A quarant’anni da quell’evento che ha cambiato l’Italia e la percezione di rischio legato ad eventi naturali come i terremoti «una parte preponderante del costruito che include case, scuole, chiese, edifici industriali e infrastrutture in generale, risulta realizzato in assenza di norme antisismiche, pur trovandosi in aree la cui pericolosità è ampiamente riconosciuta dalla comunità scientifica: una situazione questa che si riscontra diffusamente da nord a sud del Paese», sottolinea Antonello Fiore, Presidente nazionale della Sigea
Il 23 novembre del 1980 era domenica e fino al tardo pomeriggio non era accaduto nulla di particolare in Italia. Per la terra irpina e lucana, però, il destino aveva riservato un evento storico drammatico e distruttivo. Alle 19:34 un terremoto di magnitudo 6,9 scuoteva la Campania e la Basilicata causando danni inimmaginabili e migliaia di vittime.
Ben 8.848 feriti e, secondo le stime più attendibili, 2.914 morti, 280.000 sfollati e una ricostruzione lenta durata decenni e costellata da ruberie di tanti sciacalli, scolpite in decine di inchieste giudiziarie, che hanno allungato le mani sulle ingentissime risorse stanziate dallo Stato.
A quarant’anni da quell’evento che ha cambiato l’Italia e la percezione di rischio legato ad eventi naturali come i terremoti, gli esperti più importanti, i geologi che vissero quei giorni, si sono ritrovati in un convegno online «Irpinia 1980-2020, rischio sismico e resilienza in un paese fragile» ideato e voluto dalla Società italiana di geologia ambientale (Sigea), da RemTech, dagli Ordini dei geologi di Basilicata e della Puglia.
Perché se è vero che dal 1980 ad oggi tanti sono stati i passi in avanti fatti per la messa in sicurezza del patrimonio urbanistico nazionale ancora tanto bisogna fare per ridurre ulteriormente il rischio sismico nelle nostre regioni.
Per Antonello Fiore, Presidente nazionale della Sigea «a 40 anni dal terremoto dell’Irpinia, in Italia, gran parte del costruito risulta ancora realizzato in assenza di norme antisismiche. Non dobbiamo dimenticare che solo nei 160 anni trascorsi dall’Unità d’Italia il nostro Paese è stato colpito da ben 36 terremoti disastrosi; in media un disastro sismico ogni quattro anni e mezzo. Questi terremoti hanno causato oltre 150.000 vittime e hanno danneggiato gravemente oltre 1.600 località. Oggi una parte preponderante del costruito che include case, scuole, chiese, edifici industriali e infrastrutture in generale, risulta realizzato in assenza di norme antisismiche, pur trovandosi in aree la cui pericolosità è ampiamente riconosciuta dalla comunità scientifica: una situazione questa che si riscontra diffusamente da nord a sud del Paese».
Tante le testimonianze, anche personali oltre che professionali, venute fuori durante i lavori, testimonianze che oltre a ripercorrere le attività svolte sul campo in quelle drammatiche ore hanno permesso di analizzare la necessità di costruire un futuro che veda le persone al centro ma in equilibrio con i territori ed il Pianeta. Una necessaria conoscenza del territorio e dei fenomeni naturali che lo caratterizzano che nei fatti permette di massimizzare la capacità di resilienza.
Resilienza, dunque, parola attuale forse spesso abusata che rappresenta quella capacità di adattarsi ai cambiamenti, una parola d’ordine finalizzata alla capacità di ripartire, di ricostruire in modo sicuro e in luoghi sicuri e gli studi di microzonazione sviluppati negli anni sono un esempio di questo approccio al tema. Vedere geologi e altre figure professionali lavorare in sinergia sulle condizioni limite di emergenza, sugli effetti e amplificazioni di sito in caso di terremoto rappresenta un esempio di best practice fondamentale e di estrema importanza per la messa in sicurezza del territorio.
Metodi scientifici che necessitano di una politica attenta al cittadino che deve pretendere sicurezza, costruendo bene, nel sito più idoneo ed adottando comportamenti corretti in caso di emergenza. Perché dopo quarant’anni da quella catastrofe che ha segnato per sempre il Paese non è possibile leggere di comuni ubicati in zone ad alto rischio sismico sprovvisti di un piano di emergenza o di uno studio di microzonazione di primo livello. Non si può pensare al terremoto ancora come una novità su cui discutere del «si poteva fare e non si è fatto» o ancora «forse questo terremoto si poteva prevedere» o addirittura che non sia possibile fare prevenzione per «mancanza di fondi».
Un evento organizzato non solo per ricordare le vittime di quel disastro e le forti difficoltà che i sopravvissuti dovettero affrontare negli anni successivi per tornare a vivere una vita definibile normale, ma anche per ricordare tutte le vittime e i sopravvissuti di quello che è certamente il rischio geologico più severo per la popolazione, per l’edificato, per il patrimonio monumentale, per le attività produttive e per la coesione sociale.
Un sito
In argomento si segnala il sito «1980_2020, terremoto 80_scienza_memoria_testimonianza», lanciato dall’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) interamente dedicato al terremoto e ricco di informazioni, dove i visitatori possono navigare tra le memorie, le schede scientifiche, le story maps e molto altro. E oltre al sito anche molti gli appuntamenti in un programma articolato su tre giorni, 23, 24 novembre e 27 novembre 2020, organizzato dall’Ingv, in collaborazione con il Dipartimento per le Politiche Giovanili e il Servizio Civile Universale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, l’Università La Sapienza di Roma, l’Università Federico II di Napoli, la Provincia di Avellino, il Comune di Sant’Angelo dei Lombardi e l’Osservatorio sul Doposisma della Fondazione MIdA.
Elsa Sciancalepore