50 anni di parole, studi e allarmi sul clima e gli stili di vita ma di concreto e decisivo ancora non si vede nulla, a livello globale. In questo numero di settembre di «Villaggio Globale» (che solo gli abbonati possono leggere) abbiamo fatto il punto sugli allarmi, sui passi che si stanno proponendo e realizzando, sugli aspetti più urgenti che richiedono attenzione
Nel 1988 James Hansen, durante un’udienza davanti al Senato degli Stati Uniti, diede l’allarme sul riscaldamento globale; nel 1989 Bill McKibben pubblicò «La fine della natura»; già dai primi anni 70 lo stile di vita delle società avanzate era sotto la lente d’ingrandimento degli studiosi e apparve evidente che la linea intrapresa andava in rotta di collisione con il pianeta. Giusto come venne segnalato nel «Libro verde» pubblicato in preparazione della Conferenza su Energia ed Ambiente, che Enea organizzò per conto del governo italiano a novembre del 1998.
Nel 2015 l’accordo di Parigi prometteva, ma senza alcun trattato vincolante, mari e monti in difesa dell’ambiente per contrastare il riscaldamento globale.
L’unico punto che sembra stia andando avanti è un processo di decarbonizzazione globale.
Ma di concreto e decisivo ancora non si vede nulla, a livello globale.
In questo numero di settembre di «Villaggio Globale» (che solo gli abbonati possono leggere) abbiamo fatto il punto sugli allarmi, sui passi che si stanno proponendo e realizzando, sugli aspetti più urgenti che richiedono attenzione.
Proponiamo l’Editoriale del Direttore e ricordiamo che coloro che volessero abbonarsi (al costo annuale di 25 euro) potranno scaricare tutti i numeri della rivista.
Editoriale
«Da circa venticinque anni risulta sempre più chiaramente che le risorse naturali sono soggette a vincoli quantitativi (esauribilità delle risorse) e qualitativi (vulnerabilità degli ecosistemi e delle loro funzioni di recettore dei sottoprodotti delle attività umane): date le dimensioni crescenti della società umana e i modelli di produzione e consumo prevalenti nelle società avanzate, il deterioramento progressivo delle risorse ambientali disponibili non consente di assicurare a tutte le popolazioni della Terra un livello di qualità della vita analogo a quello sinora conseguito dai Ps (Ps). Ciò nonostante, i Paesi in via di sviluppo (Pvs) puntano decisamente a riprodurre nei loro modelli di sviluppo il quadro economico dei Ps (Agenda 21; Carley et al., 1997; Amici della Terra, 1995). Sono quindi inevitabili alterazioni ambientali consistenti, a livello locale e a livello globale, con il rischio che esse comportino conseguenze economiche, sociali e politiche di enormi dimensioni. I costi che queste alterazioni comportano per il sistema economico sono in forte crescita e generalmente ricadono su tutta la società. Nel 1993, l’economista R. Repetto della Banca Mondiale stimava i costi esterni ambientali di tipo sanitario pari al 5% del Pil nei paesi industrializzati e al 15% nei Pvs. Stime più recenti, che integrano nella valutazione economica fattori e componenti di danno in precedenza esclusi, arrivano a valori più elevati, a dimostrazione del fatto che la ricchezza prodotta annualmente da una nazione comporta in realtà un impoverimento non contabilizzato di quelle risorse ambientali che costituiscono un’imprescindibile condizione di sviluppo delle economie. In termini generali, questo significa che da molti anni la società umana sta riducendo la capacità di carico e le funzioni vitali dell’ambiente naturale, spesso ignorando le conseguenze di lungo periodo che ciò potrebbe determinare».
Questo e molto altro è scritto nel «Libro verde» pubblicato in preparazione della Conferenza su Energia ed Ambiente, che Enea organizzò per conto del governo italiano a novembre del 1998, il gruppo di lavoro «Sviluppo sostenibile e cambiamenti globali» decide di dar vita a questo documento in preparazione del Simposio nazionale «Energia, ambiente ed economia: un futuro sostenibile». La guida generale alla stesura del documento, così come del Simposio, fu affidata a Umberto Colombo, che è stato Presidente dell’Enea, ministro della Ricerca, membro del Club di Roma e riferimento indiscusso di pensiero e di cultura per le tematiche ambientali e tecnologiche.
All’inizio di questo passaggio si parla di riferimenti di 25 anni prima… facendo un po’ di conti si capisce facilmente che parliamo di qualcosa di cui si discute con cognizione di causa, riferimenti e studi scientifici da almeno 50 anni, mezzo secolo!
E stiamo ancora qui a parlare di decarbonizzazione, di fenomeni estremi, di perdita di biodiversità e a contare le estinzioni di specie animali e vegetali, di cambiamento dei modelli di vita e a spostare al 2025, al 2030, al 2050 l’entrata in funzione di divieti e nuove forme di energia che avremmo dovuto già avviare da anni.
L’intellighenzia politico-scientifico-economica in questi anni e, anche da prima, per non perdere potere ha prodotto la disinformazione, servendosi, della magia, dell’inquisizione, del negazionismo, del complottismo…
Tutto il peso di una svolta seria è poggiata sulle nuove generazioni, non nel senso enfatico di cui sentivamo parlare anche riferito a noi stessi nei tempi passati, ma nel senso di un nuovo modo di pensare e agire. Una sorta di rivoluzione gentile che esautori il vecchio modo di pensare ma nei fatti. Mettendo in crisi i modelli e rendendo inutili i sistemi economici basati su economie dannose.
Ma il sistema si organizza e riduce gli effetti positivi dell’insegnamento, della cultura, del sapere.
È nella conoscenza la chiave di risoluzione dei mille problemi che stanno annientando il pianeta. Noi facciamo la nostra parte dal 1998 dalle colonne di «Villaggio Globale», ed ora da queste virtuali grazie alla Rete. Perché c’è un risvolto positivo di Internet e speriamo che i giovani imparino presto le differenze fra informazione e comunicazione e facciano in tempo a fare le loro scelte.
Ignazio Lippolis
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