Un nuovo studio internazionale, pubblicato su «Nature Geoscience», fornisce prove biogeochimiche sui cambiamenti ambientali e climatici che hanno portato alla più devastante estinzione della vita sulla Terra nel passato geologico. Il lavoro di ricerca, a cui ha collaborato l’Università Statale di Milano, ha determinato che il rilascio di immense quantità di CO2 durante eventi di vulcanismo causò acidificazione degli oceani e riscaldamento globale, fenomeni letali per molti organismi
Circa 252 milioni di anni fa, alla fine del Paleozoico, prima della comparsa dei dinosauri, la vita sulla Terra ha subito la più severa estinzione di massa mai registrata, con la scomparsa del 70% delle specie terrestri e del 95% delle specie marine nel giro di poche decine di magliaia di anni, un’estinzione rapidissima dal punto di vista del tempo geologico.
Le cause di questa catastrofe senza precedenti sono state a lungo dibattute nel mondo scientifico in riferimento a come e perché la Terra sia diventata inospitale per la vita così rapidamente.
Ora, un nuovo studio, coordinato dal Geomar Helmholtz Centre for Ocean Research Kiel e da Helmholtz Centre Potsdam GFZ German Research Centre for Geosciences, in collaborazione con l’Università degli Studi di Ferrara e l’Università Statale di Milano, fornisce per la prima volta un quadro unitario e convincente sui meccanismi che hanno portato all’estinzione e sulle sue conseguenze.
Applicando un nuovo metodo di analisi degli isotopi del boro e del carbonio sulle conchiglie di fossili marini, il gruppo di ricercatori è riuscito a ricostruire il pH degli antichi oceani. «Il pH delle acque marine è un ottimo indicatore delle condizioni ambientali. Non solo fornisce informazioni sull’acidità delle acque, che ha un forte impatto sugli organismi marini, ma, poiché dipende dalla quantità di CO2 disciolta nelle acque, permette di ricostruire le variazioni di anidride carbonica nell’atmosfera nel tempo — commenta la dott.ssa Hana Jurikova, autrice principale dello studio —. Per ottenere queste informazioni in un tempo così lontano è necessario utilizzare un robusto archivio di dati».
Per il loro studio, i ricercatori hanno utilizzato come archivio la conchiglia di brachiopodi fossili, invertebrati marini con due valve che sono comparsi circa 500 milioni di anni fa e hanno dominato le comunità marine nel Paleozoico.
Il prof. Renato Posenato dell’Università di Ferrara, uno dei co-autori dello studio, sottolinea: «Le Dolomiti ospitano affioramenti di rocce di età Permiano-Triassica riccamente fossilifere, caratterizzate, in particolare, dalla presenza di brachiopodi che testimoniano gli ultimi istanti della vita nel Paleozoico. Questi affioramenti sono unici al mondo per la risoluzione temporale e l’ottimo stato di conservazione dei fossili».
Utilizzando questo nuovo approccio analitico, il gruppo di ricerca ha potuto determinare il meccanismo che ha innescato l’estinzione alla fine del Paleozoico, legandolo direttamente al rilascio di immense quantità di CO2 durante eventi di vulcanismo parossistico in quella che è oggi la Siberia. Per studiare gli effetti di questa imponente emissione di gas serra, i ricercatori hanno creato su un modello estremamente sofisticato che ha simulato i processi avvenuti sulla Terra in quell’intervallo di tempo. I risultati ottenuti mostrano che le emissioni di CO2 non solo causarono l’acidificazione degli oceani e un riscaldamento globale a livelli letali per la maggior parte degli organismi, ma portarono a cambiamenti drammatici nei processi di alterazione delle terre emerse e nel ciclo dei nutrienti negli oceani e, infine, a condizioni di anossia che decimarono gli ultimi organismi sopravvissuti. «Questa caduta a domino dei processi e dei cicli biogeochimici che sostengono la vita sul nostro pianeta ha quindi portato all’estinzione catastrofica di fine Paleozoico», riassume la dott. Jurikova.
«Lo studio multidisciplinare delle conchiglie dei brachiopodi fossili ha un potenziale enorme per accrescere le nostre conoscenze sulla coevoluzione della vita, dell’ambiente e del clima sul nostro pianeta e questo è possibile in grandi progetti di collaborazione internazionale come Base-Line Earth — conclude la prof.ssa Lucia Angiolini, responsabile dell’unità di ricerca dell’Università degli Studi di Milano nel progetto “Base-Line Earth” e co-autrice dello studio —. Sono convinta che ci siano altri enigmi nella storia della vita sulla Terra, come quello dell’estinzione di fine Paleozoico, che nuovi approcci analitici agli archivi biotici fossili permetteranno di risolvere».
Questo studio è stato condotto nell’ambito di un consorzio finanziato dalla Comunità europea, avente l’Università degli Studi di Milano come partner, che ha intensivamente studiato i brachiopodi e li ha utilizzati come archivi delle condizioni degli antichi oceani. In particolare, si tratta di uno dei primi Horizon 2020 Marie Sklodowska-Curie research and innovation programme ottenuto dall’Università statale di Milano: «Base-Line Earth» Innovative Training Network (ITN) (agreement No 643084). I ricercatori italiani sono stati supportati anche dal Progetto PRIN 2017RX9XXY «Biota resilience to global change: biomineralization of planktic and benthic calcifiers in the past, present and future».
(Fonte Università statale di Milano)