Non c’è un argine per l’abusivismo

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Non si salvano neanche le aree protette ma l’intervento del Consiglio di Stato su un episodio a Torre del Greco nel Parco del Vesuvio, suona come un pro memoria per i tanti amministratori e legislatori, nazionali e regionali, che continuano a sbattere la testa tentando di eludere norme che sono precise, semplici e, quindi, non interpretabili ad uso di devastazioni dei territori

L’abusivismo edilizio non è questione nuova nel nostro amato Paese dove è quasi geneticamente connaturato con la gente che lo popola. Ma è opportuno tornarci su di tanto in tanto. L’occasione ce la da un’importante e ben motivata sentenza del Consiglio di Stato, VI Sezione, presieduta da Giancarlo Montedoro.

Il pronunciamento dei giudici di Palazzo Spada è recente, del 17 giugno scorso e la pubblicazione è avvenuta il 6 luglio. Il ricorso è stato proposto dall’Ente Parco nazionale del Vesuvio contro la sentenza del Tar Campania che aveva dato ragione a due coniugi campani che avevano realizzato abusivamente, nei confini del Parco, alcuni lavori edilizi presso un immobile a Torre del Greco chiedendo al Comune i permessi di costruire in sanatoria.

Il Parco nazionale, chiamato nel procedimento, aveva invece ingiunto la sospensione dei lavori e la riduzione in pristino denegando il nulla osta in sanatoria. Ma secondo il Tar Campania l’Ente Parco era «incompetente ad adottare una declaratoria d’inammissibilità dell’istanza di accertamento di conformità, per di più riferita ad aspetti di natura edilizia che l’Amministrazione competente non ha minimamente opposto» perché l’unico competente in materia era il Comune di Torre del Greco.

Sosteneva ancora il Tar che l’Ente Parco non era legittimato ad opporsi perché «la declaratoria d’inammissibilità di che trattasi (essendo la valutazione di ammissibilità dell’intervento riferita ad aspetti di natura e valenza squisitamente urbanistico edilizia) esula dalle competenze dell’Amministrazione preposta alla tutela dei valori ambientali di cui alla legge n. 349/1991 [la legge quadro sulle aree protette, N.d.R.]». La sentenza del Tar Campania prosegue con un’elencazione, a dir la verità quantomeno avventata, di motivi che precludevano all’Ente Parco di esprimere il diniego alla conformità in sanatoria delle opere abusive.

Il Consiglio di Stato va alla sostanza delle cose e statuisce che il nulla osta dell’Ente Parco, che viene rilasciato o denegato in presenza del Piano per il Parco e, se vigente, del Regolamento del Parco, verifica la compatibilità di interventi, impianti od opere con la tutela dell’area naturale protetta. «Ma non riguarda opere in sanatoria — scrive il Consiglio di Stato —. E ciò si spiega». Si tratta infatti di evitare, spiegano i massimi giudici amministrativi, che l’antropizzazione del Parco segua una logica casuale e connotata dalla creazione di stati di fatto quale quella che connota talvolta inevitabilmente lo sviluppo urbano, una volta introdotta la regola generale di ammissibilità delle valutazioni postume, così come consentirebbe il Testo Unico per l’edilizia.

«Con specifico riguardo alla natura del nulla-osta in argomento si evidenzia come esso sia, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, “atto diverso dall’autorizzazione paesaggistica agli interventi, agli impianti e alle opere da realizzare, in quanto atto endoprocedimentale prodromico rispetto al rilascio dell’autorizzazione stessa” (Corte cost., sentenza 29 dicembre 2004, n. 429) dotato di una sua autonomia essendo l’interesse naturalistico ambientale diverso da quello paesaggistico».

Infatti la valutazione paesaggistica postuma è consentita entro certi limiti dal Codice dei Beni culturali mentre «nulla di analogo è prescritto per il nulla osta ad interventi nell’ambito dei parchi. Se ne deve desumere la radicale inammissibilità dei pareri postumi dell’Ente Parco e la natura preventiva dell’autorizzazione di cui all’art. 13 della legge quadro sulle aree protette […]. La differenza tra immobili o aree oggetto di puntuale tutela paesaggistica e le aree integralmente protette, rimesse alla tutela tramite specifici Enti Parco, e le finalità di tutela, in funzione all’antropizzazione del territorio, non consentono quindi un’applicazione della sanatoria prevista nell’art. 36 del DPR 380/2001».

Un pro memoria per i tanti amministratori e legislatori, nazionali e regionali, che continuano a sbattere la testa tentando di eludere norme che sono precise, semplici e, quindi, non interpretabili ad uso di devastazioni dei territori.

 

Fabio Modesti