Editoriale

1899
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Le coste sono la nostra coscienza. Per chi opera ancora una divisione fra noi e l’ambiente circostante, piante e animali compresi, la linea di costa smentisce clamorosamente questa cultura più che antiquata.

Ai movimenti naturali propri della natura (maree, mareggiate, nubifragi…) si aggiungono e dettano variazioni, le azioni dell’uomo. La costruzione di un molo, gli sbarramenti di un fiume, il passaggio prolungato attraverso le dune, lo scarico fognario non depurato, il prelievo di sabbia… tutte azioni che modificano, in peggio, la linea di costa, riducono o addirittura fanno scomparire l’arenile.

Per non parlare dei rifiuti, del traffico marittimo, delle devastanti attività da diporto quando non sono rispettose dell’ambiente. Tutto contribuisce ad una lenta agonia del mare e la costa è come un volto sofferente da cui è possibile fare una diagnosi «facciale» per scoprire il male di cui soffre.

La cosa peggiore è che i rimedi si conoscono e si chiamano attività sostenibili ma noi uomini siamo prigionieri delle logiche più bieche sintetizzate nel proverbio: «occhio non vede, cuore non duole». Un modo di dire che vale per tutto.

E così si parla delle coste quando erodono una strada o un molo, un costone. Se ne parla quando si approntano le spiagge per l’estate o quando si vogliono occultare le piante di posidonia spiaggiate. Come sempre l’uomo contemporaneo forte della sua capacità «creativa» pensa di poter far fronte a tutto: al corso della natura e ai guai che lui determina.

Lo studio, la cultura, la ricerca, le conoscenze che ha acquisito hanno una netta cesura fra studio e realtà. Scoperte fatte e abitudini quotidiane. Sono due rette parallele che non si incontreranno mai e conoscono solo il no, il divieto drastico e autoritario.

L’uomo, nella sua infinita e sfaccettata filosofia ha inventato la società, la democrazia, la libertà di pensiero e di scelta, i diritti fondamentali… ha alzato barriere di difese per evitare soprusi, abusi, violenze… ma poi è così flessibile di fronte al diritto alla vita e al godimento della vita da inventare anche che la natura va gestita, che bisogna controllare il bosco perché lui, poverino, che ci ha preceduto di milioni di anni, non saprebbe come gestirsi. Al pari del corso di un fiume o della costa.

È veramente il massimo dell’ipocrisia e della violenza. Perché la ricerca ci dice quali sono i nostri limiti e i diritti della natura e se solo noi sapessimo rispettarli non avremmo quel cumulo di disgrazie che ci affliggono.

Ma è una battaglia persa? Assolutamente no. Ci sono stati e ci sono società che hanno convissuto con la natura lasciandoci un patrimonio inestimabile di insegnamenti. Con pazienza, coraggio e amore dobbiamo ricominciare sempre cercando che il manipolo di guastatori si assottigli ancora e non ci porti all’autodistruzione.

 

Ignazio Lippolis