Marghera, Taranto, Autostrade, Alitalia…

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Ilva Taranto
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Senza controlli i mali crescono

Oggi a parole si dice di credere nella Green Economy, ma, a conti fatti, il governo non è andato oltre alla Plastic tax, che, seppur ridotta, in realtà si traduce in un prelievo ai danni di imprese e consumatori, senza produrre alcun effetto positivo per l’ambiente. Quello che manca sul serio è un progetto, una visione strategica.
Intanto mentre la burocrazia è ferma e il giro d’affari sulle bonifiche s’ingrossa si mette a repentaglio la salute dei cittadini

Fra posti di lavoro da salvare, risanamento da effettuare e decisioni che impongono una «visione» del futuro che al momento non c’è, tante sono le analogie fra il caso dello stabilimento pugliese e quello del polo chimico veneto che ancora attende che si completi una bonifica in gran parte dei terreni.
Porto Marghera e Taranto, i punti di contatto sono numerosi. Tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi decenni sono stati accomunati dalla mancanza di una seria politica industriale.
È lì, a mio parere, che affondano le proprie radici i problemi sia di Porto Marghera, dove ancora oggi si lavora al rilancio di un’area in larga parte ancora in attesa di bonifica: 781 milioni di euro sono stati usati per sanare solo il 15% dei terreni e l’11% della falda acquifera, che dell’ex Ilva e dei 10.700 operai che rischiano di rimanere senza lavoro, di cui 8.200 a Taranto (ma il totale sale a 20mila se si conta l’indotto).

Porto Marghera e Taranto

A Porto Marghera, nonostante le risorse impiegate e le semplificazioni adottate, la situazione attuale è di sostanziale stallo.
Secondo un rapporto di Legambiente la vulnerabilità del sistema lagunare è particolarmente preoccupante per gli apporti di inquinanti che continuano ad accumularsi nelle acque.
A seguito di un accordo con il ministero dell’Ambiente per velocizzare le procedure burocratiche, che avevano rallentato l’avanzamento delle opere di bonifica, vennero stanziati circa 10,6 milioni di euro per il completamento delle attività in programma. Ma successivamente il perimetro del Sin è stato ridefinito: il nuovo perimetro comprende solo le aree industriali senza l’inclusione delle aree agricole, residenziali, verdi e commerciali. Sono state escluse anche le zone portuali e quelle lagunari.
Il caso «ex Ilva» è altrettanto complesso e impone di evitare ogni semplificazione. Alla base dell’attuale crisi, c’è una questione di credibilità. In Italia siamo preoccupati di non riuscire ad attrarre investimenti esteri perché le imprese straniere non si fidano del nostro quadro normativo. Ma qui siamo all’esatto opposto: l’impresa straniera, nello specifico l’ArcelorMittal, ha capito che in Italia non c’è certezza del diritto e sembrerebbe essersene approfittata. Il che è ancora peggio. Chi investe altrove sa che le leggi e gli accordi saranno rispettati, qui sa che non lo saranno, perché non ci sono mai stati sufficienti controlli.

Le autostrade

Il problema è lo stesso della questione autostrade: quando lo Stato opera dovrebbe poter controllare la liceità di quanto accade dopo. Invece ci si limita agli annunci legati al proprio tornaconto politico, senza che mai si inneschi il meccanismo virtuoso legato al controllo.
L’operato dell’Ilva andava esaminato già quando era proprietà di Riva e le violazioni ambientali erano già presenti. Non sono state prese le contromisure adeguate, né sono state prese dopo la cessione ad ArcelorMittal. Manca una struttura pubblica in grado di farsi rispettare.

L’Alitalia

Per lo Stato italiano mantenere la produzione attuale di acciaio rischierebbe di non essere esattamente un affare. Di fatto, non mancano le analogie con la questione Alitalia, per la quale i cittadini italiani hanno già messo sul piatto circa 10 miliardi.
È facile chiedersi quante aziende avremmo potuto far sviluppare con quei 10 miliardi già spesi? Quanta occupazione avremmo potuto creare? Quanti servizi avremmo potuto erogare? Quante infrastrutture costruire? Chi ha gestito Alitalia non ha saputo fare il suo mestiere: oggi Alitalia è un operatore vecchio in un mercato nuovo, una compagnia senza una strategia e una collocazione precisa. E il problema è che certi temi direttamente collegati a un elettorato tangibile non vengono affrontati da chi sta al Governo, che si troverebbe a scontentare potentati ed elettori.
La morale è che a pagare è la collettività. A Taranto andranno quanto più possibile salvaguardati i posti di lavoro, ma è evidente che la produzione andrà ridotta, e che bisogna puntare su una tecnologia sempre più pulita.
Oggi a parole si dice di credere nella Green Economy, ma, a conti fatti, il governo non è andato oltre alla Plastic tax, che, seppur ridotta, in realtà si traduce in un prelievo ai danni di imprese e consumatori, senza produrre alcun effetto positivo per l’ambiente. Quello che manca sul serio è un progetto, una visione strategica.
Intanto mentre la burocrazia è ferma e il giro d’affari sulle bonifiche s’ingrossa si mette a repentaglio la salute dei cittadini.
Il progetto Sentieri, coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità, è uno studio di epidemiologia ambientale il cui obiettivo è l’analisi del profilo sanitario delle popolazioni residenti in 44 aree definite «Siti di interesse nazionale per le bonifiche» (Sin).

Il progetto Sentieri

Il Progetto Sentieri conferma come sia necessario e ineludibile il risanamento dei siti contaminati sparsi in varie regioni. Questo studio ci ha consegnato uno strumento importantissimo per identificare le priorità sanitarie del risanamento ambientale.
Si va dall’eccesso di tumori della pleura a causa solo dell’amianto (Balangero, Casale Monferrato, Broni, Bari-Fibronit e Biancavilla) o dove l’amianto è uno degli inquinanti presenti (Pitelli, Massa Carrara, Priolo e Litorale Vesuviano), agli incrementi di mortalità per tumore o per malattie legate all’apparato respiratorio per le emissioni degli impianti petroliferi, petrolchimici, siderurgici e metallurgici (Gela, Porto Torres, Taranto e nel Sulcis in Sardegna).
Sono state evidenziate anche malformazioni congenite (Massa Carrara, Falconara, Milazzo e Porto Torres) e patologie del sistema urinario per l’esposizione a metalli pesanti e composti alogenati (Piombino, Massa Cararra, Orbetello, nel basso bacino del fiume Chienti e nel Sulcis). Infine ci sono gli eccessi di malattie neurologiche da esposizione a metalli pesanti e solventi organo alogenati (Trento nord, Grado e Marano e nel basso bacino del fiume Chienti), ma anche dei linfomi non Hodgkin da contaminazione da PCB (Brescia).
Una menzione particolare dello studio viene poi dedicata alla Terra dei Fuochi: l’Agro Anversano fu infatti uno dei primi 15 Sin inseriti nel programma nazionale di bonifica nel 1998 ma successivamente, in modo del tutto incomprensibile, è stato trasformato in Sir, ovvero derubricato in sito di interesse regionale, con un decreto del ministero dell’Ambiente, senza troppe lamentele neppure da parte della Regione Campania.
Senza essere allarmanti, i dati sono lì a testimoniare la necessità che quanto prima ed in modo efficace i Sin vengano bonificati, affinché, oltre a risanare l’ambiente dai danni subiti, si restituisca la tranquillità a quei 9 milioni di persone che vivono nei luoghi circostanti.
Occorre, purtroppo, evidenziare che, contro ogni luogo comune e stererotipo, i dati del rapporto Legambiente restituiscono «un quadro preoccupante sulle illegalità ambientali e sul ruolo che ricoprono le organizzazioni criminali, anche al Centro-Nord, nell’era pre-Covid».
Ora più che mai aggiunge Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, «non bisogna abbassare la guardia, perché le mafie in questo periodo di pandemia si stanno muovendo e sfruttano proprio la crisi economica e sociale per estendere ancora di più la loro presenza».
Il rischio di illegalità e di infiltrazione ecomafiosa nel settore non è solo nelle regioni del sud Italia ma anche il centro-nord sarebbe anch’esso «luogo di smaltimento illegale dei rifiuti speciali e pericolosi».
Ma che differenza c’è, tanto per concludere, fra un’industria che inquina e il Comune di Roma che osserva inerte il panorama di certe strade strapiene di sacchetti strappati e luridi da cui fuoriescono liquidi sporchi accatastati al di fuori di cassonetti stracolmi? Sotto ci corrono i topi, anche serpi, sopra ci volteggiano uccellacci e gabbiani. Le mamme cercano di tenere i bambini fuori dai punti più schifosi. Per fortuna ci sono le mascherine ma l’olezzo è greve specie con questo caldo. E non stiamo parlando di zone già problematiche di loro, ma di quartieri centrali o semicentrali. Anche nei quartieri borghesi c’è mondezza sui marciapiedi: ecco la famosa unificazione della città. Non sotto il segno dello sviluppo, ma sotto quello della incivilità.
Roma è prigioniera dei suoi scarti, è una cartolina da terzo mondo. E i prossimi giorni saranno davvero drammatici.

 

Francesco Sannicandro, già Dirigente Regione Puglia e Consulente Autorità di Bacino della Puglia