…servono solo ad aumentare lo scetticismo
Dall’ambiente alla sanità si ripete l’esigenza di por mano ad una informazione corretta e si dà voce ad un’economia punitiva
Il peggior nemico della lotta ai cambiamenti climatici non si identifica nell’elencare quel che di drammatico potrebbe accadere ma nel descrivere uno stato del Pianeta peggiore di quel che effettivamente è, trascurando di menzionare qualsiasi indicatore che segnali anche il minimo miglioramento, così diffondendo uno scetticismo che mina ogni fiducia sulla capacità di migliorare le cose.
Ebbene, se si ripercorrono i catastrofismi paventati negli ultimi 50 anni, ci si rende conto che non uno si è verificato.
Per il 2000 si temeva la fine del petrolio: nel 2019 se ne è prodotto il 90% in più del 1970; indubbiamente la povertà energetica resta una piaga da combattere ma le cose, anche qui, sono migliorate e di molto. Infatti, le statistiche della Banca Mondiale e delle Nazioni Unite attestano che povertà energetica e fame nel mondo sono state drasticamente ridotte.
L’Agenzia di Parigi ha dichiarato che per la prima volta il numero di persone prive di elettricità è sceso sotto il miliardo, rispetto a 1,2-1,3 di non molti anni fa, mentre l’Environment Protection Agency americana nel suo ultimo rapporto sugli indicatori della qualità dell’aria negli States dimostra come le emissioni dei sei maggiori inquinanti si sia ridotta del 73% tra 1970 e 2017.
Le ragioni che più spiegano questi miglioramenti sono la crescita delle economie e la libertà economica. È stata dimostrata, infatti, l’alta correlazione che corre tra libertà economica e performance ambientali.
Certo le previsioni catastrofiche continueranno ad accaparrarsi i titoli dei media. Da qui l’auspicio che nuove politiche siano adottate in modo pragmatico avendo cura dei costi e dell’impatto sociale che ne potrebbero derivare.
Un’economia punitiva
Rivoluzionare dall’alto economie e modi di vivere (nel presupposto che questo non accada in modo spontaneo) potrebbe portare infatti all’adozione di rigidi sistemi di pianificazione scarsamente accettabili dalle società moderne. «L’economia dei divieti e della burocrazia realizzata col pretesto dell’ecologia — ha scritto il prof. Albert Bressand — è un’economia punitiva».
E le avvisaglie ahimè non mancano. Dall’idea del Sindaco di Parigi Anne Hidalgo di dimezzare le 600mila vetture in circolazione (chi dovrà rinunciarvi?) imponendo almeno due occupanti per auto o puntare a un’«alimentazione meno carnosa» col divieto di distribuire la carne due giorni la settimana; idem per l’intenzione del governo inglese di imporre un’«accelerazione nello spostamento verso diete più sane con ridotto consumo di carne di manzo, agnello e prodotti lattiero-caseari»; per finire con la recente proposta di due parlamentari ecologisti francesi di proibire i voli interni degli aerei se sia possibile raggiungere la meta in meno di cinque ore.
Proposte bizzarre che non potranno che causare una reazione negativa delle popolazioni: il consenso sociale è imprescindibile e l’autoritarismo non porta da nessuna parte.
Tuttavia se non viene rispettato il diritto delle persone a vivere in un ambiente sano, vengono lesi di conseguenza altri diritti, come quello alla salute e alla dignità umana.
Tutto ciò ha una forte connotazione sociale, ed è intrecciata con principi che sono fondamentali in ogni società democratica, come l’uguaglianza, l’equità e la libertà di ognuno di perseguire gli scopi a cui assegna un valore.
Il dibattito su questo argomento ha avuto inizio nella seconda metà del Novecento, quando il diritto all’ambiente inizia ad essere considerato strumentale all’esercizio di una serie di altri diritti costituzionalmente protetti nella maggior parte dei paesi del mondo, come quello alla salute e a condizioni di vita e di lavoro dignitose.
L’equità ambientale
In quegli anni diventa evidente che la libertà di domicilio, ad esempio, è vanificata o comunque molto compressa se la propria abitazione si trova sotto i fumi di una ciminiera, nei pressi di una discarica oppure in una zona fortemente inquinata.
Nel corso degli anni Sessanta e Ottanta, a cominciare dagli Stati Uniti e poi in Europa, si fa strada perciò un movimento per i diritti civili che vede proprio nell’equità ambientale uno dei suoi cardini. L’idea di fondo è che gli eventuali effetti delle attività umane sull’ambiente debbano essere equamente ripartiti tra tutta la popolazione attraverso forme di equilibrio compensative, e che non sia solo la parte più debole a dover subire le conseguenze negative derivanti dall’impatto ambientale.
Le «costituzioni» che vennero approvate negli anni immediatamente successivi alla fine della seconda guerra mondiale non contenevano previsioni espresse sulla tutela dell’ambiente, perché all’epoca questo non era ancora considerato un tema di importanza tale da essere inserito in costituzione, ed anche quella italiana, infatti, non parla di ambiente, almeno fino alla riforma del 2001.
In ogni caso, il fatto che una costituzione non contenga previsioni espresse sull’ambiente non vuol dire necessariamente che questo non sia protetto. Laddove le costituzioni tacciono, infatti, sono spesso intervenute le corti costituzionali, che hanno trovato il modo di collegare il tema ambientale ad altri principi costituzionali.
Questo è un caso molto chiaro in Italia, dove la Corte costituzionale ha legato la tutela dell’ambiente da un lato all’articolo 9, che comprende la tutela il paesaggio, e dall’altro all’articolo 32, che recita: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività», per cui in mancanza di un ambiente salubre tale diritto viene leso. Per via della giurisprudenza costituzionale si è riusciti quindi a recuperare la tutela dell’ambiente anche nei testi costituzionali che non la prevedono in modo esplicito.
Giustizia, ambiente, libertà
Giustizia, ambiente, libertà non devono essere parole usate solo per gli slogan. Non debbono essere solo uno slogan. Non debbono essere un paravento per perseguire fini diversi, di potere. Non debbono rimanere parole vuote di contenuti, al vento. Debbono rimanere valori sui quali non ammettere compromesso alcuno.
Non ci sarà futuro per noi e per i nostri figli senza una giustizia vera, indipendente ma non arbitraria. Una giustizia di fronte alla quale tutti possano essere veramente uguali e con gli stessi diritti e la stessa dignità di esseri umani. Una giustizia che non abbia bisogno di eroi. Una giustizia libera da «ragioni di opportunità» e completamente ispirata a quelle di legalità, quella vera e nobile dettata dalla nostra Costituzione. Nessun compromesso su questo. Nessuna trattativa.
Altro concetto che deve recuperare subito concretezza perché, questa sì e non altre, è la vera emergenza del nostro tempo è quello di «ambiente sostenibile».
Spesso si utilizza questo termine in modo ipocrita perché, insieme a coloro che lo ascoltano, in fondo in fondo pensano che ci sarà tempo, che ci penseranno altri e che adesso bisogna pensare prima al lavoro e all’economia. Un pensiero miope e stolto perché l’emergenza è sotto gli occhi di tutti e uccide sempre più persone. Di emergenza ambientale si muore. Basta osservare ciò che sta accadendo in tutto il mondo. Non servono tante parole.
Un altro valore assoluto che sta rischiando di essere svuotato di contenuto è il termine «libertà». Non può esistere progresso e speranza in un mondo migliore senza libertà.
Libertà è un concetto che deve andare di pari passo con giustizia: devono essere uguali per tutti. La libertà vera è quella dei diritti. Solo e soltanto quella. Guai a cedere al pensiero maligno che essa possa essere sacrificata in nome della Sicurezza. Questa non è la vera sicurezza che lo Stato deve garantire ai suoi cittadini ma quella dei selfie e dei proclami di campagne elettorali sempre più lontane dal rispetto dell’umanità tutta. Quella che risolve tutto ma che in realtà ci sta portando sempre più nel baratro di un autoritarismo cinico e ignorante.
In tutto questo la politica parla solo di alleanze di (presunta) bandiera vuota di contenuti ma piene di protagonismi spesso da reality show.
Ignoranza e informazione
È stata più volte rilevata la insufficienza e la contraddittorietà delle informazioni che nel corso della pandemia hanno raggiunto l’opinione pubblica. Alle comunicazioni provenienti dalle autorità pubbliche facenti capo al governo si sono aggiunte molte e discordanti voci di esperti vari di numerose e diverse discipline mediche.
L’effetto ancor ora presente è stato negativo ed è andato oltre ciò che deriva dal carattere proprio di questa pandemia: l’ignoranza iniziale su tanti profili del virus, la progressiva conoscenza acquisita, l’aggiustamento continuo del quadro di riferimento per una comunità scientifica alla ricerca di soluzioni.
È evidente il nesso tra conoscenza ed esercizio della libertà di scelta, anche se l’insufficienza delle fonti di informazione non giustifica una conclusione che allora non vi sono limiti alle scelte di ciascuno. Il problema riguarda la libertà, richiamata nel dibattito non solo italiano, ma europeo ove è stata messa in rilievo la massa di limitazioni che, senza sollevare obiezioni, ciascuno subisce e accetta come condizione di vita della e nella comunità. La questione, infatti, è quella dei limiti alla libertà individuale, non in astratto, ma nella specifica materia. E se ci si riferisce al piano del diritto, del diritto costituzionale e del diritto dei diritti fondamentali in Europa occorre tener conto del fatto che il campo è stato già arato e che alcuni principi sono acquisiti.
Proprio in tema di limitazione del diritto fondamentale di rifiutare trattamenti sanitari come in particolare i vaccini, da tempo, ripetutamente ed anche recentemente si sono pronunciate sia la Corte costituzionale, sia la Corte europea dei diritti umani. Entrambe hanno ritenuto che gli Stati possano imporre le vaccinazioni, nelle forme e modi ritenuti adeguati alla necessità di proteggere la salute della comunità con la copertura vaccinale.
In Italia è esplicito l’articolo 32 della Costituzione quando definisce la salute come diritto fondamentale della persona e interesse della comunità. Tanto che, nel rispetto della persona, la legge può imporre trattamenti sanitari. Si tratta di una norma costituzionale specifica, che riflette un carattere fondamentale del nostro sistema costituzionale, che, all’articolo 2, afferma il legame stretto tra i diritti dei singoli e «l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà».
Dal punto di vista del diritto, dunque, in questa materia non ha senso la pretesa di libertà individuale senza limiti. Naturalmente il tenore del diritto espresso dalla Costituzione ed elaborato dalle Corti istituite per interpretarlo ed applicarlo può essere discusso e criticato. Ma non può essere ignorato. Tuttavia, una volta acquisito che la legge può imporre la vaccinazione a tutta la popolazione o ad una sua parte, il discorso non si chiude qui. Si apre invece l’ampio campo delle scelte politiche di cui una possibile legge è espressione. E il Parlamento che voglia legiferare nel senso di prevedere un obbligo vaccinale non è solo condizionato dal dovere di rispettare le persone cui l’obbligo venisse imposto, ma anche da considerazioni di rilievo costituzionale raramente emerse nell’attuale dibattito.
La Corte costituzionale, in tema di salute e trattamenti sanitari, ha più volte negato che la discrezionalità politica legislativa sia senza limiti. In una materia così delicata e caratterizzata dal rilievo delle conoscenze scientifiche in continua evoluzione, non sono ammissibili decisioni che non prevedano «l’elaborazione di indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite, tramite istituzioni e organismi (di norma nazionali o sovranazionali) a ciò deputati», e non siano conformi al «risultato di una siffatta verifica».
Obblighi e sicurezza
Il passo preliminare che deve compiere un legislatore che intenda imporre la vaccinazione è dunque la ricerca del fondamento scientifico della valutazione di quanto i vaccini siano sicuri ed efficaci. Le competenti istituzioni nazionali ed europee si sono espresse, ma il dibattito politico che accompagna la preparazione di ogni legge evidentemente non può prescindere dalla informazione dell’opinione pubblica. Essa deve essere quanto più ampia ed accessibile possibile anche se di carattere altamente tecnico. Solo dopo superata questa fase della necessaria valutazione, si aprono gli altri momenti della decisione: quelli relativi alla praticabilità della imposizione di un obbligo, alla natura delle possibili sanzioni per chi vi si sottrae, alla vastità della parte di popolazione che ne sia oggetto, eccetera. Insomma, è improprio impostare una resistenza a possibili interventi legislativi in termini rivendicazione di libertà individuale e di rifiuto di limitazioni. Ma la legittimazione dei poteri pubblici, nel metodo e nel contenuto, non si trova in una discrezionalità politica senza limiti.
«Non si invochi la libertà per sottrarsi alla vaccinazione» ha detto il Presidente a Pavia durante l’inaugurazione dell’anno accademico.
Una ripetizione per chi è rimasto indietro nell’apprendimento di un concetto che dovrebbe essere patrimonio condiviso di una collettività, quantomeno delle forze che la rappresentano in Parlamento e che hanno tra le altre cose la responsabilità di orientare l’opinione pubblica.
Mattarella si è fatto carico di prendere per mano i più riottosi e i più lenti. Del resto in Italia, non piccoli partiti estremisti, ma forze di primo piano si sono dette contrarie all’uso delle mascherine. Pare assurdo solo a ricordarlo, ma nell’estate del 2020 ci fu chi (Salvini e Meloni) contestò l’obbligo di indossarle, peraltro evocando teorie non dissimili dalla famigerata dittatura sanitaria oggi brandita dai No Vax più esagitati. Poi, per fortuna, le mascherine hanno smesso di essere oggetto di dibattito.
Sempre Lega e Fratelli d’Italia si sono opposti all’introduzione del Green pass. Il Green pass ora è un punto fermo e si discute su come estenderlo. Ancora poche settimane fa è stato necessario strattonare alcuni leader persino per mettere un freno alle dichiarazioni che chiedevano di limitare la campagna vaccinale agli over 50 e tana libera tutti per gli altri.
Messaggi che per fortuna non hanno pregiudicato gli obiettivi dell’immunizzazione, che ha ormai coperto più dei due terzi degli italiani. Ma è bastato che il presidente del Consiglio Mario Draghi annunciasse l’intenzione del governo di andare verso l’obbligo vaccinale e subito è ripartito il gioco dei no e dei distinguo, le premesse, i ben altro.
È chiaro che l’intervento di Mattarella spinge in quella direzione. Naturalmente il messaggio del Colle vuole parlare direttamente anche ai cittadini, affinché non si lascino distrarre dal rumore di fondo della polemica e non dimentichino che siamo attesi da un autunno non facile, il virus non è sconfitto, le scuole stanno per riaprire in presenza, milioni di lavoratori sono pronti a tornare in ufficio, le conseguenze di una eventuale ripresa della pandemia restano ancora pericolosissime.
Francesco Sannicandro, già Dirigente Regione Puglia e Consulente Autorità di Bacino della Puglia