Combattere tutti i possibili vettori significherebbe fare il deserto in Puglia, al contrario ci sono studi, sperimentazioni e metodi di intervento biologici che sono ignorati. Perché? È urgente fare chiarezza, non è possibile attendere oltre
«Ci sono attualmente 595 specie potenziali ospiti del batterio X.fastidiosa, riportate nella letteratura scientifica, 221 delle quali sono state trovate infettate da X. fastidiosa in condizioni naturali, suggerendo quindi una presenza endemica di questo batterio nell’Ue centrale e meridionale. Secondo l’Efsa, le specie Prunus dulcis, Prunus avium, Polygala myrtifolia, Spartium junceum, Nerium oleander, Rhamnus alaternus e Rosmarinus officinalis sono state segnalate come suscettibili ad almeno tre sottospecie di X. fastidiosa.
«Tuttavia, i fenomeni di disseccamento in Europa non sono assolutamente paragonabili a quelli che si verificano per gli ulivi in Puglia, più intensi nelle zone costiere. Pertanto, il batterio non può essere considerato l’unica causa del focolaio, sebbene richieda di per sé adeguate misure di contenimento.
«Riteniamo che sia necessario un cambiamento sostanziale sia delle misure di contenimento che dell’approccio sul campo, tenendo conto di tutte le molteplici cause del CoDiRO.
«In altri termini dovremmo curare i malati, non solo la malattia, e in questo caso il malato è il territorio, compreso l’olivo.
«La progressiva desertificazione del suolo, la salinizzazione dell’acquifero, la progressiva diminuzione della materia organica del suolo, l’aumento (improprio) dell’uso di pesticidi ed erbicidi, la diffusione di microrganismi fitopatogeni tra cui il batterio da quarantena Xylella fastidiosa subsp. pauca sulle piante ospiti comuni comprese le piantagioni di Ulivi ad alta densità, la crescente vulnerabilità dei territori coinvolti nel CoDiRO, insieme alla mancanza di adeguate pratiche di gestione agricola e adeguate misure di contenimento, indicano chiaramente una natura sindemica del fenomeno, rispetto ad un’unica e troppo semplicistica causa di un unico, seppur pericoloso, batterio fitopatogeno.
«La natura sindemica della minaccia che si sta affrontando in Puglia suggerisce la necessità di un approccio più innovativo e multifattoriale. Solo questo può proteggere la salute del suolo, la resilienza degli oliveti, la qualità del cibo prodotto e la salute delle comunità umane».
Sono le conclusioni di uno studio accurato fatto da Marco Nuti (Institute of Life Sciences, School of Avanced Studies Sant’Anna – Università di Pisa ), Giusto Giovannetti (Centro Colture Sperimentali (CCS), Olleyes, Quart, Aosta ), Marco Scortichini (Council for Agricultural Research and Economics (CREA) – Research Centre for Olive, Fruit and Citrus Crops, Roma), Giovanni Pergolese (Multidisiplinary Scientific Committee (MSC), Arnesano, Lecce), Michele Saracino (Multidisiplinary Scientific Committee (MSC), Arnesano, Lecce), Giorgio Doveri (Multidisiplinary Scientific Committee (MSC), Arnesano, Lecce).
Gli studi ci sono e smentiscono nei fatti le procedure utilizzate dalla regione Puglia per combattere la Xylella fastidiosa. Ma non ci sono solo gli studi, c’è anche la cura, come dimostra il metodo applicato da Marco Scortichini in 27 comuni. Per Taranto: Crispiano, Montemesola, Grottaglie, Lizzano, Sava, Maruggio, Torricella, Avetrana, Manduria. Per Brindisi: Carovigno, Francavilla Fontana, Mesagne, San Pancrazio Salentino. Per Lecce: Lizzanello, S. Pietro in Lama, Veglie, Galatone, Nardò, Otranto, Uggiano, Cannole, Giurdignano, Diso, Carpignano, Ortelle, Andrano, Poggiardo.
Si sta perpetrando un ecocidio senza precedenti che colpisce le radici culturali di questa regione e si rischio di perdere un bene prezioso.
Infatti, dice Scortichini, «le cultivar attualmente utilizzate in Salento, Ogliarola salentina e Cellina di Nardò, oltre a rappresentare un valore storico-culturale e paesaggistico enorme, sono dotate di caratteristiche particolari. L’olio che se ne ricava, quando raggiunge i criteri di eccellenza, è tra i più ricchi al mondo per quanto riguarda il contenuto in polifenoli. Tali composti sono di fondamentale importanza per la salute umana in quanto svolgono funzioni di molecole antiossidanti miglioratrici dell’intera fisiologia del corpo umano. Privarsene significa perdere del tutto tali potenzialità che, al contrario, andrebbero conservate, valorizzate ed esaltate».
È chiaro che ci troviamo di fronte ad un problema complesso e di vasta portata, per questo non bisogna né arroccarsi né disdegnare contributi.
Una riflessione seria e responsabile si impone prima di decidere gli ulteriori passi che la Regione ha intenzione di fare, e coinvolgere finalmente, come pare si stia facendo in queste ore, di coinvolgere le associazioni che hanno espresso preoccupazione (vedi 1 e 2)
E la lotta va fatta utilizzando tutti i mezzi permessi. Ma ci sono anche altri mezzi che non richiedono permessi particolari, come il Caolino che ha efficacia e non ha bisogno di autorizzazione in quanto non è un pesticida. Una strada ben nota da tre anni e conosciuta a livello regionale visto che finanziò le prove.
Quindi cosa impedisce un cambio di passo?
I. L.