Le contraddizioni del Natale 2020
Ritorniamo al buon presepe di casa nostra. Quando durante il 2° conflitto mondiale non avevamo né soldi da spendere, né negozi ove comprare, né zampogne da ascoltare a sera tarda per via del coprifuoco (quello di altra natura, davvero!), il nostro presepe col muschio vero aveva pecorelle e pastori di carta, laghetti di frantumi di vetro e Bambinello ritagliato da una vecchia cartolina prebellica: eppure tutti radunati, alla luce della candelina della chiesa, si cantava «Tu scendi dalle stelle … alla fredda tua capanna»
E se volessimo raccontare ancora ai bambini la grande (Buona) novella del Natale, oggi, da dove cominciare? Forse siamo fortunati perché possiamo usare altre fonti che non siano quelle pagine ingiallite del vangelo! potremmo suggerire di accendere la Tv e sentire gli inviti di certi guru: il buon natale è quello della strada, tra le vetrine addobbate a cui si è impediti di entrare, quello sotto le luci di via del Corso o nella Galleria maestosa… la zampogna non la sentirete perché con la mascherina il suonatore non può poggiare le labbra sul bocchino dell’otre di capra… e poi il governo ladro ci ha rubato il presepe! Chiusi in casa, che volete ce ci sia ancora un Natale? Noi volevamo portarvi in Galleria e farvi festa grande, tra balocchi e petardi, volevamo… ma il governo ladro ci ha rubato lo spazio, la musica e il ballo! Cari bambini, vi resta il presepe di casa di cartapesta, di muschio finto, di nenia da ninnananna. Il torrone sarà di casa, duro da sgranocchiare, i pastori non li riconoscerete, sono imbavagliati, anche il bue e l’asinello portano la mascherina perché le loro goccioline a riscaldare il Bambinello farebbero contagio e malattia.
Questo è il vostro presepe ma cresciuti che sarete vi accorgerete che l’avevamo detto… di queste prescrizioni immorali! Non ci avevano ascoltato!
Il temine «immorale» in politica non si era ancora sentito; eravamo abituati a sentire parole come: democratico e democrazia, potere assoluto e partecipazione, opposizione e maggioranza, minoranza e sondaggi, percentuali e previsioni, economia e tasse, cittadinanza e sussidi, pensioni e lavoro, disoccupazione e occupazione, calo e crescita, scuola e presenza. Abbiamo scoperto giovani reclutati a ridare bontà alle lezioni in presenza contro il far festa e passeggiare, docenti odiare la giornata libera e l’assenteismo… il coronavirus ha cambiato tutto e tutti, ora c’è un altro vangelo.
Guardate un po’ eravamo abituati a sentire il prete parlare di vangelo, vedere questo esposto in chiesa, nella navata laterale, per il lettore solitario mentre ancora l’odore dell’incenso aromatizza l’aria respirata a pieni polmoni senza mascherina, s’intende! Poi l’abbiamo visto brandire dal palco, avvolto nel rosario di Maria e mostrato a gente stipata perché se ne ricordi nel momento dell’urna aperta.
Ma questa parola «immorale», anch’essa da omelia e da trattato di teologia morale no, è nuova nel repertorio della politica, o meglio di coloro che fanno politica. Anche perché che cosa stabilisce la moralità? Che cosa fa sì che un’azione sia morale o immorale?
Lasciamo da parte il vangelo che sancisce: «chi dice al fratello pazzo sarà sottoposto al fuoco della geenna» (Mt. 5, 22; – il termine «raqa» usato dall’evangelista è aramaico con il senso di «senza cervello») contentiamoci invece di persona meno importate dei vangeli, di un certo Immanuel Kant, che afferma in modo chiaro e tondo: «Agisci unicamente secondo quella massima, in forza della quale tu puoi volere nello stesso tempo che essa divenga una legge universale». Forse è una delle norme più politiche che abbia mai definito la moralità.
Bene, ritorniamo al buon presepe di casa nostra. Quando durante il 2° conflitto mondiale non avevamo né soldi da spendere, né negozi ove comprare, né zampogne da ascoltare a sera tarda per via del coprifuoco (quello di altra natura, davvero!), il nostro presepe col muschio vero aveva pecorelle e pastori di carta, laghetti di frantumi di vetro e Bambinello ritagliato da una vecchia cartolina prebellica: eppure tutti radunati, alla luce della candelina della chiesa, si cantava «Tu scendi dalle stelle … alla fredda tua capanna».
Gente di città, uomini prestati alla politica, giornalisti e conduttori… il Natale di casa sa di roba buona come il pane di casa non da pasta surgelata, quello che sa di madia e di forno a legna. Quest’anno il coronavirus ce lo regala tra le sue pestilenze! Noi questo Natale racconteremo e canteremo ai bimbi in mascherina, con i vecchi a sgranare rosari anziché a borbottare contro il governo ladro… poi verremo fuori, allo scoperto, per rimettere a posto il volumetto del Vangelo e rintascare la corona del Rosario e, dopo la piazza pulita delle ingiurie, risentire buone parole della buona politica che riedifichi la città dell’uomo, quella del famoso presepe che canta il gloria celeste e la pace in terra per gli uomini di buona volontà!
Francesco Sofia