Cinghiali, dopo 10 anni di silenzio arriva la Puglia

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cinghiale caccia
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Si parla di Piano di gestione ma bisogna tenere presente cosa ha detto la Corte costituzionale e cioè che prima di metter mano ai fucili vanno esperiti tutti i metodi ecologici di riduzione delle popolazioni. Ora, però, la pianificazione di controllo delle popolazioni deve necessariamente raccordarsi con esigenze sanitarie di primaria importanza

La presenza di cinghiali continua a tenere banco sui mezzi di informazione di massa e sul web. «Sono troppi», «provocano danni a cose, colture e persone», «provocano incidenti stradali». Certo, è così e la questione non è solo italiana o regionale ma europea, si potrebbe dire planetaria. Le origini dei problemi sono quasi sempre le solite: cinghiali introdotti negli ambienti aperti da cacciatori per assicurarsi il divertimento di emulare mini Buffalo Bill ma anche suini sfuggiti al controllo da aziende zootecniche, per lo più di piccole dimensioni e con animali al pascolo brado. Quindi, maiali che si incrociano con cinghiali dando vita ad ibridi che poi si diffondono nel territorio.

La crescita esponenziale delle popolazioni di cinghiali non può essere certo limitata più di tanto dal parallelo incremento delle popolazioni di lupi. Molte Regioni italiane hanno da tempo avviato piani di contenimento numerico dei cinghiali. Ultima arrivata è la Regione Puglia che, finalmente dopo almeno un decennio di silenzio sull’argomento e nonostante le buone esperienze (ovviamente in scala ridotta) del secondo Parco Nazionale in territorio pugliese, sembra aver raggiunto il risultato della messa a punto di un piano di gestione della specie. Ma, come ha recentemente confermato la Corte costituzionale, prima di metter mano ai fucili vanno esperiti tutti i metodi ecologici di riduzione delle popolazioni. Ora, però, la pianificazione di controllo delle popolazioni deve necessariamente raccordarsi con esigenze sanitarie di primaria importanza.

Parliamo della sorveglianza sanitaria sulla peste suina africana (Psa) su cui ci siamo già soffermati nell’autunno dello scorso anno. L’Italia è ancora indenne, ad oggi, alla diffusione del virus che è tra i più feroci, anche se non si ha evidenza scientifica, per ora, della trasmissibilità all’uomo. Ma la Psa è arrivata ai confini nazionali.

Ad aprile scorso il ministero della Salute ha diffuso il Piano di sorveglianza e le linee guida operative per la Psa. Una delle curiosità del Piano è che «nel quadro delle misure sviluppate ai fini dell’attuazione della sorveglianza passiva, è prevista una compensazione finanziaria di 10 euro per coloro che riferiranno il ritrovamento di una carcassa di cinghiale come richiesto dal doc. Sante 2017/10186 rev.3 della Commissione e 20 euro per la consegna o l’invio del campione all’autorità competente». «A tal fine — prosegue il documento ministeriale — le Regioni e Province Autonome devono predisporre un’apposita procedura per la compensazione e la relativa rendicontazione ai fini della richiesta di accesso ai finanziamenti comunitari, anche attraverso appositi accordi con le associazioni venatorie».

Incentivi (molto bassi, per la verità) la cui efficacia è tutta da monitorare perché la fantasia di bracconieri e delinquenti supera la realtà. Il ministero della Salute informa anche che «è in fase di elaborazione un documento di indirizzo con l’obiettivo di fornire indicazioni tecnico operative in relazione alla prevenzione della Psa nel selvatico, e di supportare le Regioni e Province Autonome nell’ambito dei propri Piani di gestione della fauna selvatica, nell’orientamento finalizzato a migliorare gli aspetti correlati alla preparedness e alle misure di gestione della popolazione di cinghiali in funzione dell’aumentato rischio di introduzione del virus della Psa in Italia».

Quindi, i piani di gestione del cinghiale, come quello che sta approntando la Regione Puglia (ma vale anche per le aree protette), dovranno necessariamente essere elaborati alla luce del documento di indirizzo che il ministero della Salute sta mettendo a punto con ministero delle Politiche agricole e con il ministero della Transizione ecologica. «Ciò anche al fine – afferma il ministero della Salute – di programmare l’obiettivo di riduzione generalizzata delle densità, da perseguire mediante l’incremento dell’utilizzo di tecniche a basso impatto, in grado di limitare la movimentazione degli animali e la loro ulteriore diffusione sul territorio, nonché attraverso l’incremento del prelievo selettivo nei confronti di specifiche classi di sesso ed età. La riduzione generalizzata della densità della popolazione di cinghiali andrà perseguita e mantenuta nel tempo in quanto il rischio Psa sarà prevedibilmente alto anche nel futuro, indipendentemente dal riscontro di focolai».

Vedremo che cosa accadrà.

 

Fabio Modesti