Sono i Comuni ad essere chiamati a difendere il proprio patrimonio investendo sulla prevenzione degli eventi e sui propri cittadini, facendo crescere in loro l’orgoglio di possedere manifestazioni naturali (come il Bosco Difesa Grande) di valore inestimabile. Non tanto un capitale naturale cui attribuire necessariamente un valore economico, quanto un patrimonio della collettività da difendere perché utile a vivere meglio
Ci sono i fuochi veri ed i fatui. Questi ultimi non sono solo fuochi ma anche persone in carne ed ossa. I primi, invece, sono gli incendi che stanno massacrando il territorio pugliese anche quest’anno. In particolare il bosco della comunità di Gravina in Puglia, il bosco Difesa Grande, sta subendo l’ulteriore affronto dopo quelli del 2012 e del 2017. I 1.800 ettari del più importante bosco naturale in provincia di Bari ed il secondo in Puglia dopo Foresta Umbra, stanno ancora bruciando. Così come sono andati in fumo centinaia di ettari di pinete e macchia mediterranea sul Gargano e sull’Alta Murgia, in provincia di Lecce, nel brindisino e nel tarantino.
Sono tutti eventi in qualche modo prevedibili e previsti anche nelle pianificazioni di settore, i cosiddetti Piani anti incendi boschivi, a livello regionale e dei parchi naturali. Ma le cose accadono, gli incendi partono e quando ce ne si accorge è ormai difficile riuscire a frenarli. Ci vogliono gli aerei che gettano acqua e liquido ritardante per cercare di arginare le fiamme ma da terra non ci si riesce, nonostante lo spettacolo in favore di telecamere. Peraltro, diceva il grande botanico inglese Oliver Rackham, la Regione biogeografica mediterranea così com’è è il risultato del lavoro di fuoco e capre.
Prima riflessione, quindi: perché da terra non si riesce quasi mai a far fronte agli eventi? Perché non si riesce ad implementare un sistema di allerta e di primissimo intervento con uomini e mezzi sul territorio? È una circostanza che non viene debitamente valutata. Recentemente la Regione Puglia ha installato un sistema di rilevamento precoce di incendi boschivi con telecamere ad infrarossi posizionate sulle torrette di avvistamento incendi ormai in disuso (chissà perché). Ma il sistema di allerta video forse non funziona ancora e le torrette di avvistamento, realizzate tra gli anni 70, 80 e 90 del secolo scorso ad alcune ai primi del 2000, sono desolatamente inutilizzate. Anche quelle più moderne e tecnologiche, costate una barca di soldi, ad Acquatetta (Minervino Murge) e a Mercadante (Cassano delle Murge), non sono utilizzate. Sembra di capire che gli operai forestali non vogliano salirci. Abbiamo, quindi, un primo deficit di sistema di avvistamento precoce (nonostante la tecnologia) e dall’esiguità degli operatori di primissimo intervento a terra nelle aree più sensibili. Gli uomini e le donne dell’Arif (l’Agenzia regionale forestale) fanno quel che possono ma sono pochi e molti in età avanzata; qualcuno ci ha anche rimesso la pelle. Però i Comuni, tanto più se proprietari di boschi, dovrebbero metterci del loro così come fanno, ad esempio, le aree protette.
I Comuni dovrebbero essere quelli che difendono il proprio patrimonio investendo sui propri cittadini e facendo crescere in loro l’orgoglio di possedere manifestazioni naturali (come il Bosco Difesa Grande) di valore inestimabile. Non un capitale naturale cui attribuire necessariamente un valore economico in termini di produzione di biomassa oppure di servizi cosiddetti ecosistemici, ma un patrimonio della collettività da difendere perché utile a vivere meglio.
Il Bosco Difesa Grande, peraltro Zona speciale di conservazione tutelata dalle direttive Ue e destinato a diventare, senza successo, area regionale protetta da 24 anni, fu salvato dalla furia disboscatrice del XIX secolo grazie all’accortezza dei dirigenti del Comune che dimostrarono come il bosco non appartenesse al Demanio ma fosse proprietà patrimoniale acquisita nel XVI secolo e che, quindi, non poteva essere assoggettato alle quotizzazioni per il taglio. Chi gestisce ora Difesa Grande? Esiste presso il Comune di Gravina in Puglia quello che nel medioevo era il magister forestarum di quella comunità? Quanto investe il Comune di Gravina nella gestione ordinaria del bosco? Oppure aspetta sempre qualche finanziamento comunitario per progetti quasi sempre poco avveduti? Quanti uomini e donne e ragazzi in età scolare sono stati coinvolti nella sorveglianza del bosco per 24 ore al giorno nel periodo di massimo rischio incendi, responsabilizzando la comunità locale rispetto al proprio patrimonio?
Poi, la domanda delle domande: chi appicca il fuoco ai boschi e perché? Qui la questione si fa drammaticamente complessa poiché le cause sono moltissime. Al di là delle condizioni climatiche, che perlopiù costituiscono un alibi, vi è la diffusione dei casi di incendi volontari o da comportamento irresponsabile. Non si tratta di piromania, una malattia mentale rara. Si tratta invece di comportamenti dolosi perpetrati, tra gli altri, da pastori in cerca di pascoli più ricchi e «puliti», incendiari con motivazioni vendicative verso alcuni proprietari fondiari, operai forestali stagionali in cerca di opportunità di impiego nell’antincendio, cacciatori interessati a controllare e concentrare le aree di rifugio della selvaggina, raccoglitori di molte specie vegetali spontanee come l’asparago selvatico che, dopo il passaggio delle fiamme, cresce più rigoglioso. Le cause prevalenti, però, sono legate alla bruciatura dei residui vegetali, le famose «stoppie».
In Europa meridionale, quasi il 70% degli incendi ha queste origini. E tuttavia, secondo molti esimi esperti forestali, il fuoco può essere anche utile nella prevenzione degli incendi. L’uso del fuoco prescritto nei boschi, ad esempio, cioè controllato e gestito da mani esperte nei tempi giusti, fuori dai periodi di massima allerta, potrebbe aiutare molto. Le tradizioni di molte tribù di nativi americani, e non solo, lo testimoniano. La Puglia si è dotata di una legge in questo senso che però, al di là del merito, è lungi dal poter essere applicata perché in attesa di molteplici provvedimenti amministrativi di attuazione. Sono i Comuni per primi, quindi, ad essere chiamati a difendere il proprio patrimonio investendo sulla prevenzione degli eventi e sui propri cittadini, facendo crescere in loro l’orgoglio di possedere manifestazioni naturali (come il Bosco Difesa Grande) di valore inestimabile. Non tanto un capitale naturale cui attribuire necessariamente un valore economico, quanto un patrimonio della collettività da difendere perché utile a vivere meglio.
Fabio Modesti