Più impegno e un accesso sicuro e continuo a trenta minerali e metalli critici per la trasformazione verde e digitale dell’Unione europea. Canada, Usa, Australia, Cile, Russia, Brasile, sviluppano in quel settore percentuali a due cifre del loro Pil. E le loro miniere si trovano in buona parte in altre nazioni, spesso in Paesi in via di sviluppo. Occorre, quindi, che l’Europa faccia altrettanto
Nel 2020 le emissioni mondiali di anidride carbonica sono diminuite di ben 2,6 GT (-7 per cento rispetto al 2019). Un calo mai osservato prima, ma abbastanza prevedibile considerata l’eccezionalità delle restrizioni imposte dalla pandemia.
I trasporti sono il settore che ha più contribuito al risultato, basti pensare che le fonti fossili utilizzate soprattutto nei trasporti e per la produzione di energia elettrica sono responsabili del 65 per cento delle emissioni globali di CO2. La seconda causa sono le emissioni di metano, un gas anch’esso a effetto serra ma del quale si parla meno. La maggiore causa delle emissioni di metano di origine umana è l’allevamento, in particolare di bovini.
L’enorme sacrificio compiuto dall’umanità nel 2020/2021 inciderà poco sulla febbre del pianeta poiché la riduzione delle emissioni corrisponderà a un calo di appena 0,01°C del riscaldamento globale nel 2050.
Ciò che conta, più del singolo taglio puntuale alle emissioni, è la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera, per cui come in un secchio colmo per le emissioni accumulate dall’uomo nel tempo, il contributo virtuoso dei tagli indotti dalla pandemia appare insignificante rispetto all’entità delle riduzioni necessarie.
Tuttavia a differenza delle altre crisi economiche, in cui subito dopo i parametri ambientali sono tornati immediatamente alla normalità, ci si aspetta che si consolidino molte sane abitudini amplificate dalla pandemia, benefiche per il clima.
Parliamo del maggior ricorso al trasporto attivo nelle città (a piedi o in bicicletta), a sistemi di comunicazione a distanza nelle imprese (meno viaggi di lavoro e più smart working), a forme di turismo regionale e allo shopping online.
A queste si aggiungerà il potenziamento di fenomeni in forte crescita già prima della pandemia, come la diffusione delle auto elettriche, lo sviluppo delle fonti di energia rinnovabile e le soluzioni di efficienza energetica. Ma ciò non basterà comunque a ridurre la febbre del pianeta perché, anche se le maggiori aree emettitrici del mondo quali Stati Uniti, Cina e Unione europea hanno dichiarato la loro ambizione di raggiungere emissioni nette zero entro il 2050 (Usa e Europa) e 2060 (Cina), le loro società continuano a essere basate pesantemente su fonti fossili. Fonti sostenute ancora da incentivi cospicui, valga per tutti l’esempio della mai arrestata crescita delle centrali a carbone in Cina. Occorre invece un cambio di rotta immediato, basato su azioni forti, molte da realizzare già entro la fine degli anni Venti.
Per i paesi più sviluppati e attenti al clima del mondo, che sono riusciti dal 2015 ad avviare un processo di decarbonizzazione riducendo le loro emissioni, gli obiettivi consistono nel decuplicare il loro impegno per rispettare l’Accordo di Parigi. E se è vero che acquisire consapevolezza vuol dire avere già fatto metà percorso, la pandemia avrà fornito almeno una più chiara misura dell’enorme sforzo da compiere.
La trasformazione verde e digitale dell’Unione europea potrà avere successo soltanto con un accesso sicuro e continuo a trenta minerali e metalli critici, tra cui litio, cobalto, grafite, vanadio, bauxite, nickel a condizioni competitive e sostenibili.
Negli ultimi 40 anni il governo cinese si è accaparrato fino al 97 per cento della produzione mondiale dei metalli critici indispensabili per la fabbricazione di dispositivi elettronici e della filiera delle batterie elettriche. Apple, come altre industrie ad altissima tecnologia, fabbrica i suoi dispositivi in Cina. Così come vengono prodotti là, in larghissima parte, i motori elettrici per le auto, i generatori eolici, i pannelli fotovoltaici, gli smartphone, e gli schermi Lcd. Quando i governi occidentali hanno provato a riportare le produzioni in patria, Pechino ha imposto forti dazi sull’esportazione di tutti i metalli critici non lavorati. In questo modo, quei dispositivi possono essere prodotti a prezzi competitivi solo in Cina.
La Cina ha potuto così aumentare e incorporare quote crescenti di valore aggiunto, assicurando commesse per le proprie aziende e benessere per i propri lavoratori. I prodotti di alta tecnologia sono per la maggior parte concepiti e creati in Occidente, ma una volta trasferita in Asia la loro produzione, si è creato un chiaro incentivo per le aziende locali ad appropriarsi progressivamente della tecnologia.
In Italia, come nella maggior parte dei paesi europei, manca completamente, da oltre mezzo secolo, una politica mineraria e una politica degli approvvigionamenti delle materie prime minerarie. Mancano quindi anche gli investimenti necessari alla ricerca delle stesse materie prime e di metodi di sfruttamento economici ed ecologici.
Ci sono però nazioni, come Canada, Usa, Australia, Cile, Russia, Brasile, che sviluppano in quel settore percentuali a due cifre del loro Pil. E le loro miniere si trovano in buona parte in altre nazioni, spesso in Paesi in via di sviluppo. Occorre, quindi, che l’Europa faccia altrettanto.
Interrompere o limitare la fornitura di questi materiali metterebbe in ginocchio l’industria militare, aerospaziale, elettronica e tutta la produzione dei dispositivi per la green Energy dei paesi occidentali, Giappone incluso.
La questione, dunque, non è solo commerciale, ma centrale per la sopravvivenza dell’industria occidentale con gli annessi posti di lavoro. Lo sviluppo di una produzione nazionale dei metalli critici non può che passare da incentivazione e finanziamenti pubblici della loro ricerca mineraria e dallo studio e messa a punto di metodi di sfruttamento realmente green, attenti all’ambiente e alla salute, come invece non è avvenuto in Asia. Il Pnrr è l’occasione per includere progetti di questo tipo in una programmazione strutturale a medio termine.
I finanziamenti necessari sarebbero veramente limitati se confrontati all’importanza del tema. Sono già state ritrovate mineralizzazioni molto interessanti di metalli critici sul suolo italiano, che tuttavia devono essere sviluppate. La tecnologia italiana è senz’altro tra le più avanzate, ma spesso viene esportata senza essere applicata a livello nazionale.
La ricerca mineraria dovrebbe poi essere svolta strategicamente anche nei Paesi in via di sviluppo con accordi di cooperazione in modo da assicurare le forniture all’Europa. Dal 2015 Stati Uniti e Australia hanno iniziato a recuperare il gap sui metalli critici, ma come abbiamo visto anche con la pandemia, sono da considerarsi paesi amici solo fino a quando non subentrano preminenti interessi nazionali.
Il Pnrr è il nostro ultimo treno, cerchiamo di non perderlo.
Francesco Sannicandro, già Dirigente Regione Puglia e Consulente Autorità di Bacino della Puglia