Riappropriamoci del silenzio

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segreto silenzio
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Ci riconduce all’interiorità, ai dialoghi mai intrapresi, alle parole prima trascurate e abbandonate all’eco impercettibile che adesso riaffiora come da letargo. Parole e ricordi, circostanze singolari, suoni sopiti, volti contrastanti su uno sfondo immateriale…

La definizione del silenzio: anche un bambino sa indicarla fisicamente, con il ditino indice sulle labbra, indica l’assenza di ogni suono, rumore e parola che possano infrangerlo.

Molto più dello «zittire» che porta il segno imperativo del suono represso, questo silenzio prodotto dall’assenza delle cose è invece occasione della scoperta di altri suoni che riprendono vigore nell’assenza di vocìo.

Riappare il calpestio, il soffice incedere o il passo affrettato per accorrere ad un richiamo, ad un bisogno, ad un appello.

Si ripropone lo stormire del fogliame, discorso aperto dalle foglie ricche di clorofilla che fanno parlare i rami ruvidi della quercia secolare.

Si riascolta lo sciacquio alla battigia dell’andata e ritorno delle onde spumose che stanno ancora qui a raccontare di navigli in rotta, di rottami alla deriva, di braccia esauste che non hanno più forza di battere l’acqua e si lasciano addormentare nel sogno del dio del mare che domina le profondità, onde che cullano navi da crociera su cui mille e mille chiedono all’orizzonte tra mare e cielo di dimenticare le angustie del tempo.

Riprendere il legame con il tocco delle campane che dialogano con l’alba e con il vespro per dettare le ore della sveglia e del riposo.

Tutti suoni che dialogano con le prime luci dell’alba e con le ore incipienti della notte; voci delle stelle, piccole note all’intreccio di messaggi lanciati nello spazio come flussi del viaggio degli astri e dei pianeti.

C’è un altro silenzio, artificiale, imposto, obbligato come senso unico del nostro sostare: hai quasi ritegno nel rinchiudere dietro di te il portone cigolante, quasi un violento risveglio di un ascoltatore celato.

Dove ci conduce questo dialogo con le cose, quasi piccola eco tra il rumore dei tacchi contro la parete prossima del palazzo sovrastante?

Sono così le vie del mondo? È così la strada?

Questo silenzio ci riconduce all’interiorità, ai dialoghi mai intrapresi, alle parole prima trascurate e abbandonate all’eco impercettibile che adesso riaffiora come da letargo. Parole e ricordi, circostanze singolari, suoni sopiti, volti contrastanti su uno sfondo immateriale…

Parlateci di nuovo! Diteci: quale strada ho intrapreso, quale peso ho scaricato, a quale sorriso non ho corrisposto, a quale grido sono rimasto sordo, quale mano ho lasciato sospesa nel vuoto senza l’intreccio delle mie dita?

Ricordi riaffiorati, restituiteci i sapori delle parole di un tempo; riprendere le fila degli incontri trascurati e, dal silenzio, riemergeranno i volti rimasti nell’oblio.

Nel ricordo di vicende che ripropongono suoni dimenticati e profumi cancellati: la memoria, fata fantastica rimette in vita i quadretti esistenziali del tempo da molto andato, fata Morgana che proietta ai nostri piedi il vivere affaticato dei lontani.

…così rivela ogni cittadino costretto all’isolamento e comincia ad amare il suo silenzio. Grazie virus! Hai tentato di sopprimere anche il mio tempo, hai portato via tanti che non racconteranno mai più ai piccoli di oggi la saggezza accumulata sotto il peso degli anni. Mi hai risparmiato ed io ho imparato ad amare tempi miei e di altri, ho imparato a salutare chi incontro per strada, ad augurargli, non conosciuto, il nuovo anno, perché la felicità sorrida anche ai suoi giorni e ami il presente come mai aveva prima fatto.

 

Francesco Sofia