Incendi, una piaga e interessi nell’indifferenza generale

2647
incendio clima bosco
Tempo di lettura: 8 minuti

In questi giorni un paesino di 500 persone, di quelli che fanno bella l’Italia, adagiato sul pendio di una collina, in mezzo al verde dei boschi, ha avuto la sua giornata campale. In poche ore è stato circondato e assediato dalle fiamme. E si è salvato dal fuoco, che era ormai sotto le finestre e davanti agli uscii, solo grazie al contributo di tutti. Una piccola comunità che con mezzi di fortuna, con tenacia e disperazione, in attesa dei soccorsi, unita riesce a evitare il peggio

In un’Italia devastata dagli incendi, la giornata campale di un paesino di 500 persone dell’entroterra calabrese non la racconterà nessuno perché non fa notizia. Perché la Calabria è terra di ‘Ndrangheta. E se non lo è, è terra di nessuno.
Certo è che stiamo assistendo a una devastazione totale del territorio nell’indifferenza della gente, che subisce tutto questo passivamente.
L’immagine è quella di un Paese che nel periodo estivo è meta degli incendiari, fuori controllo. Eppure è un Paese, a livello internazionale, dove il turista viene perché trova e si aspetta un ambiente meraviglioso, ancora intatto.
Questa piaga degli incendi è una situazione che si potrebbe evitare o ridurre drasticamente. L’usanza di bruciare i terreni per migliorare la fertilità del terreno è molto antica. Però la differenza rispetto a una volta, nei rarissimi casi di incendi colposi, è che quando qualcuno creava un incendio per bruciare delle stoppie, c’era sempre chi da vicino controllava fino all’ultimo momento che il fuoco non andasse fuori controllo.
La macchia mediterranea è un ombrello straordinario per il terreno, perché limita i danni dell’acqua quando arriva la pioggia, in certi casi torrentizia, che limita il dilavamento dei terreni dove l’humus viene completamente trasferito a valle. Quindi la macchia mediterranea ha questo compito molto importante. Basterebbe farla ricrescere nell’arco di 5-10 anni e costituirebbe uno strato di protezione del terreno, favorendo poi la crescita di altre piante, che possono essere endemiche oppure piante di rimboschimento.
I boschi sono il primo ingrediente della vita. Eppure su questi episodi, non si crea indignazione mediatica.
Sono pochissimi i casi in cui a innescare un incendio è la marmitta della macchina oppure il barbecue, o ancora il treno che, frenando, sviluppa scintille… Quelli possono succedere ma sono veramente molto rari. Anche perché i casi come questi si possono verificare sempre, anche quando non c’è vento. Invece, guarda caso, tutti questi eventi si verificano sempre e solo quando c’è forte vento. Quindi questo vuol dire che è proprio un programma criminale, portato avanti da persone senza scrupoli che hanno interesse a bruciare. Ci sono personaggi, dietro le quinte (dietro quelli che si sacrificano di giorno e di notte, volontari) che possono trarre grosso beneficio da questi eventi.
È ben noto che la cultura pastorale e la diffusione degli allevamenti ovini è sempre stata ed è tuttora intensamente praticata in moltissime zone d’Italia. È purtroppo altrettanto noto come in terre in cui le precipitazioni piovose non sono così frequenti, il modo più economico ed efficace per la generazione di nuovi pascoli (vitali per il bestiame) è proprio l’incendio di aree boschive. La prima fase di ripresa di un bosco bruciato in estate è proprio quella della crescita di manti erbosi nei mesi primaverili (prima occupati da boschi, dove il pascolo è impraticabile). È anche vero, a questo proposito, che esiste una normativa che vieta il pascolo nelle aree colpite da incendio l’anno precedente, proprio per consentire la ricrescita del bosco (altrimenti irrimediabilmente compromessa per l’ulteriore impoverimento del terreno). Bene, tale legge viene quasi sistematicamente disattesa ed è frequentissimo constatare che spesso il bestiame viene fatto liberamente pascolare proprio in quelle aree di prato appena cresciuto proprio in seguito a un incendio appiccato l’anno precedente… Basta un minimo di spirito di osservazione nel constatare che nella quasi totalità delle terre colpite da incendi c’è la presenza di un allevatore che fa pascolare il proprio bestiame…
La verità è che i grandi boschi sono scomparsi (solo) quando sono apparsi interessi economici diversi dalla pastorizia.

Interessi e appetiti

Ad occhi attenti, emerge chiaro quando un incendio può avere interessi di tipo pastorale e quando gli interessi sono altri! Ad esempio ci sono incendi che interessano zone di interesse turistico, attorno alle quali la vocazione pastorale e magari scomparsa da tempo. E zone dove negli anni sono sorti complessi edilizi e non pascoli. Con buona pace per le leggi esistenti! Resto del parere che, fino a quando, gli incendi rappresenteranno una voce importante per il sostentamento di strutture (statali parastatali o private) che dipendono dalla presenza degli incendi stessi, essi non cesseranno di esistere!
Sicuramente si dovrebbe poter (volere!) spendere molto di più in prevenzione e investigazione. Di questo, più che di spegnere incendi, si dovrebbe poter occupare la Forestale. Oggi le tecnologie ci sono tutte per poter ridurre drasticamente questa piaga! Ci vogliono soltanto lungimiranza intelligenza e volontà politica!!!
Il momento dopo un’emergenza incendio è estremamente delicato, perché si rende necessaria una pianificazione che tenga conto delle specificità non soltanto del territorio ma di ogni singola località e specie.
Gli esperti segnalano l’importanza di distinguere la causa «immediata» dal contesto climatico in cui l’incendio è venuto a crearsi: temperature che si attestano oltre i 40 gradi ed aree di vegetazione molto secca che non riesce a re-idratarsi, una situazione che ha sicuramente contribuito a creare quello che è stato classificato come mega-fire, un incendio estremo, e che è stata esacerbata dal climate change.
Alla vista di ciò che sta accadendo sorge spontanea una domanda: cosa ha a che fare tutto questo con i cambiamenti climatici in corso?
Gli effetti di ciò che è accaduto andranno valutati con il tempo, anche se sicuramente saranno stati devastanti dal punto di vista delle perdite economiche, che comprendono piante, coltivazioni, aziende, bestiame… quello che è avvenuto in questi giorni sicuramente avrà fatto ancora peggio perché le aree interessate sono più estese.
Quali sono le sostanze che vengono emesse da incendi di questo tipo? Le sostanze rilasciate sono tantissime e in incendi di queste dimensioni possono avere effetti a medio e lungo termine sia sulla salute umana, degli abitanti e degli operatori impegnati nei soccorsi e nello spegnimento, sia sull’ambiente, sulla chimica dell’aria e sui cambiamenti climatici.
Allo stesso tempo se da una parte i cambiamenti climatici influenzano il futuro regime degli incendi, d’altra parte gli incendi con le emissioni che producono accelerano i cambiamenti climatici. Si pensi soltanto a quelli avvenuti in Alaska, Russia, Australia, Canada, che sono stati molto più grandi. Loro hanno contribuito in modo pesante a questi fenomeni. Per questo gli effetti degli incendi vanno considerati anche oltre l’area geografica in cui si sono verificati, perché ciò che emettono può arrivare ovunque. Il loro impatto sull’atmosfera è molto intenso, soprattutto se durano molto e sono molto estesi.

Cosa fare

E cosa si può fare dopo un incendio come questo? Come prevenirlo, come intervenire sul territorio post incendio in modo efficace?
Dobbiamo rapidamente cambiare le strategie per contenere gli incendi. L’aumento delle risorse (mezzi aerei e terrestri ed attrezzature), auspicabile ma non determinante, rappresenta spesso l’unica risposta politica al problema, con il rischio di generare una falsa ed ingannevole sicurezza per tutti.
Esiste oggi un po’ ovunque, un esorbitante disequilibrio tra le risorse spese nella gestione dell’emergenza rispetto a quelle spese nella prevenzione.
Le statistiche evidenziano come, nonostante l’aumento di mezzi e delle risorse per lo spegnimento, ogni anno la tendenza è di un aumento notevole della grandezza degli incendi boschivi, sempre più pericolosi e con numeri di vittime crescenti.
Il processo di desertificazione è un fatto soprattutto di tipo culturale, che genera grandi interessi economici. Non è facile da sradicare. Bisogna mettere l’albero, il bosco, al primo posto nell’ambiente. Quando vediamo per esempio che brucia un ettaro di vegetazione, oltre al danno determinato dal fatto che stia bruciando quella vegetazione e ai costi dell’intervento di spegnimento, non c’è più quell’ettaro, e quell’ettaro mancante ha impoverito il territorio. L’altro effetto molto importante è il fatto che quella piccola porzione di vegetazione non assorbe più CO2, e l’assorbimento di CO2 è fondamentale. Da una parte bruciando produciamo una enormità di CO2, dall’altra si impoverisce il territorio e quell’ettaro lì non ci sarà più, con la sua possibilità di assorbire la CO2. Quindi il problema è doppio. Più i costi degli interventi aerei ed a terra che oramai sono alle stelle.

Allarmi da 40 anni

C’è un business dietro gli incendi? Chi ci guadagna? Certamente tutti quelli che hanno fornito il carburante, tutti quelli che hanno fatto delle missioni, tutti quelli che girano intorno alla macchina dell’antincendio. Ma non sto affermando nulla di nuovo, sulla stampa appaiono da oltre 40 anni articoli in tal senso.
I Canadair sono della protezione civile però gestiti da società private sotto il controllo dei vigili del fuco. Poi ci sono gli elicotteri che sono per lo più di società private. Ma è evidente che dietro tutta questa macchina girano un sacco di soldi. Per ogni ora (questi sono dati della protezione civile), se girano quattro Canadair e un elicottero ci sono circa 50-60mila euro di interventi. Siccome un intervento può durare dalle 5 alle 10 ore, lì si vede quali interessi si mettono in moto con un incendio.
Devo dire che questo coinvolge anche moltissime persone che invece si sacrificano ogni giorno, quei volontari che io ritengo gli unici che si dovrebbero occupare dell’antincendio, volontari specializzati e formati. In molte regioni la maggior parte delle attività antincendio è affidata ai volontari sia per l’osservazione, sia per l’identificazione, sia per l’intervento. Questo sarebbe importantissimo. Dove invece ci sono in gioco altri interessi, non è detto che gli incendi vengano spenti in maniera rapida

I pericoli in agguato

Tutti gli esperti si stanno interrogando su quali siano le strategie più adatte da adottare pre, durante, e post incendio. Uno degli elementi fondamentali è sicuramente la pianificazione della ricostituzione. Si tratta di un intervento molto delicato che riguarda un momento altrettanto delicato come il post incendio e non va affrontato in modo emotivo ed emergenziale chiedendo soldi e risorse senza avere già delle soluzioni adeguate e ragionate località per località.
Ad esempio: la macchia mediterranea è probabile che non sia necessario riforestarla, perché entro pochi anni si ricostituisce da sola dal momento che molte specie che ospita sono adatte a fuoco. Un fattore a cui bisognerebbe prestare attenzione ora come ora è sicuramente il fatto che con l’arrivo delle piogge la zona diventerà molto franosa avendo perso tutta la vegetazione, e bisognerà pensare a metterla in sicurezza.
È fondamentale ragionare in maniera strategica e integrata, valutando caso per caso e località per località, coinvolgendo esperti e ricercatori per affrontare i problemi trovando le soluzioni più adeguate e segnalando le giuste tempistiche.
Occorre promuovere gli strumenti che ci aiutano a compiere valutazioni oggettive del rischio, implementare l’auto protezione delle comunità e creare consapevolezza sulla percezione del rischio dei singoli, dal momento che gli incendi non sono tutti dolosi, la casualità può accadere. Il problema è che è necessaria una reale volontà politica, una volontà politica che sia trasversale e non si modifichi a ogni elezione.
«Servono prevenzione e misure efficaci per tutelare il nostro capitale naturale attaccato da piromani e sottoposto agli effetti negativi dei cambiamenti climatici» ha ribadito Legambiente.
Dopo giorni che sono stati devastati importanti patrimoni naturali in Sicilia, in Abruzzo, nel metapontino in Basilicata, nelle aree protette del basso Lazio, sulla Costiera Amalfitana e a Maratea, in Sila e in provincia di Olbia in Sardegna, si impone di migliorare la prevenzione degli incendi boschivi.
Oltre agli effetti del cambiamento climatico che ha reso i boschi più fragili e meno resilienti, il nostro patrimonio naturalistico deve fare i conti con la mancata prevenzione del territorio e una organizzazione del sistema di intervento che fa acqua da tutte le parti.
Nel nostro Paese mancano piani di prevenzione e di emergenza a scala locale, e nei piani sono ancora poco utilizzati gli interventi di autoprotezione che aiuterebbero di più gli operatori negli interventi di spegnimento.
È evidente come la riforma Madia che ha trasferito le competenze sugli incendi boschivi ai Vigili del Fuoco esautorando di fatto l’ex Corpo forestale dello Stato da questa storica attività non abbia funzionato. E quest’anno a nulla sono valse le raccomandazioni fatte alle Regioni di anticipare la stagione antincendio boschivo per tenere conto delle condizioni favorevoli all’innesco degli incendi, anche a causa della bassa siccità del periodo.
Gli incendi che stanno devastando il nostro patrimonio forestale sono la prova che l’azione congiunta degli incendiari e degli effetti del cambiamento climatico creano un circolo vizioso in cui l’aumento delle temperature e la conseguente alterazione delle precipitazioni aggravano le conseguenze della siccità sulle foreste, che risultano meno resilienti e meno capaci di fornire risposte efficaci a queste continue sollecitazioni, con l’aggravio ulteriore della mano sempre attiva dei piromani.
Sebbene la prevenzione rimanga sempre l’unica arma a disposizione contro gli incendi e i danni alle foreste che assorbono e trattengono carbonio e svolgono una funzione importante per mitigare gli effetti del cambiamento climatico, occorre fare di più per migliorare la resilienza degli ecosistemi forestali e aumentare la loro capacità di rispondere alle sollecitazioni dei rischi naturali a cui sono sottoposti.

 

Francesco Sannicandro, già Dirigente Regione Puglia e Consulente Autorità di Bacino della Puglia