Clima, impatti antropici e pandemie

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L’attuale sistema geobiologico terrestre continuerà ad essere profondamente e irreversibilmente modificato, in tempi brevi, indipendentemente dalle varie posizioni. Tale realtà quindi, non permette lunghe e interminabili discussioni sulle origini antropiche o naturali dell’attuale riscaldamento globale. Di contro i fenomeni d’inquinamento e le modificazioni nelle biodiversità e negli habitat naturali hanno una componente inequivocabilmente antropica

Le strette interrelazioni esistenti tra «l’attuale riscaldamento globale», l’impatto antropico sugli ecosistemi e la genesi di alcune pandemie vengono sempre più frequentemente evidenziate dagli esperti in scienze dell’ambiente e sanitarie. Negli ultimi 250 anni, all’attuale naturale riscaldamento globale si è aggiunto un riscaldamento termico di origine antropico che, seppur modesto nella sua entità, ha contribuito e contribuisce a modificare significativamente gli equilibri ambientali, e ad innescare con maggior frequenza le zoonosi. Gli effetti dovuti a tale riscaldamento «aggiuntivo» e all’inquinamento antropico si evidenziano nella distruzione di migliaia di habitat naturali e di biodiversità. Questi ultimi legati anche alla massiccia deforestazione, alla zootecnia e agricoltura intensiva che hanno creato contatti persistenti e diretti tra fauna e flora «selvatica» e specie umana. L’azione degli agenti patogeni infettivi (virus e/o batteri) che saltano da una specie all’altra (spillover) possono trasformare, in condizioni favorevoli, le epidemie in pandemie. Infatti, anche se da sempre, il pianeta terra è stato interessato da epidemie, in queste ultime centinaia di anni, i tempi di ritorno delle stesse si sono ridotti e la loro virulenza si è sempre più accentuata. Molti ricercatori hanno previsto, in un futuro molto prossimo, un evento pandemico «Big One» che potrebbe mettere in serio pericolo la sopravvivenza della specie umana. Qui cercheremo di evidenziare le correlazioni su riportate.

1) Cenni sui Cambiamenti Climatici e sull’attuale Riscaldamento Globale

Il pianeta Terra è sempre stato interessato da Cambiamenti Climatici (C.C.) ciclici, differenti per intensità e con periodi variabili da decine di milioni (le ere glaciali), a migliaia (i cicli glaciali), sino a poche centinaia di anni. I meteorologi e i fisici dell’ambiente e dell’atmosfera, ritengono che i C.C. siano legati sia all’evoluzione fisica, nel tempo del pianeta, ma anche ad eventi extra-planetari sistematici e/o eccezionali. I dati necessari per ricostruire eventi climatici molto antichi, sono scarsi e imprecisi, e comunque interessano poco la storia attuale del pianeta, in quanto si riferiscono a stadi evolutivi e a condizioni fisiche molto diverse dalle attuali. Dai primi del 900 è stato possibile raccogliere con sistematicità, dati necessari e sufficienti per valutare: ampiezza, velocità, tempi di ritorno, distribuzione spaziale, modalità e cause dei C.C.

Successivamente parametri ancora più precisi quali: temperature, dati geochimici, paleontologici, paleoambientali e glaciologici, hanno permesso di ricostruire con attendibilità la storia climatica e geologico-evolutiva del pianeta. In particolare, i risultati di analisi effettuate su «carote di ghiaccio» (3.000 m di lunghezza: progetto Epica), hanno ricostruito, con elevato grado di attendibilità, il clima terrestre degli ultimi 800.000 anni ed hanno messo in evidenza, una correlazione positiva tra variazioni di T° e quantità di «gas serra» (CO2, CH4, N2O…). Le ricostruzioni paleoclimatiche relative all’Olocene (da 19mila a 11mila anni) hanno datato con precisione l’ultimo Cambiamento Climatico e la sua evoluzione: in tale periodo di tempo, la T° media annua terrestre aumentò di 3°C, il livello del mare risalì di 80 m e la CO2 aumentò di 95ppm (bibl. n. 14).

In tempi successivi compresi tra 11.000 anni e l’attuale, il plateaux termico diventò favorevole allo sviluppo della vita dell’uomo sul pianeta (bibl. n. 5) e misurazioni strumentali dirette, nell’ultimo centinaio di anni hanno confermato una correlazione positiva tra T° e la concentrazione di «gas serra». È stato registrato che in tale intervallo di tempo, all’aumentare della T°, la concentrazione del CH4 è passata da 700 a 1866 p.p.b (al 2019, l’incremento è stato pari al 160%), la CO2 è passata da 280 a 415 p.p.m. (al 2019, incremento pari al 44%). Tali concentrazioni risultano eccezionali e al di fuori della banda delle oscillazioni naturali entro le quali la T°, la CO2 e l’CH4 erano variate negli ultimi 800.000 mila anni! (bibl. n. 8).

È stato, infine, stimato, che mantenendo l’attuale incremento di T° (1,5-1,8 C°/100 anni) si raggiungerebbe il punto termico di non ritorno nei prossimi 30/50 anni con catastrofiche conseguenze. Le indicazioni su-riportate sono state raccolte da vari enti e laboratori a livello mondiale, sintetizzate dai ricercatori dell’Ipcc (Panel Interdisciplinare sui Cambiamenti Climatici, nato nel 1990) e comunicate in ripetuti e sistematici Report negli ultimi anni. Nell’agosto 2019 l’Ipcc ha presentato un nuovo rapporto Climate change and Land ( bibl. 18 Ipcc dedicato agli impatti dei C.C. su suoli e territorio, sulla sicurezza alimentare e sugli ecosistemi continuando a raccomandare, inascoltato, ai governi nazionali e ai decisori politici di intervenire il più rapidamente possibile, con misure drastiche, per evitare di raggiungere il punto termico di non ritorno.

Nel novembre 2019 oltre undicimila scienziati hanno firmato l’appello: World Scientists’ Warning of Climate Emergency in cui è indicato che si potrebbe attenuare il collasso ambientale e climatico attraverso le cinque seguenti tempestive azioni: sviluppo delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica; riduzione drastica dell’inquinamento ambientale; protezione delle biodiversità; meno consumi di carne e zero spreco di cibo; contenimento della crescita economica e della popolazione umana.

1a) Cenni sull’attuale situazione climatica a livello planetario

Il pianeta in un intervallo di circa 250 anni (inizio del periodo industriale) ha registrato un aumento della sua temperatura media di 0,74+/-0,18 C°: mai, nel recente passato, una variazione di T° così elevata si era realizzata in tempi così brevi. Gli anni 90 del secolo scorso, sono stati i più caldi del millennio e il 2016 è risultato essere record per gli anni 2000 (bibl. n. 7). Secondo il Godard Institute for Space Studies la T° media del pianeta ha raggiunto 14,72 C° nel 2017 registrando un tasso di riscaldamento pari a 0,15 C°/decennio.

Le immagini satellitari evidenziano, da diversi anni, una forte dissoluzione della «banchisa di ghiaccio» del continente Artico, che ha creato, in alcuni periodi dell’anno, una comunicazione diretta tra Oceano Pacifico e Atlantico. Il sistema glaciale si sta dissolvendo con una velocità stimata intorno al 4%/10 anni (Rapporti Ipcc) e con tale trend nel 2050, nell’area artica non ci saranno più ghiacci nei mesi estivi. I ghiacciai alpini europei (Alpi, Himalaya, Caucaso, Urali…) hanno registrato una riduzione notevole nel loro sviluppo con casi eclatanti: nelle Alpi cuneesi p.e. la riduzione risulta essere del 75-80% dal 1850 al 2019. Nelle aree alpine, nel complesso, l’estensione dei ghiacciai è diminuita dai 519 Kmq del 1969, ai 368 Kmq del 2017 (pari al 40% in 50 anni (bibl. n.15 ) H. Zekollari et alii, (2019) nel ricostruire la dinamica dei ghiacciai alpini hanno previsto al 2050 una diminuzione volumetrica dei corpi glaciali mai inferiore al 50% .

Il permafrost (suolo perennemente ghiacciato costituente il 20-25% delle terre continentali polari) si è già ridotto notevolmente e potrebbe sparire del tutto in pochi anni in alcune aree (come stimato nella stazione sperimentale di Yacutia, Siberia, da S. Zimof, 2019). Lo scioglimento del permafrost, genera fenomeni d’instabilità nelle infrastrutture su di esso costruite: p.e. : a) la ferrovia (del 2006), che collega il Tibet al Qingai dove lo spessore del permafrost si è ridotto del 36%; b) le grandi arterie statali artiche come l’Alaska Highway risulta sconnessa da profonde fenditure e collassi. Preoccupa notevolmente il fatto che con la dissoluzione del permafrost si liberano notevoli quantità di CH4 e CO2 che amplificano gli effetti negativi legati all’aumento dei gas serra.

Le variazioni nelle quantità delle precipitazioni non risultano molto chiare nel tempo e nello spazio a livello globale: comunque l’aumento delle intensità di piogge brevi, ma intense, registrato nell’ultimo mezzo secolo e l’aumento di energia meccanica legata al riscaldamento globale provoca esondazioni, allagamenti e uragani che devastano, in maggior misura, rispetto agli anni precedenti, le coste atlantiche e pacifiche. Poche regioni, nel mondo, dispongono di serie di dati sufficientemente lunghi nel tempo per elaborare statistiche significative.

L’intera Europa, comunque, nella fascia compresa tra l’area alpina a sud e i paesi scandinavi a nord, è stata interessata da una maggiore intensità delle piogge, se confrontate con i dati registrati negli ultimi decenni. L’intensa piovosità ha provocato negli ultimi anni (dal 2016 al 2019) eventi alluvionali devastanti in Gran Bretagna, Francia, Germania, Polonia e Slovenia. Studi biometeorologici evidenziano sfasamenti nei cicli stagionali con conseguente comportamento anomalo di animali e piante.

Molti habitat ed ecosistemi sono sottoposti a pressioni meteorologiche che hanno generato disequilibri spesso irreversibili, per cui specie animali e vegetali con bassa velocità di adeguamento si sono estinte, anche se altre sono state generate. Quanto su-descritto ha apportato e apporta, negli ecosistemi marini e in quelli terrestri cambiamenti fenologici e biogeografici intensi provocando anticipi nelle fasi stagionali.

Le temperature medie elevate di queste ultime decine di anni, l’aridità dei suoli e il forte vento, hanno favorito l’innesco e il propagarsi di incendi su vaste aree del continente europeo e mondiale con notevole distruzione del patrimonio forestale, importante per la regolazione della CO2. A questi eventi «naturali» si aggiungono i massicci interventi di disboscamento antropici permessi da governi compiacenti e negazionisti che hanno implementato tale fenomeno.

2) Rapporti tra modificazioni fisico–ambientali-territoriali e pandemie

Le su-riportate osservazioni evidenziano chiaramente le forti modificazioni delle condizioni climatiche e fisiche alle quali è stato sottoposto il sistema terra negli ultimi anni. Tali variazioni anche se pro-parte generate da eventi ciclici di tipo planetario derivano, come accennato, anche da interventi antropici da poco o niente razionali, a volte dissennati tra i quali, non in ordine prioritario: deforestazioni e incendi dolosi boschivi, aumenti elevati di immissioni in atmosfera di «gas serra» (dovuti alla massiva industrializzazione e alla zootecnia e agricoltura intensiva), uso improprio di acque primarie, interventi errati di tipo urbanistico- territoriale. A quanto descritto si devono aggiungere altri due fatti anch’essi fondamentali: a) l’aumento notevole della popolazione mondiale passata da 3,5 a 7,5 miliardi negli ultimi 100 anni (con conseguenti necessità in termini di cibo e di acqua potabile); b) gli effetti dell’invasione, da parte dell’uomo di «territori selvaggi», che ha favorito i fenomeni del salto di specie.

Di seguito cercheremo di analizzare, individuare e descrivere le relazioni tra gli interventi antropici massivi e non regolamentati che hanno generato alcune delle variazioni fisico-ambientali descritte e l’aumento della frequenza e della «virulenza» delle epidemie riscontrata nelle ultime decine di anni. Per questo è necessario, anche se brevemente descrivere in primis l’eziologia delle pandemie così come oggi conosciuta.

3) Cenni sull’eziologia delle pandemie

È importante comprendere come, quando e perché si può verificare una pandemia: malattia epidemica che si espande rapidamente in vaste aree geografiche su scala globale, coinvolgendo gran parte della popolazione mondiale. Tale fenomeno è generato dalla mancanza d’immunizzazione dell’uomo nei confronti di un patogeno : virus o batterio, altamente virulento, che attraverso la zoonosi (salto /passaggio) si insedia da una specie «ospite» nell’uomo.

Le malattie infettive possono essere trasmesse dagli animali all’uomo o viceversa direttamente (attraverso il contatto con la pelle, peli, uova, sangue o secrezioni) o indirettamente (tramite organismi vettori o ingestione di alimenti infetti).

Tra le cause fondamentali che concorrono al loro innesco, come già accennato, si ritiene intervengano: a) la sistematica distruzione degli «habitat naturali»; b) il commercio e la manipolazione di animali selvatici (serpenti, pipistrelli, pangolini…: «wildlife traffic»). Queste due componenti sono essenziali nella genesi delle zoonosi nell’uomo, in quanto il primo crea condizioni di estrema fragilità degli habitat in continua trasformazione, a cui si aggiungono nel contempo accostamenti continui e coatti tra specie animali e uomo.

Nei casi recenti il problema alla base della Sars-Cov-19, così come quello dell’influenza aviaria (H5N1, Sars Cov-2003, bibl. n. 11), e ancor prima dell’influenza suina (H1N1), è ritenuto essere dovuto dall’incrocio tra economia ed epidemiologia. Sicuramente le condizioni ottimali per la genesi e l’evoluzione delle zoonosi si realizzano là dove e quando l’agricoltura e la zootecnia intensive incrociano la massiccia urbanizzazione.

Tale situazione con l’evolversi dell’epidemia è favorita per la presenza di incubatori come gli «hub industriali» che diventano preferenziali trasmettitori. L’attuale coronavirus e la sua rapida diffusione, sembra infatti, essere partito da un nucleo fortemente industrializzato e urbanizzato dell’economia globale (area di Wuhan, Cina): è verosimile che l’epidemia, si sia sviluppata nel cuore di quel sistema industriale agro–alimentare. Essa è stata originariamente generata dai pipistrelli o da serpenti, gli uni e gli altri, prelevati da «ambienti naturali selvaggi» e venduti nei mercati della città di Wuhan. R.G. Wallace (bibl.16,17) aveva già ipotizzato che la diffusione dell’H5N1 (Sars Cov-2003: influenza aviaria (bibl. 11), era stata guidata dai circuiti globali delle merci, dalle migrazioni di persone e di manodopera. Il risultato di tale commistione avrebbe generato una «…sorta di selezione demica sempre più intensificata…» attraverso cui, il virus si sarebbe insediato, con un elevato numero di percorsi evolutivi, in tempi brevi, consentendo ad alcune varianti di superare le altre.

La «globalizzazione» avrebbe facilitato la diffusione della malattia in modo rapido e la velocità di circolazione avrebbe stimolato e permesso a ceppi virali isolati o innocui di posizionarsi in ambienti iper-competitivi che avrebbero favorito la capacità di compiere «salti zoonotici».

Questa ipotesi è condivisa da molti altri ricercatori (bibl. 2,3,12,13) e tale meccanismo trova riscontro con quanto avvenuto anche in altri casi pandemici. Al momento quindi si ritiene che ci siano alcune vie principali, attraverso le quali si sviluppano e si scatenano epidemie che evolvono in pandemie: a) la prima, in cui i virus casualmente trasferiti nella popolazione attraverso i mercati rionali, come nel caso del Covid-19 descritto, si sviluppano e si propagano all’interno degli ambienti industriali; b) la seconda, di «tipo indiretto», in cui i virus si sviluppano attraverso l’espansione del patogeno in «aree fragili», interne agli «habitat naturali». In questo secondo caso, man mano che vengono occupati nuovi «territori selvaggi» specie animali e uomini sono costretti a vivere forzatamente a contatto e tale situazione favorisce i fenomeni di spillover.

L’epidemia viene presentata come un «disastro naturale», nella migliore delle ipotesi casuale, nella peggiore imputata alle pratiche culturali, poco igieniche, delle popolazioni viventi in quelle aree. La storia però insegna che, il contesto temporale, entro il quale, si sono sviluppate due, tra le grandi epidemie (in Africa occidentale nel 2013-2016 e nella Repubblica del Congo, nel 2018), non è assolutamente casuale. Entrambe, sono il frutto dell’espansione industriale che ha spinto le tribù autoctone verso parti più interne di territori ancora «selvatici» sconvolgendo gli ecosistemi ivi presenti.

Un altro esempio è quello dell’Ebola (Sudan 1976, Guinea, 2013) strettamente connessa a cambiamenti radicali nell’uso intensivo del suolo. In questo caso, l’epidemia si manifestò, subito dopo che i governi locali iniziarono ad aprire il paese ai mercati globali e a vendere grandi aree territoriali a «conglomerati agro-alimentari internazionali» (bibl. 16,17). La vendita a multinazionali commerciali agro-forestali di estesi territori, trasformati brutalmente e in tempi brevi in aree agricole intensive, comportò: a) l’espropriazione di aree in cui da secoli vivevano le popolazioni autoctone; b) l’interruzione delle forme locali di produzione e di raccolta legate all’ecosistema originario.

La nuova situazione costringeva gli autoctoni a spingersi nelle parti più interne delle foreste, più prossime agli «ambienti selvatici», mentre, venivano distrutte le tradizionali relazioni con il loro ecosistema. Le conseguenze inevitabili di tali operazioni furono che gli autoctoni dipendevano interamente, per sopravvivere o per commerciare, dalla caccia alla selvaggina e dalle raccolte di flora, fauna e legnami, che potevano procurarsi solo nei «territori selvaggi».

Tali popolazioni diventarono facili bersagli delle potenti organizzazioni socio-economiche internazionali che le indicarono come le massime responsabili sia della deforestazione, sia della distruzione degli habitat che avevano dovuto invece abbandonare.

4) Considerazioni finali

L’esistenza di legami diretti o indiretti tra pandemie e gli interventi antropici sugli ecosistemi naturali su esposte rende necessario mettere in campo interventi e soluzioni da globali a locali per attenuarli e/o annullarli. L’ultima pandemia Sars-19 ampiamente diffusa a livello planetario, catastrofica per le terribili conseguenze e per le ferite inferte alla pubblica incolumità, ai sistemi sanitari, economici, strutturali, ci pone inevitabilmente di fronte al fatto che gli ecosistemi, regolatori degli equilibri ambientali, modificati e/o distrutti dagli interventi antropici rivestono un ruolo fondamentale nella genesi trasmissione e diffusione delle malattie infettive dovute a zoonosi. Queste ultime generatrici delle grandi pandemie si sono presentate ripetutamente, in questi ultimi anni, con tempi di ritorno sempre più brevi per cui anche il problema temporale è diventato fondamentale.

Le interrelazioni tra pandemie, l’attuale riscaldamento globale e l’impatto antropico sugli ecosistemi dopo questa disamina risultano evidenti: la pandemia Covid-19 appare, come le altre, correlata al degrado ambientale e all’intervento antropico, a dir poco dissennato. Quest’ultimo anche se intuito e denunciato dalle organizzazioni scientifiche internazionali non è stato mai fermato: il Global Assestement Report on Biodiversity and Ecosystem Services (2019) p.e., ha ampiamente documentato come l’intervento antropico sugli habitat naturali, in questi ultimi decenni, è stato dirompente e senza precedenti per intensità, nella storia dell’evoluzione del pianeta. Esso ha profondamente modificato e trasformato il 75% delle terre emerse e il 66% delle aree marine spingendo all’estinzione circa un milione di specie animali e vegetali (bibl. n. 19 U.N.) L’unica strada per mitigare tale tendenza, è quella di «risanare», anche se parzialmente, gli habitat naturali modificati e tale obiettivo si può raggiungere seguendo due percorsi: a) intervenire drasticamente sulle cause alla base degli attuali disequilibri ambientali che generano e diffondono le epidemie; b) preparare e adottare piani di azione operativi per affrontare le prossime epidemie.

Il primo obiettivo si raggiunge p.e. annullando in tempi brevissimi l’uso di combustibili fossili, transitando rapidamente all’Economia Circolare (bibl. n. 9), e riducendo drasticamente l’uso delle residuali «risorse naturali rinnovabili e non».

Il secondo obiettivo si può raggiungere mettendo rapidamente in campo programmi di ampia portata di tipo «risarcitorio» sui sistemi naturali degradati e cercando di disaccoppiare l’uso delle «residue risorse rinnovabili e non» dal benessere economico-sociale.

Di seguito si riportano alcune azioni rilevanti con riferimento all’esperienza dello scrivente nel campo delle Scienze della Terra che si potrebbero realizzare in questa fase di rilancio del sistema economico post-Covid-19: a) ridurre i fenomeni di dissesto idrogeologico e d’inquinamento dell’aria, del suolo e delle acque; b) risanare le biodiversità perdute, ricreando nuovi equilibri ambientali stabili; c) prevenire e gestire i rischi naturali, chimici e antropici (bibl. n.9,10).

Si ritiene, inoltre, che sia il caso di riflettere con attenzione, sulla posizione dell’U.E. negli ultimi decenni: i fatti ci dicono, che l’Europa per esempio è stata tra le principali detrattrici di una gestione sostenibile del patrimonio forestale globale. Tra il 1990 e il 2018, l’U.E. risulta tra i maggiori importatori e consumatori di prodotti derivanti direttamente o indirettamente dai processi di deforestazione.

La nuova politica inaugurata dalla Presidente Von der Laien tendono, di contro, a limitare e/o annullare i processi prima descritti e promuovere p. e. la ricrescita del patrimonio forestale europeo. Questa è una delle scelte fondamentali da attuare: è stimato infatti che le deforestazioni consumate nelle ultime decine di anni, siano pari al 30% di tutte le azioni di mitigazioni necessarie a limitare significativamente il ritmo dell’attuale riscaldamento global. Per questi motivi sarebbe fondamentale adottare e mettere in atto le linee d’intervento illustrate nell’European Green Deal (E.G.D. 11/12/ 2019, e successive).

Gli impegni enunciati in tali Comunicazioni indicano che l’Europa potrebbe incamminarsi verso una «revisione totale» del suo sviluppo incentrato, sino a ieri, sulla fortissima produttività e sul consumo delle risorse naturali. Le proposte dell’E.D.G. 2019 prevedono di passare entro il 2030, dal 25% al 50% del totale degli investimenti da destinare al Green Deal.

Le osservazioni riportate e i dati esposti indicano che la pressione antropica andrebbe fortemente rimodulata e ridotta: «…non è l’ambiente naturale, ma il comportamento umano ad originare gli “spillover”». (bibl. n. 6)

Noi umani, non abbiamo, un altro pianeta, dove trasferirci e quindi dobbiamo salvaguardarlo, gli «spillover», se non fermati, tenderanno in un futuro molto prossimo, a ripetersi: «…le risposte e la rapidità con cui devono essere adottate le migliori soluzioni possibili sono improcrastinabili e radicali in quanto da esse deriva in massima parte la sopravvivenza della specie umana sul pianeta Terra…», da L. Mercalli (bibl. n. 7).

Perché questo approfondimento

Abbiamo cercato di riportare sulla base di uno studio bibliografico gli scenari possibili, in cui il pianeta e i viventi sono immersi e lo saranno in un futuro molto prossimo. Ciò che sicuramente avverrà è che le attuali situazioni tenderanno velocemente a peggiorare indipendentemente dalle posizioni dei favorevoli o negazionisti circa l’impatto dell’attuale riscaldamento globale sulle trasformazioni in atto sul pianeta. L’attuale sistema geobiologico terrestre continuerà ad essere profondamente e irreversibilmente modificato, in tempi brevi, indipendentemente da quale delle due posizioni sia la più giusta. Tale realtà quindi, non permette lunghe e interminabili discussioni sulle origini antropiche o naturali dell’attuale riscaldamento globale. Di contro i fenomeni d’inquinamento e le modificazioni nelle biodiversità e negli habitat naturali hanno una componente inequivocabilmente antropica. Questi fatti dovrebbero costringere tutti e in particolare i decisori politici a prendere atto della attuale «catastrofica» situazione e costringerli ad innescare, in tempi brevissimi, interventi drastici ma risolutivi per mitigare nel breve periodo, fermare nel medio e tentare di ristabilire nel lungo, nuove condizioni di equilibrio favorevoli alla prosecuzione della vita sul pianeta.

Glossario

Eziologia: indica quella parte della ricerca scientifica che studia le cause fondamentali alla base di eventi naturali e/o artificiali che coinvolgono il pianeta nella sua globalità. Il termine, è di solito usato nel campo delle scienze mediche, ma può essere appropriato e utilizzato anche nell’analisi di problemi geoambientali.

Zoonosi (in inglese Spillover): questo termine indica una malattia infettiva che può essere trasmessa dagli animali (escluso l’uomo) all’uomo o viceversa direttamente (attraverso il contatto con la pelle, peli, uova, sangue o secrezioni) o indirettamente (tramite organismi vettori o ingestione di alimenti infetti).

Pandemie: è una malattia epidemica che si espande rapidamente in vaste aree geografiche su scala globale coinvolgendo gran parte della popolazione mondiale. Tale situazione presuppone la mancanza d’immunizzazione dell’uomo verso un patogeno altamente virulento.

Hub industriale: (in inglese: fulcro, nucleo centrale) rappresenta un concentratore ovvero un dispositivo a rete che funge da nodo di smistamento di un sistema organizzato secondo una tipologia di logica industriale.

Bibliografia essenziale

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Prof. Antonio Paglionico, geologo