Intervista ad Agostino Di Ciaula
Evitare che ancora una volta, «a guidare le scelte non siano le evidenze scientifiche ma interessi economici sbagliati. Come conseguenza si stanno proponendo come soluzioni gli stessi sbagli che hanno generato la situazione attuale. L’unico modo di venirne fuori è quello di rivalutare la situazione anche sul piano economico. È ormai ineludibile la necessità di selezionare e privilegiare forme di crescita economica sostenibile e universale, abbandonando la strada della crescita economica per pochi con costi a carico di tutti»
Viviamo un periodo complicato, e non soltanto in Italia, ma è il pianeta a segnalare stati di sofferenza. Come il corpo e la mente sono collegati e non sono inscindibili, così il pianeta e la società sono in stato di confusione.
In genere queste situazioni coincidono con momenti storici di profonda trasformazione e la ricerca dell’origine è veramente complicata, tanto connesse ormai sono le società, i modi di vivere, i problemi con cui ci dobbiamo confrontare.
Quello che però preoccupa è che ci sia una sorta di attesa, nessuno inizia ad affrontare il problema e, meno che mai, a proporre soluzioni.
Un dato ci offre la cronaca: i ricchi continuano ad arricchirsi. Da qui discendono un mare di deduzioni, una caterva di ipotesi, un crescere rapido e disordinato di «soluzioni» politiche che si traducono in neo nazionalismi, neo razzismi, in opposizioni tout-court. E quando in una situazione come questa si aggiungono emergenze sanitarie, allora si scatena veramente il festival dell’assurdo. La ragione non segue più né logica né razionalità.
Eppure oggi la comunicazione, la scienza, l’economia, sono i cardini su cui si sta formando il mondo di domani.
Certamente nascerà un mondo migliore perché l’informazione, che è stata disarticolata dall’incalzare di nuovi tipi di media, richiede una capacità di capire ed una cultura media di base superiori a qualche anno fa.
La scienza, che è sempre più spesso interpellata per dare risposte, deve essere in grado di dialogare senza perdere il senso della misura e della correttezza scientifica, qui non sono ammesse prime donne ma serve solo serietà.
L’economia è forse quella parte antica che è rimasta uguale a se stessa, solo che la sua tipica spregiudicatezza, se non si commisura alle nuove esigenze ambientali, spesso causate da errori economici di valutazione, rischia di creare danni anche a se stessa e questa volta poco recuperabili nel breve tempo.
Per fare una riflessione più approfondita sulla situazione, per capire cosa stia accadendo intorno a noi, sentiamo il punto di vista di Agostino Di Ciaula, presidente del Comitato scientifico nazionale e internazionale Isde-International society of doctors for environment e vicepresidente Isde per l’Europa. Cercheremo di ragionare e farci un’idea su quello che al momento dobbiamo aspettarci e come dovremmo reagire, ben consapevoli che i tempi dei cambiamenti sono molto accelerati e che è veramente difficile fare previsioni e dare indicazioni a lungo termine.
- Dottor Di Ciaula, come mai nel giro di pochi anni i ricercatori dall’essere accusati di stare nelle loro torri d’avorio sono passati al ruolo di prime donne e sempre più spesso si sovrappongono ai colleghi con altre specializzazioni?
La risposta è complessa, perché riguarda numerosi aspetti che cercherò di sintetizzare. In un momento di rapide e radicali modificazioni che generano conseguenze evidenti a tutti e incertezze per il presente e per il futuro, si guarda al mondo della scienza come riferimento in grado di orientare la comprensione per la realtà e, al tempo stesso, le scelte per il futuro. Questo ruolo, in questo momento, è difficile che sia svolto da altri.
Molte delle modificazioni in corso (si pensi ad esempio alle cause e alle conseguenze dei cambiamenti climatici) coinvolgono trasversalmente molteplici aspetti socio-economici e numerose discipline scientifiche. Questo rende inevitabile la multidisciplinarità e il confronto con altre «specializzazioni».
I ricercatori, d’altra parte, sentono sempre più viva la necessità di utilizzare le proprie competenze a fini sociali avvertendo la difficoltà, il senso di disagio e di incertezza che provengono dalla società e dal mondo della politica.
Il problema è che non tutti i ricercatori sembra abbiano le stesse motivazioni. Per alcuni intervenire è un obbligo morale, avendo ben chiara in mente la direzione sbagliata che da decenni l’umanità sta percorrendo e la soglia, drammaticamente vicina, oltrepassata la quale le conseguenze delle nostre azioni saranno irreversibili.
Per altri, invece, sembra che prevalgano le necessità di sopravvivenza personale, dovendosi muovere in contesti nei quali le risorse destinate alla ricerca sono sempre più risicate e il sostegno a posizione più politiche che scientifiche appare come unica ciambella di salvataggio disponibile.
- Come spiega il moltiplicarsi delle pseudo scienze
Nel panorama che ho descritto in precedenza è inevitabile la polarizzazione di posizioni e competenze, con ricercatori e scienziati che si misurano in polemiche sterili e dannose e che si esprimono con toni da stadio, anziché misurarsi con onestà intellettuale in confronti dialettici ed esprimersi con il linguaggio proprio del metodo scientifico. A farne le spese è l’autorevolezza e la credibilità della scienza, che apre purtroppo il fianco alla nascita e all’espansione di idiozie antiscientifiche, a volte colpevolmente alimentate da politici irresponsabili.
- La comprensione della realtà ambientale si sta sempre più affinando, le attuali specializzazioni sono un aiuto o una difficoltà? L’esigenza di una interdisciplinarità sempre più presente nelle azioni sul territorio sta facendo nascere nuove figure? E quali?
La enorme crescita delle conoscenze scientifiche degli ultimi tre decenni ha dimostrato e confermato che l’ambiente è un determinante fondamentale della salute umana e che le alterazioni ambientali hanno un ruolo chiave nell’insorgenza e nella progressione di qualunque malattia. In questo contesto, approcci interdisciplinari sono non solo necessari ma addirittura auspicabili. D’altra parte la inevitabile frammentazione delle competenze medico-scientifiche in filoni di ricerca specialistici e le necessità di approfondimento scientifico consentite da strumenti sempre più fini rischiano di far perdere la visione d’insieme. È per questo sempre più necessario il ricorso a competenze (come quella del medico esperto di relazioni tra ambiente e salute) che possano servire da collegamento tra le varie discipline. Questa necessità, ovviamente, è valida anche per settori diversi dalla medicina. La considerazione del ruolo fondamentale delle alterazioni ambientali sta diventando sempre più presente in ambito economico, agricolo, legale, sociale, urbanistico, architettonico e in qualunque altra disciplina. In ciascuna di queste stanno nascendo figure professionali orientate alla valutazione adeguata della «variabile ambiente». Favorire questa tendenza è l’unica speranza concreta che abbiamo per garantirci un futuro sostenibile.
- Poiché non si può pretendere nell’attuale, organizzazione scolastica, che i cittadini abbiano delle competenze specifiche, che cosa cambierebbe nell’approccio della comunicazione? Di cosa ci sarebbe bisogno? Come evitare l’attuale confusione generalizzata sulle notizie che riguardano la salute?
Sono sempre contrario a forme di comunicazione «guidata». La comunicazione deve restare libera, anche affrontando il rischio di diffusione di fake-news. La mia sensazione è che il problema attuale non sia tanto la presenza di cattiva informazione ma una tendenza a «orientare» la comunicazione escludendo confronti leali e intellettualmente onesti. Si sceglie a priori a chi attribuire ruoli comunicativi, a volte bollando come «anti-scientifiche» personalità con punti di vista differenti, nonostante questi siano scientificamente validi. È la mancanza di equilibrio e l’assenza di confronto reale a generare confusione. Questo il vero problema.
È anche abbastanza deprimente per me l’affermazione secondo la quale «non si può pretendere, nell’attuale organizzazione scolastica, che i cittadini abbiano delle competenze specifiche». È vero che la scuola non può fornire competenze scientifiche di livello tale da approfondire argomenti specialistici ma è altrettanto vero che è necessità prioritaria puntare sulla scuola come luogo in grado di generare strumenti culturali utili sia ad un’elaborazione critica della comunicazione, sia all’approfondimento individuale. Dovremmo tornare ad attribuire alla scuola tutte le risorse necessarie a garantire la crescita di nuove generazioni in grado di pensare, più che di conoscere.
- Il disordine che l’uomo ha determinato nel suo rapporto con la biosfera sta determinando una serie di risposte imprevedibili e sconosciute. È esatto? E come spingere l’uomo a correggere la direzione se non si ferma neanche di fronte a reazioni a cui non sa porre rimedio?
È tanto esatto che le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. L’ultimo conto da pagare ce lo sta presentando il Sars-CoV-2, che si sta caratterizzando sempre più come lente d’ingrandimento delle conseguenze negative dell’antropocene e delle modificazioni climatiche, di iniquità e ingiustizie. Ci troviamo oggi nella fortunata condizione di conoscere le soluzioni più efficaci e di scegliere, in base a queste conoscenze, il destino nostro e delle future generazioni. Sembra tuttavia che, ancora una volta, a guidare le scelte non siano le evidenze scientifiche ma interessi economici sbagliati. Come conseguenza si stanno proponendo come soluzioni gli stessi sbagli che hanno generato la situazione attuale. L’unico modo di venirne fuori è quello di rivalutare la situazione anche sul piano economico. È ormai ineludibile la necessità di selezionare e privilegiare forme di crescita economica sostenibile e universale, abbandonando la strada della crescita economica per pochi con costi a carico di tutti.
Ignazio Lippolis