Intervista al geologo Roberto De Marco
I risvolti del Super EcoSismabonus110%
«Con l’avvento del supersismabonus110% circa 1.300 comuni della Lombardia, dell’Emilia e Romagna, del Piemonte e della Val d’Aosta sono transitati dalla Zona 4 nella Zona abilitata al bonus. Per ultimo il Veneto che non ha più comuni in Zona 4, tutti promossi in Zona 3».
«Il bonus terremoto è nelle mani di un’ampia schiera di stakeholder (imprese, industria, professionisti e accademici, consulenti fiscali, amministratori e istituti di credito); affatto governato se non dalle direttive dell’Agenzia delle entrate (che competenza in termini di efficacia non può certamente esprimere) impegnata a far sì che dalla quantità extralarge del provvedimento possa derivare un vantaggio in termini di crescita del Pil»
Il velo della pandemia sta coprendo, come un manto nevoso, tutti i problemi e i drammi del nostro paese. Coprire non vuol dire risolvere ma solo accantonare. Problemi drammatici di salute individuale, collettiva e di sicurezza del territorio. Ma non tutti dormono e, nelle pieghe degli interventi pur necessari e urgenti, si inseriscono azioni negative che vanno dalle mafie agli egoismi, sciacalli sempre pronti ad approfittare indifferenti dei reali bisogni, della giustizia e della pietà umana.
È quanto sta accadendo in Italia a proposito dell’iniziativa del Super EcoSismabonus110%. Una misura opportuna ma mal gestita e pessimamente preparata.
L’Italia è un paese di furbi, per usare un eufemismo e, quasi sempre, la farraginosità degli interventi è un sistema a posteriori per mettere le famose «pezze» per ostacolare i furbi ma che ostacola anche gli onesti. Ma seguendo questi meandri legislativi è facilissimo perdersi. Noi vogliamo fare un ragionamento terra-terra ed osservare semplicemente che nell’ultimo millennio in Italia su 28 terremoti distruttivi quelli tra 6,7 e 7,3 della scala Richter, sono avvenuti tutti nel Centro-Sud. Osservando i terremoti avvenuti nelle città capoluogo: delle 34 colpite, anche ripetutamente, da terremoti distruttivi, 31 sono avvenuti al Centro-Sud.
Ora il territorio nazionale è suddiviso in Zone, i comuni della Z 1 sono quelli ad alta sismicità, la Z 2 è a media sismicità, la Z 3 è a bassa sismicità, la Z 4 a sismicità assente.
Ora come mai e in base a quale reale ragione 1.300 comuni sono passati da Z 4 a Z 3?
E così accade che Milano, Pavia, Torino, Aosta rientrano in zone sismiche al pari di Catania, Benevento, Cosenza… Ed anche il Veneto sta facendo pressione affinché tutti i suoi comuni passino da Zona 4 a 3.
Il risultato di questa schizofrenica azione, a parte le valutazioni morali, sarà che non si parlerà più di prevenzione in maniera seria e produttiva.
E non è che questo sta avvenendo nel silenzio delle camere del potere, no, ma alla luce del sole e sismologi, geologi, ingegneri sismici e docenti da tempo stanno segnalando queste storture. È stato fatto con un Appello sulla prevenzione sismica nel 2019, un Manifesto propositivo per una prevenzione efficace nel 2020 e sempre nel 2020 con un nuovo Appello/grido di dolore di esperti sui Beni Culturali.
Tutti gli interventi sono stati inviati al Governo, ai Ministri e al Presidente della Repubblica. Il dott. Roberto De Marco, geologo, già direttore del Servizio sismico del Dipartimento dei Servizi tecnici nazionali della Presidenza del Consiglio è tra i promotori di tali iniziative. E a lui ci rivolgiamo per avere alcuni chiarimenti.
Dottor De Marco il grado di sismicità di una Zona lo stabilisce la politica o la competenza espressa dalle varie discipline impegnate sulla materia?
La zonazione sismica è un presupposto essenziale per concepire una visione strategica dell’azione di prevenzione, proprio quello che ancora manca in questo Paese. Le quattro zone in cui è articolata danno una rappresentazione della pericolosità sismica in termini di frequenza ed intensità dei fenomeni manifestatisi negli ultimi mille anni. Tale classificazione si avvale di uno dei più ampi cataloghi dei terremoti disponibili nel mondo; quattro zone a sismicità decrescente da Zona a 1 a Zona 4: alta, media, bassa e molto bassa, esprime una sintesi delle conoscenze in campo storico/sismologico. Per un lunghissimo tempo la zonazione sismica è stato un compito esclusivo dello Stato, incardinato nel ministero dei Lavori pubblici, attraverso valutazioni del Consiglio superiore dei lavori pubblici, su proposta del Consiglio nazionale delle ricerche, sentite le Regioni. Poi, la famigerata riforma del Titolo V della Costituzione ha conferito alle Regioni la possibilità di deliberare lo spostamento di comuni da una Zona a un’altra. L’avvento della concessione del bonus terremoto, nella dimensione surreale del 110% della spesa sostenuta per migliorare le condizioni di resistenza dei fabbricati, ha indotto quasi tutte le regioni settentrionali ad operare una massiccia migrazione di comuni dalla Zona 4 a sismicità molto bassa, esclusa dal bonus, alla Zona 3 invece inclusa. La politica che punta a rivolgersi alla pancia della gente, ha quindi affermato la sua supremazia sulla competenza.
In base a quali valutazioni una zona come Milano passa da Z 4 a Z 3?
È la conseguenza di quanto si diceva prima. Con l’avvento del supersismabonus110% circa 1.300 comuni della Lombardia, dell’Emilia e Romagna, del Piemonte e della Val d’Aosta sono transitati dalla Zona 4 nella Zona abilitata al bonus. Per ultimo il Veneto che non ha più comuni in Zona 4, tutti promossi in Zona 3. Così il numero di comuni in quest’ultima – dove non si ricordano perdite per terremoti – supera ora la sommatoria di quelli in Zona 1 e Zona 2, dove la sismicità storica annovera decine e decine di disastri con perdite enormi, dovute a eventi devastanti e ricorrenti.
Milano quindi come Catania, Pavia come Lamezia Terme e Sondrio come Messina: stessa possibilità di accesso al bonus terremoto, con buona pace del nobile sentimento di solidarietà (anche istituzionale) per altro storicamente assai sviluppato in questo Paese.
È ammissibile che tutto il territorio italiano diventi Z 3?
La Zonazione sta perdendo il suo fondamentale carattere di scientificità, prevalendo sulla sua fondamentale capacità di differenziazione di aree a diversa pericolosità sismica, la «convenienza» di poter accedere ad un «contributo» che, per altro, non è più tale poiché rende il cittadino che lo richiede indenne da qualunque spesa e oggetto anche di un 10% di supporto, di premialità. Tutto questo toglie significato, ovviamente, alla Zonazione sismica.
Quali possono essere le conseguenze?
Le conseguenze sono molteplici. La concessione del bonus privilegerà aree dove di terremoti ce ne sono stati pochi o affatto rispetto ad altre dove invece ce ne sono stati molti e distruttivi. In grande sintesi stiamo assistendo non solo ad una macroscopica operazione di dispersione di risorse ma anche ad una ben più grave azione di distrazione. Aree a maggior rischio si trovano in enorme prevalenza nelle regioni centro-meridionali, lungo la catena appenninica. Di queste regioni stupisce il silenzio, la mancanza di una denuncia per la sottovalutazione della loro condizione rispetto ad altre aree del Paese che, per ragioni socio-economiche e organizzative, sicuramente meglio sapranno cogliere l’opportunità data dagli ultimi governi. Il bonus, è prevedibile, servirà soprattutto a risistemare seconde, terze e quarte case, anch’esse ammesse senza alcun limite al contributo. Ogni governo protempore è sembrato quindi preferire una navigazione a vista, trovare soluzioni estemporanee non sottoposte a nessuna verifica di efficacia, mosse da esigenze che nulla hanno a che fare con la soluzione dell’intollerabile problema sismico di questo Paese.
Quali possono essere i danni collaterali più gravi?
La conseguenza più vistosa è rappresentata dal fatto che uno straordinario avanzamento della conoscenza del fenomeno e dalla messa a punto di criteri per la riduzione dei suoi effetti, sviluppatasi soprattutto nell’ultimo ventennio del secolo scorso sia stata completamente ignorata. Un’iniziativa, quella del bonus terremoto, con il più basso livello di scientificità immaginabile.
Diversi quindi i «danni collaterali». Il primo è rappresentato dall’incredibile cancellazione del «problema sismico del Paese» dal dibattito politico–istituzionale. Tutto assorbito dal bonus rispetto al quale nessuna proiezione di efficacia è stato mai proposta, nessuna definizione di obiettivo finale. Al tempo del sismabonus e dei conseguenti interventi economico-finanziari per uscirne fuori, il tema è stato derubricato. Nemmeno un Euro per una prevenzione efficace.
Il bonus terremoto è nelle mani di un’ampia schiera di stakeholder (imprese, industria, professionisti e accademici, consulenti fiscali, amministratori e istituti di credito); affatto governato se non dalle direttive dell’Agenzia delle entrate (che competenza in termini di efficacia non può certamente esprimere) impegnata a far sì che dalla quantità extralarge del provvedimento possa derivare un vantaggio in termini di crescita del Pil. Obiettivo molto difficile da conseguire per un bonus (a debito quinquennale) che copre l’intera spesa più un 10% di premialità!
Altre criticità riguardano la mancanza di attenzione nei confronti del quadro complessivo di criticità che il terremoto manifesta al verificarsi dell’evento; il bonus potrà essere utilizzato da edifici «diversamente a rischio» o parte di aree ad alto degrado, bisognose di riqualificazione, risolvibili solo attraverso una più accurata pianificazione degli interventi.
L’unica cosa pianificata sembra invece essere un tentativo di procedere ad una generalizzata azione di sostituzione/trasformazione edilizia (sospinta dall’aumento di cubatura promessa dal «Piano Casa») sulla quasi totalità del territorio nazionale. Viene raccomandato l’intervento di demolizione/ricostruzione, l’incappottamento incondizionato. Termini come tutela, conservazione non fanno parte del lessico proposto dal superecosismabonus, mettendo a rischio i caratteri paesaggistici, identitari del Bel Paese, da ritenere invece inalienabili.
Dopo tanti anni di totale immobilismo e dopo questa svolta peggiorativa a proposito del Super EcoSismabonus110%, si può ancora parlare di prevenzione sismica?
Credo sarebbe necessaria una profonda riconsiderazione sul tema della prevenzione dagli effetti dei terremoti in un paese come l’Italia, caratterizzato da un sismicità medio alta ma da un elevato rischio. Tale esigenza nasce anche dalla consolidata accettazione della necessità di negoziare l’azione di conferimento dei caratteri di resistenza del costruito (non solo quindi la «casa») con la fragilità complessiva del territorio, assicurando al contempo il mantenimento dei caratteri salienti, identitari del nostro «paesaggio». Per questo il processo di riduzione del rischio ha necessità di essere governato, affidato ad una ben ponderata strategia, indispensabilmente marcata da priorità e valutazioni di efficacia dei criteri d’intervento.
C’è qualche segnale positivo che si intravede?
Direi proprio di no. Purtroppo il tema della difesa dai terremoti è stato messo nel calderone dei tanti altri bonus che riguardano il comparto dell’edilizia (in crisi). Le logiche che presiedono a una tale visione strumentale del problema sono antitetiche ad una incisiva azione di prevenzione. Questa infatti non può prescindere da un approccio per aree prioritarie, sulle quali operare ad un «distanza» tale da poter interpretare le condizioni di fragilità, di vulnerabilità che per altro non riguardano solo «la casa» alla quale il sismabonus si rivolge. In tale diverso contesto i caratteri prioritari per la scelta delle aree risulterebbe essere solo il primo passo. Altri motivi di priorità emergerebbero da una lettura del territorio dall’interno delle stesse aree prescelte: un’analisi a scala di maggior dettaglio attraverso strumenti come la microzonazione sismica (capace di delimitare aree di amplificazione degli effetti del terremoto), il rilevamento puntuale della vulnerabilità sismica e naturalmente anche la definizione di parametri socio-economici certamente condizionanti. Insomma, una sequenza di passi per arrivare ad un’interpretazione delle fragilità del territorio in base alla quale programmare interventi, finalizzati anche alla riqualificazione complessiva del contesto. Tutto questo è enormemente lontano, anzi antitetico alla superficialità delle «piccole logiche» che presiedono al bonus terremoto, fondate sulle quantità a discapito della qualità, sull’enorme dispersione delle risorse determinata dall’assenza di qualsiasi livello di controllo, di logica nell’indirizzamento delle risorse. Tutto e solo nelle mani del cittadino convinto a partecipare solo dalla convenienza, certamente non da una maggiore consapevolezza del rischio invece mistificato.
Ignazio Lippolis