Capire Fukushima, il nucleare oltre gli stereotipi

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Il libro di Piergiorgio Pescali. Un futuro che deve essere più partecipato da parte dei consumatori. Non è possibile, come spesso si sente dire, lasciare tutto il problema in mano alla politica e alla ricerca. Anche chi consuma energia deve farlo in modo più responsabile e mirato e non limitarsi ad allargare le braccia dicendo che la colpa della situazione in cui ci troviamo oggi è solo dell’industria o della politica

copertina fukushimaComprendere come si è arrivati all’incidente della centrale giapponese impone uno studio a monte che deve includere i principi della fissione nucleare e, come ulteriore approfondimento culturale, la storia che ha portato gli scienziati a comprendere il funzionamento del nucleo atomico e delle radiazioni. Capire come un nucleo possa fissionarsi, il modo in cui si divide e gli effetti che tale fissione produce aiuta a seguire non solo la storia di Fukushima Daiichi, ma anche il dramma che la popolazione colpita dall’incidente ha subìto e continua ancora oggi a subire. Le conseguenze dell’incidente non sono solo materiali, ma anche morali, psicologiche e soprattutto le ultime due avranno sempre più peso, via via che il tempo cancellerà le impronte lasciate dal terribile Grande terremoto del Giappone orientale e dello tsunami dell’11 marzo 2011.

Abbiamo voluto porre qualche domanda a Piergiorgio Pescali, ricercatore scientifico, giornalista e scrittore di numerosi libri tra i quali «Capire Fukushima. La lotta del Giappone, il nucleare oltre gli stereotipi», Lekton 2021.

Cosa c’è dietro il tema della fissione nucleare, scienza e mito?

Più che di mito parlerei di pregiudizio sulla parola nucleare, al cui solo accenno molti tendono ad alzare barriere rifiutando ogni discussione. Parte di questa incomprensione è dovuta al mondo scientifico e politico i quali per troppo tempo hanno identificato il nucleare solo come esempio di fissione legato agli ordigni bellici o al pericolo di catastrofe potenzialmente espressa dalle centrali elettriche. Eppure di nucleare non c’è solo la fissione: abbiamo la fusione la cui ricerca applicata alla vita quotidiana potrebbe portare ad una rivoluzione energetica. Abbiamo il nucleare applicato alla medicina, che aiuta molti pazienti a sconfiggere malattie prima incurabili. Abbiamo anche il nucleare legato alle scoperte spaziali, usato come generatore di energia per sonde spaziali, tra cui Perseverance. Dobbiamo cercare di allargare i nostri orizzonti per rompere quell’equivalenza che identifica il nucleare esclusivamente come fissione.

Cosa ha determinato l’incidente nucleare del 2011 con le sue implicazioni psicologiche, economiche e culturali?

L’incidente di Fukushima è stato uno spartiacque nella società giapponese prima di tutto perché ha segnato una presa di coscienza da parte dell’opinione pubblica. Prima di Fukushima i giapponesi non mettevano in dubbio la veridicità delle notizie che diffondeva il governo in qualunque campo, politico, economico, scientifico. Potevano non essere d’accordo e contestare le decisioni, ma pochi erano coloro che supponevano malafede nelle parole dei loro governanti e negli organi di informazione. Dopo Fukushima ci si accorse che i vari ministeri, a partire dal primo ministro, avevano smussato la gravità dell’incidente sino a falsificare i dati sui livelli di radioattività rilasciati dalla centrale. Questo ha indotto numerosi giapponesi a rimettere in discussione l’intero sistema di informazione.

In secondo luogo l’incidente ha obbligato decine di migliaia di persone ad abbandonare i loro villaggi trasferendosi in strutture temporanee. Questo ha causato la distruzione di un intero tessuto sociale: i legami comunitari e famigliari ne hanno risentito. Molti hanno dovuto emigrare abbandonando la famiglia. Altri si sono ritrovati in ambienti ristretti, a stretto contatto con sconosciuti privandosi della propria privacy. Dal punto di vista psicologico molti vivono con la paura di poter vedere insorgere tumori dovuti alle radiazioni anche a distanza di anni. Numerosi studi, sia dell’Oms, dell’Unscear e altre associazioni indipendenti hanno concluso che il pericolo di insorgenze tumorali sono minime, ma se ci mettiamo nei panni di coloro che vivono sulla loro pelle questa situazione così precaria, è chiaro che la spada di Damocle che si sentono appesa sopra la loro testa non aiuta a tranquillizzare.

Infine l’incidente di Fukushima ha causato un danno enorme dal punto di vista economico. Le cifre variano moltissimo a causa delle modalità di intervento o di spesa e si spazia da un minimo di 300 miliardi di dollari a un triliardo di dollari per l’intera decommissione dell’impianto e la decontaminazione del suolo.

Quali gli eventi, le mancanze, le notizie che si sono accompagnate al disastro?

Fukushima è stata una serie di concause particolarmente sfortunate e indipendenti dall’uomo (lo tsunami), ma le cui conseguenze catastrofiche sono state in un certo senso incrementate dall’incuria umana. Le centrali nucleari in Giappone sono state progettate più per resistere ai terremoti che a tsunami di una portata come quello avvenuto l’11 marzo 2011. E Fukushima Daiichi, come tutte le altre centrali nipponiche, di fronte ad un terremoto di magnitudo 9.0 ha resistito egregiamente e tutte le sicurezze sono intervenute immediatamente. Quello che la dirigenza della società che gestiva l’impianto, la Tepco, non aveva previsto, era l’arrivo di uno tsunami come quello avvenuto circa mille anni prima nella stessa regione. La Tepco aveva disatteso i suggerimenti (non erano imposizioni) delle ispezioni precedenti che suggerivano di innalzare le barriere protettive per riparare la centrale da uno tsunami catastrofico. Inoltre si è scoperto che negli anni passati la stessa dirigenza della centrale aveva nascosto alcuni incidenti, magari di poco conto, avvenuti nel sito, ma che avrebbero impedito il pieno funzionamento dei reattori.

Quello di Fukushima è stato, se mai ce ne fosse bisogno, un avviso di quanto possa essere deleterio il connubio di gestione mista statale-privata in opere delicate come quelle energetiche.

Quale la situazione attuale, quali i potenziali pericoli legati allo sversamento delle acque di raffreddamento in oceano, perché le proteste dei coltivatori e dei pescatori e comunque delle realtà locali?

La situazione attuale si è normalizzata. Nella centrale vi lavorano migliaia di persone e decine di imprese appaltatrici che nei successivi 40 anni (almeno) accompagneranno la decommissione. I tre reattori fusi mantengono oggi una temperatura stabile di circa 20 gradi, quindi non vi è pericolo di ulteriori penetrazioni del corium al di fuori dal contenitore primario.

Occorre però far passare continuamente acqua sulla massa radioattiva per evitare che i radionuclidi si disperdano nell’ambiente. Quest’acqua poi viene filtrata e depurata dai 62 elementi radioattivi presenti nel corium. L’unico elemento che non è possibile eliminare è il trizio, un isotopo dell’idrogeno, difficile e costoso da eliminare e che si combina con l’ossigeno per formare la cosiddetta acqua triziata, che è radioattiva. Per questo l’acqua viene immagazzinata in contenitori all’interno della centrale. Nel 2022 però lo spazio a disposizione terminerà e già nel 2013 il governo, dopo aver consultato diversi scienziati, decise di rilasciare l’acqua nell’oceano. Sarà un rilascio molto graduale che durerà tra i 7 e i 33 anni per evitare che la radioattività causata dal trizio possa superare i limiti massimi imposti dalla legge giapponese, che è già molto più restrittiva rispetto a quella dell’Oms. Le stesse ricerche effettuate dalle più importanti organizzazioni oceanografiche mondiali hanno stabilito che il rilascio di trizio non influirebbe sulla vita marina e sulle acque dell’oceano.

I pescatori e i coltivatori si oppongono al rilascio non perché questo aumenterebbe la radioattività marina, ma per timore di un danno d’immagine tra i consumatori che ha già straziato la loro attività.

In argomento, come si pongono le varie realtà sociali includendo nelle stesse anche le associazioni antinucleari?

Dobbiamo fare una grande distinzione tra le varie associazioni ambientaliste e antinucleari. Dopo Fukushima decine di organizzazioni si sono improvvisate detentrici di verità assolute senza avere la minima competenza scientifica. Sulle pagine di numerose associazioni sono comparse mappe, fotografie e dati falsificati solo per sostenere idee preconcette e pregiudizi. Purtroppo questo ha creato scompiglio e attrito non solo con gli stessi abitanti della prefettura, in particolare agricoltori e pescatori, ma anche con i comitati antinucleari locali che si erano venuti a creare a Fukushima negli anni Novanta. All’opposto di quanto fatto dal governo, alcune associazioni ambientaliste e antinucleari (per lo più straniere), con lo scopo di avvallare la loro tesi contro l’energia nucleare, hanno diffuso dati di radioattività altissimi che non rappresentavano affatto la reale situazione. Questo ha creato un’ondata di panico tra la popolazione e tra i consumatori, che rifiutavano di acquistare qualsiasi prodotto «Made in Fukushima». Ricordo che Fukushima, proprio grazie alla presenza delle centrali nucleari, è stata una delle prime prefetture a sviluppare un’agricoltura biologica che, nel 2011 era seconda solo a quella di Nagano. Nonostante gli stretti controlli autoimpostisi dalle cooperative agricole e ittiche e i cospicui investimenti per assicurare prodotti genuini, le azioni di queste associazioni ambientaliste e antinucleari, hanno vanificato gli sforzi fatti rischiando di mettere a repentaglio la sopravvivenza economica di migliaia di famiglie.

Come dobbiamo immaginare il futuro energetico globale?

Sicuramente un futuro che deve essere più partecipato da parte dei consumatori. Non è possibile, come spesso si sente dire, lasciare tutto il problema in mano alla politica e alla ricerca. Anche chi consuma energia deve farlo in modo più responsabile e mirato e non limitarsi ad allargare le braccia dicendo che la colpa della situazione in cui ci troviamo oggi è solo dell’industria o della politica.

D’altra parte sentire parlare di energia «pulita», «verde» o «blu» svia sicuramente la percezione che abbiamo delle fonti energetiche. Dobbiamo cambiare il nostro vocabolario perché non esistono fonti energetiche «pulite» o variamente colorate. Tutte le energie comportano un certo grado di inquinamento, di degrado ambientale e di depauperamento delle materie prime. Dobbiamo invece introdurre il concetto di energia a basso impatto ambientale. Al tempo stesso non ha senso parlare di decarbonatazione, visto che viviamo in un mondo fatto di organismi e di molecole organiche a base di carbonio e qualunque tipo di degrado naturale produce CO2. Anche le piante, alla fine del loro ciclo vitale, producono anidride carbonica limitando così l’apporto globale «verde» dato all’ambiente.

Oggi per fortuna la ricerca sta aiutando a trovare nuove soluzioni, ma senza la partecipazione collettiva e globale saranno solo dei palliativi. Quando il nome di Greta (Thumberg) era sulla bocca di tutti, c’era un’altra sigla divenuta popolare: l’Ipcc. Ebbene quella stessa Ipcc ha indicato che per limitare l’aumento climatico a 1,5-2 gradi centigradi entro l’anno 2050 abbiamo bisogno di energie alternative e, tra queste, ha indicato il nucleare come energia di transizione aspettando che nel frattempo si possano trovare energie rinnovabili in grado di poter sostenere il consumo, sempre più frenetico, di energia a livello globale.

 

Elsa Sciancalepore