiche e all’allontanamento prudente… ecco il silenzio.
Il Pellegrino Solitario ascende in silenzio i gradini della basilica nel giorno di Parasceve e ora sosta silenzioso presso il nudo Sasso del povero di Assisi; alza la voce per dire sommessamente e solennemente fratres omnes; fa contrappunto al gridare di quanti, governanti di tanti fratres, usano altri toni e termini per spronare proseliti e battere avversari.
Il Pellegrino Bianco, dalle scarpe spesse, con la borsa appresso, silenzioso ascoltatore di critiche e invettive, percorre le strade del mondo come uno specchio che riverbera luce e sorriso: le due forze del silenzio che si tramuta in parola. Tutto sta nell’interpretare questo logos che lascia ad ogni coscienza la libertà di riascoltarlo in qualsiasi momento, senza tema di dovere sospendere la pubblicità invadente.
C’è un libro della Bibbia denominato «Qoèlet»: il termine ebraico indica «colui che parla nell’assemblea» per cui fu tradotto con «Ecclesiaste» (cioè colui che parla nell’Ecclesìa). Ebbene, al cap. 9, v. 17 si legge: «le parole calme dei saggi si ascoltano più delle grida di chi domina fra i pazzi». La traduzione latina preferiva all’aggettivo calme la situazione topica «in silentio», un esaltare l’atteggiamento dell’ascolto come humus proprio per farsi raggiungere dalla saggezza.
Quando il grande profeta Isaia parla dell’Oracolo proclamato alla partenza degli ambasciatori inviati da Ezechia al grande Faraone di Egitto perché venisse in soccorso del popolo ebraico contro gli Assiri che lo detenevano lontano dalla Terra Promessa, l’Oracolo esprime un canto di speranza: «nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza, nell’abbandono confidente sta la vostra forza» (Is., 30, 15). Anche qui lo stare nella calma era stato tradotto nella versione latina con «in silentio». Nei due casi la versione latina ha usato l’interpretazione in forza della quale giunge il messaggio: non si tratta di calma nervosa ma di quella che nasce dall’ascolto e quindi dal silenzio in cui l’Oracolo parla e viene accolto.
Questa digressione biblica ci induce a cogliere lo spirito con cui il Pellegrino Bianco saliva da solo e in silenzio i gradini della basilica e ora sosta solo presso il Sasso di Assisi; ha ascoltato e dalla situazione pacifica interiore e mentale sboccia il proclama della Fraternità.
C’è una pedagogia dell’ascoltare e del parlare: l’educazione non solo a tacere perché ciò sarebbe banale sospensione del baccano ma quella a godere del senso della pace e bene che il Povero di Assisi riverbera sui fratelli del tempo presente e che Il Pellegrino Bianco proclama nelle rotte diverse di questa nostra epoca.
Sulla critica iconoclasta di monsignori e signori si staglia nel grande silenzio la Voce che parla alle coscienze e che, abbattendo barriere, muri e mari procellosi, annunzia il grande Oracolo che riconosce la salvezza e la forza.
Quale più salubre augurio per il nostro tempo?
Francesco Sofia, Pedagogista, Socio onorario dell’Associazione nazionale dei pedagogisti italiani