La pace, H. Jonas e Giacomo

1936
cingoli guerra carro armato
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C’è chi cerca la trasformazione, il «passaggio» come ripristino delle dignità soffocate, c’è chi vede questa trasformazione come Passah, passaggio storico dalla schiavitù alla libertà, c’è chi crede che la Pasqua segni il trionfo del bene sul male, il mistero rivelato in base al quale hanno senso tutti gli impegni della vita volti a restituire il volto umano agli sfregi impressi dall’uomo all’altro uomo

Il recente viaggio di Papa Francesco in Iraq, con il carico di sofferenza per tanti morti, i colloqui con i rappresentanti musulmani, il ritorno del grido contro la guerra in Siria e l’avvicinarsi della Pasqua, portano prepotentemente alla ribalta un discorso su Dio. La pace, la condanna della guerra e l’esportazione di armi sono temi che non hanno una confessione alle spalle. Sono termini e aspirazioni profonde dell’uomo. Il dichiararsi atei, pensare a percorsi diversi della creazione sono semplificazioni che non risolvono. L’approfondire una realtà energetica della vita, la scelta dell’amore come ragione profonda della nostra esistenza, ripercorrendo il percorso già prefigurato da Teilhard de Chardin, può essere un nuovo modo di affrontare le tante domande senza risposta. Con questo intervento, Francesco Sofia fa un ragionamento all’interno del percorso cristiano. È un invito che speriamo venga colto perché senza la pace e il rispetto fra gli uomini, noi umani, non abbiamo nessuna speranza di sopravvivenza.

 

Nella conferenza tenuta a Tubinga nel 1984 Hans Jonas pose la sua domanda su Dio, provocata dagli sviluppi della «soluzione finale» perpetrata da Hitler. Nove anni dopo egli muore a New York con il suo dubbio struggente su Dio che «si ritira in sé» (pag. 37) lasciando l’uomo nella grande solitudine vissuta tra le sofferenze.(1)

Il delirio di Adolf Eihmann si spegneva definitivamente nel tribunale di Gerusalemme il 1° giugno del 1962 con la condanna all’impiccagione; quel vento sul mondo non si è quietato con l’esaurimento dei forni dei campi di sterminio perché altri mali senza sosta colpiscono i popoli, come l’odierna pandemia esplodono altre guerre e torture tanto che riemerge la domanda dello scrittore in modo incalzante: «può Dio restare muto?» (pag. 15). Gli Sos lanciati sulle sabbie e sulle onde dai fuggiaschi, le stragi perpetrate in nome di Dio, gli attentati e le violenze diffuse, le svastiche offensive e le ingiurie gratuite, il femminicidio diffuso, lo spegnersi nelle corsie anelando l’ultimo abbraccio mancato: sono appelli inascoltati, senza fine.

La fluidità dei partiti e degli schieramenti non sono sponde sicure della carambola tra progetti e promesse, aprendosi sempre la buca che ingoia speranze e sicurezza.

Il sì e il no sulle immigrazioni, l’accaparramento dei vaccini, la relatività del lavoro, l’imperversare del profitto, il monopolio sull’energia, lo sfruttamento del territorio, il dominio sulle persone provocano l’assottigliarsi della sicurezza e la crescita delle ansie, la proiezione sine die del futuro per i giovani che si fanno anziani prima di avere assaporato le primavere gioiose del lavoro e della famiglia… e ancora il Dio di Jonas resta muto e ritirato!

C’è sete di pace

Gli anni storici 476/1492/1789/1945 sono date delle sconfitte causate da guerre, invasioni ed eccidi, date declinate come conquiste e paci effimere. Date che accostiamo alle tante altre della tratta dei neri, dei colonialismi intercontinentali, delle emigrazioni e dei disastri per terremoti. Non sappiamo più come scandire gli step della storia, quando il più piccolo degli elementi, l’atomo, si abbina al più piccolo degli agenti nocivi, il virus, e la lotta riprende tra le forze della natura, quella stessa che ci annovera tra gli esseri, ma che sparge eccidi a causa di mani e intelletti che la costringono nei parametri del potere e delle distruzioni belliche.

Il Jonas di oggi si domanda quale sia la presenza di Dio nelle date della modernità quando l’arrivo su Marte ci proietta in esplorazioni interplanetarie mentre viviamo sulle zolle con fatica.

Le pagine bibliche descrivono Dio che cerca Adamo senza vederlo, che lo interroga sui suoi gesti e che abbandona il popolo eletto nelle diaspore; è anche lo stesso Dio che lascia perire i nemici del suo popolo tra le onde dopo averle prosciugate per i fuggiaschi dall’Egitto. Jonas aveva letto che Dio «parla, sceglie il suo popolo, promette patria e prosperità, lo nutre e disseta nel deserto, gli elargisce leggi e regole, gli promette pace e ricchezza»; poi lo scopre dimentico e sordo, non più il Dio favorevole di Abramo e Isacco. Per Jonas si soccombe e basta!

Kant ha proposto una pista di riflessione innovativa per la ricerca metafisica rispetto alla dialettica aristotelica: la verità è raggiungibile con il pensiero attraverso l’articolazione del giudizio sintetico a priori con cui all’empirico si applicava l’a-priori come contributo della novità. Questo procedimento non risultava applicabile alla riflessione su Dio, non essendovi un a-priori proporzionato all’infinità dell’Incommensurabile. Così Kant, con una virata a tutto campo, si rifugiava nei «postulati» che gli offrivano il deus ex machina per la soluzione del problema.

Per Jonas l’empirico che può utilizzare è lo sterminio produttore di tragicità; l’infinitezza resta un concetto bloccato dal dubbio, anzi dall’offensiva della ragione depauperata e compressa, agli antipodi della speranza. Da qui il Dio-ristretto (pagg. 32-34) che abbandona l’uomo alla deriva. La risposta di Jonas all’impossibilità di porre un ragionamento filosofico sull’esistenza e onnipotenza di Dio non è, però, una conclusione atea, è invece una istanza problematica.

Le date storiche, a cui abbiamo fatto cenno, sono date delle sconfitte per molti, più di quanti abbiano esultato per la vittoria. Abbiamo sete di tempi della pace, non di quella tracciata su carte e dichiarazioni ma della riappacificazione globale, senza pegni né clausole.

Molte domande su Dio

Nel nostro oggi dove approdano i nostri interrogativi religiosi? C’è una soluzione? Nasce da alcuni passi della narrazione biblica e dalla loro influenza sull’esperienza delle chiese dei primordi. Si tratta di un filone che implica aspetti non solo religiosi ma addirittura politici, influenti sui rapporti sociali.

Partendo dall’assunto iniziale affermato in Esodo III, 7 con cui lo scrittore sacro afferma in modo perentorio il volere divino: «ho visto l’afflizione del mio popolo» per cui Dio si impegna nella grande e spettacolare liberazione, la tradizione biblica scritta riprende quell’annunzio come causa prima della storia messianica in 2 Esdra, IX, 9.

Esdra ripropone Dio che viene incontro all’afflizione israeliana dell’esilio procurando la determinazione del re Ciro di concedere il contro esodo alla prima storica diaspora ebraica.

Agli albori della comunità cristiana, quando ancora ai seguaci stretti di Gesù non era stato attribuito l’appellativo di cristiani, Stefano pronunzia il lungo discorso agiografico su Gesù di Nazareth, riprendendo l’antica promessa biblica e illustrando agli ascoltatori riluttanti il volere divino che soccorre il popolo eletto. La sua difesa determinerà la sua lapidazione (Att. VII,34).

Stefano apre lo scenario di una vocazione alla salvezza ben più vasta e più importante di quella antropologica popolare: la novità del Risorto capace di estendere la realtà ebraica in una dimensione ormai sovranazionale, quella evangelica, ossia del nuovo popolo non più circoscritto nella terra israelitica.

Siamo dinnanzi all’affermazione autorevole sulla missione cristiana e quindi sull’avvio di una nuova religiosità destinata ad essere rivolta oltre i confini gerosolimitani a tutto il mondo.

Sicuramente, nel nuovo assetto, la religione non è quella delle Sinagoghe, fondata sulla circoncisione e sull’obbedienza al decalogo mosaico. Quindi essa necessita di un ulteriore annunzio e specificazione che dopo vengono espresse anche con lo scritto di Giacomo (Giac. I, 27): «religione pura e senza macchia davanti a Dio nostro Padre è questa: soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni e conservarsi puri da questo mondo». Lo stesso scrittore sacro, proseguendo il suo ragionamento, bolla di «perversità» quanti emarginassero i poveri (II, 4-5).(2) Il particolare indica che l’autore della lettera è preoccupato per alcuni limiti e abusi serpeggianti nelle comunità.

La posizione di Jonas

A questo punto è di tutta evidenza la posizione veterotestamentaria di Jonas che si diversifica da quella dei seguaci di Gesù. Infatti da Stefano in poi c’è una cartina al tornasole a prova della «novità». La differenza sta in questo: la premura di Dio proclamata come intervento a difesa dell’afflizione del popolo si trasforma nell’affermazione con cui Gesù si assimila ai derelitti della società. Non solo premura e difesa ma assoluta parificazione: «venite benedetti … avevo fame … sete, ero forestiero … nudo … malato … carcerato …» (Matt. XXV, 34-45). Non si fa distinzione tra rei e innocenti; è lo stato di disagio e restrizione a qualificare il valore del soccorso prestato a lenire l’indigenza e la sofferenza. Basta ciò perché il soccorritore sia dichiarato benedetto per azioni che risultano trascendenti a sua insaputa, senza che sospetti minimamente che lì si annidi Dio. Gesù pone il sigillo di autenticità, sufficiente per meritare la «benedizione».

C’è una variazione religiosa di non poca importanza e nemmeno di facile soluzione; tuttavia il testo è perentorio, come dire: nel VT è Lui che si muove a compassione per modificare positivamente la storia; nel NT è il seguace del Vangelo che modifica la situazione esistenziale dei propri simili; ora attore della trasformazione della storia e della riabilitazione dei sofferenti è il credente, anzi addirittura chi non sa di realizzare opere meritorie: non sa dov’è Dio, offre un bicchiere d’acqua e merita l’eternità gioiosa!

Sono due modi diversi e complementari di realizzare la presenza di Dio nel mondo. Il volontario, credente o meno, è «redentore» anticipatore della pace promessa.

Nell’interpretazione della storia l’alunno che scorre le pagine della sorte della tratta dei neri ha di che stupirsi: papi che benedicono i conquistatori e gli schiavisti, concedendo benefici e osannando i re protagonisti e, a distanza di 550 anni, Giovanni Paolo II il papa che condanna quelle macchie e, proprio nella stessa Africa, chiede perdono.(3) Questo gesto non cancella la sorte toccata agli schiavi ma è utile a qualificare gli operatori delle attuali sopraffazioni.

Come è conoscibile Dio?

Verrebbe da chiedersi con Jonas: come è conoscibile Dio? Dove risiede alla vista del dolore del mondo? Attende dietro le quinte per rimunerare a morte avvenuta? Resta inefficace dinnanzi al male del mondo?

C’è un grande interrogativo che la politica e lo studio devono porsi: a prescindere da Dio tutto spetta alla dignità riposta nelle mani dell’uomo che può comporre e scomporre la storia. Così la dialettica viaggia tra antinomie ma nelle sue pieghe la giustizia resta l’anima della pace.

Un esperimento con una classe di studenti: proposta alla loro lettura degli stessi testi sopra citati lasciando poi ai giovani l’iniziativa di coordinare le riflessioni e ricavare impressioni. Tutti giungevano, in conclusione, all’idea politica della necessità e opportunità del volontariato per partecipare al progetto di democrazia partecipata e alla necessità di impegnarsi politicamente per un futuro di equilibrio tra iniziative e interventi di politica economica. L’insegnante si ferma lì proprio dove nasce il criterio degli alunni che cercano di orientarsi e concludono che valga la pena impegnarsi.

Il dubbio di Jonas non è soltanto il corollario di una fede veterotestamentaria; è la problematica dell’uomo di ogni tempo che difficilmente giustifica la presenza del dolore e della sopraffazione subita, parallela all’accoglimento della presenza del Soprannaturale. Per cui c’è un Jonas in ogni uomo come c’è la nuova promessa che il «soccorrere» è l’imperativo della pagella che sancisce la rivoluzione contro il potere che mortifica e umilia, tormenta e uccide.

Questa destinazione è nelle mani delle persone di buona volontà, restauratrici della dimensione «umana» contro la contraddittorietà del quotidiano.

Così, c’è chi cerca la trasformazione, il «passaggio» come ripristino delle dignità soffocate, c’è chi vede questa trasformazione come Passah, passaggio storico dalla schiavitù alla libertà, c’è chi crede che la Pasqua segni il trionfo del bene sul male, il mistero rivelato in base al quale hanno senso tutti gli impegni della vita volti a restituire il volto umano agli sfregi impressi dall’uomo all’altro uomo.

Auguriamoci tanti passaggi di questo tipo!

 

Francesco Sofia

 

(1) Hans Jonas, Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Una voce ebraica,Genova 1989

(2) Gli studiosi hanno discusso a lungo se l’autore sia uno degli apostoli o un parente (detto fratello) di Gesù. Nel primo caso lo scritto sarebbe precedente al 62 d.C., anno del martirio dell’apostolo. Nel secondo caso risalirebbe verso la fine del I sec. d.C. Dopo la prima espansione cristiana, era possibile che l’autore avesse a disposizione un estensore di cultura ellenica, come si deduce dal corpo dello scritto originario in perfetta lingua greca. L’opportunità era ispirata dalla necessità di destinare l’elaborato anche alle numerose comunità sorte oltre i confini della Palestina.

(3) Niccolò V con le bolle del 1452, con cui benediceva il re del Portogallo a rendere schiavi «i pagani saraceni», e del 1454 permettendo di poterli commerciare. Altrettanto favorevoli i successori Callisto III, Sisto IV, Alessandro VI e Innocenzo III. Al contrario Giovanni Palo II «chiede perdono» per la vergognosa tratta, a Dakar il 22 febbraio del 1992.