Strategico l’inserimento dell’educazione ambientale
Gli insegnanti sono gli artefici di un’educazione di qualità; ciò significa dare priorità alla formazione e all’aggiornamento professionale continuo, mettere a disposizione risorse adeguate, migliorare salari e condizioni di lavoro, ma anche un coinvolgimento attivo degli insegnanti nei processi decisionali che li riguardano
Lo sviluppo sostenibile deve riguardare tutti i settori della nostra vita: da quella privata, alle aziende, alla scuola. Introdurre l’educazione ambientale nelle scuole sarà un passo verso la sostenibilità all’interno del mondo scolastico.
È questo sicuramente un ambizioso obiettivo: promuovere una nuova mentalità e iniziative concrete per il bene dei bambini, specialmente quelli più vulnerabili ed emarginati; creare un mondo migliore per i bambini, dove i loro diritti siano rispettati e protetti, dove possano crescere in un ambiente sano, libero dalla violenza e dalla paura, per un futuro luminoso e ricco di opportunità.
«Ogni individuo ha diritto all’istruzione. L’istruzione deve essere gratuita e obbligatoria almeno nelle classi elementari e fondamentali»: così recita l’art. 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
La Convenzione sui Diritti dell’Infanzia è ancor più esplicito, in quanto obbliga gli stati membri a «garantire l’esercizio di tale diritto in misura sempre maggiore e in base all’uguaglianza delle possibilità».
L’istruzione, in particolare, va considerata come lo strumento decisivo per garantire la tutela dei più fondamentali diritti di autodeterminazione soprattutto delle donne (per esempio un più alto livello di istruzione, o almeno pari a quello degli uomini, viene messo in relazione diretta con la possibilità da parte delle donne di scegliere quale ruolo avere nella famiglia, con particolare riguardo al numero dei figli; la disponibilità di servizi per la famiglia può incentivare l’accesso delle donne al mercato del lavoro).
Il principio di uguaglianza tra uomini e donne, così richiamato, può essere inteso sia in modo formale come accesso paritario di entrambi i generi alle strutture educative, sia in modo più sostanziale come accesso a un’istruzione che sappia formare i bambini e le bambine anche alla parità tra i generi. L’istruzione deve essere funzionale al pieno sviluppo della persona umana, al rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, all’interno delle quali non può che rientrare anche il principio di uguaglianza tra uomini e donne.
Uguaglianza, diritti e ambiente
L’Agenda 2030 configura un modello di sviluppo nel quale si integrano le dimensioni sociali, economiche e ambientali. Tramonta in modo definitivo l’idea che la sostenibilità riguardi unicamente le tematiche ambientali. Inoltre, tutti i Paesi sono chiamati a contribuire alla costruzione di un mondo equo e rispettoso della natura, senza particolari distinzioni tra i diversi livelli di sviluppo conseguito, tra aree ricche e meno avanzate. Pur nelle inevitabili differenze e con le risorse disponibili, ogni Stato dovrà dotarsi di strumenti opportuni per realizzare gli obiettivi e vincere le grandi sfide poste dal programma.
Il primo passo necessario per mettere in pratica gli obiettivi è quello di coinvolgere tutte le componenti della società e di aiutare i giovani a concepire una visione integrata e sostenibile dello sviluppo.
L’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile ha stabilito, fra i vari obiettivi, l’istruzione di qualità. L’obiettivo 4 intende garantire a tutti una formazione scolastica di qualità, equa e inclusiva, e opportunità di apprendimento permanente. L’istruzione contribuisce in maniera determinante alla realizzazione di sé ed è strettamente collegata al livello sociale ed economico raggiunti. L’apprendimento e la crescita intellettuale rappresentano un investimento strategico nella costruzione di una società più sostenibile e giusta per tutti gli uomini.
Dai documenti che affrontano il diritto all’educazione a livello internazionale si rileva che a livello globale il «diritto» all’educazione soffre la mancanza di un adeguato impegno da parte delle istituzioni pubbliche.
Nel 2010 oltre 620 milioni di bambini che dovrebbero frequentare la scuola primaria non hanno, infatti, accesso alla scuola; oltre 790 milioni di adulti (per il 64% donne) non possono contare sulle abilità di base che consentono di leggere e scrivere, soprattutto nell’Africa sub sahariana e in Asia meridionale–occidentale; 200 milioni di giovani avrebbero bisogno di una seconda opportunità per poter acquisire le abilità di base per leggere, scrivere e far di conto che sono essenziali per l’apprendimento delle competenze utili al mondo del lavoro; sarebbero necessari 1,7 milioni di nuovi posti di lavoro per docenti per poter raggiungere l’obiettivo dell’istruzione universale.
Dunque, nonostante i progressi effettuati, che hanno visto un aumento percentuale del numero delle iscrizioni (per esempio nell’Africa sub-sahariana, passando dal 58% del 1999 al 76% nel 2008) la strada sembra essere ancora lunga. Il dato che maggiormente preoccupa per l’effettiva realizzazione di questo obiettivo è l’allarmante divario che ancora si calcola tra alunni e alunne: nei Paesi in via di sviluppo le allieve che concludono un ciclo di studi elementari sono in numero nettamente inferiore rispetto ai loro coetanei maschi, e la differenza è ancora più marcata se si fa riferimento agli studi secondari e universitari.
Una società democratica e plurale
L’importanza dell’insegnamento e dell’apprendimento dei diritti umani in quanto elemento indispensabile per lo sviluppo di una cittadinanza critica capace di sostenere e avere un ruolo attivo nel raggiungimento di tutti gli altri diritti, e nella promozione di una cultura di democrazia e di pace, è funzionale al pieno sviluppo della personalità umana e del senso della sua dignità, al potenziamento del rispetto per i diritti umani e le libertà fondamentali, all’effettiva partecipazione di tutte le persone ad una società libera, alla promozione della comprensione, della tolleranza, dell’amicizia tra tutte le nazioni e tutti i popoli e al mantenimento della pace, rendendo capace ogni persona di partecipare effettivamente ad una società democratica e plurale.
Un approccio basato sui diritti umani enfatizza, quindi: i diritti all’educazione; i diritti nell’educazione; i diritti attraverso l’educazione.
I governi, pertanto, devono svolgere il ruolo di garanti dei diritti e rendere effettivi i diritti umani, compreso il diritto all’educazione.
Non è un’affermazione di poco conto in particolare perché devono rispettare, proteggere e rendere effettivo il diritto ad un’educazione gratuita, obbligatoria e universale, almeno a livello di istruzione primaria e arrivando a comprendere progressivamente anche l’istruzione secondaria e superiore.
La necessità di un’educazione gratuita viene affermata come inequivocabile: «non rispettare ciò mette a repentaglio la realizzazione del diritto all’educazione, e potrebbe avere un effetto altamente regressivo».
Allo stesso tempo occorre promuovere la qualità dell’educazione, ad ogni livello, in una prospettiva multi-dimensionale, che guardi ai processi educativi in relazione ai risultati a breve, medio e lungo termine.
Per essere di qualità, l’educazione deve poter mettere in grado le persone di sviluppare conoscenza critica, abilità e capacità necessarie ad esaminare, concettualizzare e risolvere problemi che si presentano sia a livello locale sia a livello globale.
Un approccio ristretto all’apprendimento, inteso come risultati di apprendimento misurabili nel far di conto e nel saper leggere e scrivere, può rendere marginali queste dimensioni fondamentali di qualità e sminuire altre abilità, valori e relazioni essenziali, come la creatività, la curiosità, il pensiero critico, la mentalità civica, la solidarietà, la cooperazione, l’auto-disciplina, la fiducia in sé stessi, la corresponsabilità, il dialogo, la compassione, l’empatia, il coraggio, la consapevolezza di sé, la capacità di recuperare, la leadership, l’umiltà, la pace, l’armonia con la natura.
A tutto questo deve aggiungersi che gli insegnanti sono gli artefici di un’educazione di qualità; ciò significa dare priorità alla formazione e all’aggiornamento professionale continuo, mettere a disposizione risorse adeguate, migliorare salari e condizioni di lavoro, ma anche un coinvolgimento attivo degli insegnanti nei processi decisionali che li riguardano. Infine, ma non meno importante, la valutazione degli insegnanti deve essere strutturata all’interno di un paradigma formativo e orientato all’apprendimento e definita con il loro coinvolgimento attivo.
La scuola italiana
La scuola italiana è spesso oggetto di numerose critiche, si pensa che sia uno dei sistemi peggiori del mondo ma in realtà non è così. È veramente difficile che uno studente vada a scuola volentieri e per questo si tende ad ingigantire il problema. Ciò non vuol dire che la scuola italiana sia perfetta; a tanti aspetti positivi, ne corrispondono altrettanti negativi.
In primo luogo possiamo affermare che nelle scuole italiane, ormai da parecchio tempo, c’è equità di accesso; non ci sono più classi selezionate per livello o per possibilità economiche. Questo aspetto ha permesso a tutti, anche a quei ragazzi che non possedevano grandi risorse finanziarie, di avere conoscenze più avanzate.
In secondo luogo possiamo fare alcune considerazioni sui programmi: bisogna riconoscere che la scuola italiana fornisce una buona preparazione nell’ambito della cultura generale. Infatti sia alle elementari che alle medie, il programma è ben strutturato in modo da dare ugual peso a tutte le materie. Anche al liceo, nonostante l’insegnamento sia leggermente più settoriale, non si tralascia nessun aspetto delle altre materie, e sono tutte allo stesso livello.
Inoltre, soprattutto nelle verifiche orali o scritte, si punta molto sull’educare lo studente ai collegamenti interdisciplinari. Questo allenamento contribuisce a rendere più elastica la mente anche se questa attività è spesso limitata alle materie umanistiche.
Il programma fornisce una preparazione molto buona sui fondamenti teorici delle materie e lo studente, nel suo bagaglio culturale, non manca certamente di nozioni fondamentali. È certo che il mettere in pratica certe nozioni rafforza ancora di più la conoscenza ma la scuola italiana ha una mancanza da questo punto di vista.
Il nostro sistema scolastico fa in modo che, vista la difficoltà dei programmi, lo studente sia obbligato ad impiegare molte ore nello studio e a metterci tanto impegno per poter prendere la sufficienza.
Infine, come già accennato, la scuola italiana fornisce una preparazione, a livello di contenuti, tra le migliori in Europa e nel mondo, soprattutto per quanto riguarda l’università. Un laureato italiano è visto di buon occhio all’estero e avrà molte possibilità di lavoro anche senza avere esperienze.
Dalle argomentazioni esposte fino ad ora, possiamo capire che il nostro sistema scolastico non è così male come si pensa dal punto di vista didattico ma non si può definire perfetto poiché ci sono diversi aspetti negativi che fanno perdere molti punti alla nostra scuola.
In primo luogo uno dei problemi più grandi, nonché una delle cause maggiori delle proteste degli studenti, è l’edilizia. La maggior parte delle scuole pubbliche hanno problemi ai bagni, porte rotte, mancanza di materiale scolastico, sedie e banchi rovinati, scale di emergenza inagibili o cose così. Ciò dipende, naturalmente, sia dagli insufficienti fondi pubblici ma anche da una cattiva gestione. Occorrono diverse procedure per dei lavori di necessaria importanza per la sicurezza degli studenti e i controlli o sono assenti o non sono tempestivi come dovrebbero.
Spesso sono proprio gli studenti, con le loro proteste, a richiedere l’intervento o l’avvio dei lavori.
I programmi scolastici
Per quanto riguarda i programmi, nonostante siano ricchi di informazioni utili, sono considerati dagli studenti troppo pesanti e noiosi. Il nostro sistema pone al centro i programmi e gli studenti si sentono tagliati fuori, senza possibilità di esprimere la propria creatività o il loro punto di vista. In alcuni casi mancano i momenti di incontro e di dibattito con i professori e quando ci sono, sono forzati. Tra l’altro il metodo d’insegnamento è monotono e non coinvolge l’alunno e bisognerebbe aggiornarlo.
In Italia i ragazzi non studiano letteratura, matematica, filosofia, fisica: studiano «storia» della letteratura, «storia» della filosofia, «storia» della fisica eccetera.
Questa è l’impostazione che diede ai programmi scolastici Benedetto Croce, oltre un secolo fa, e ormai è fin troppo datata. Scrivere temi è un’ottima cosa, ma si potrebbe insegnare anche come si scrive un articolo di giornale, un testo di una canzone (la metrica questa sconosciuta!), un annuncio pubblicitario, un discorso pubblico.
A mio modesto avviso, altro difetto è la mancanza di attenzione sui principi base del ragionamento e sulle metodologie di studio.
Non basta insegnare le informazioni, bisogna preoccuparsi di come quelle informazioni vengono apprese, in che modo, con quanto sforzo, in quanto tempo, per quanto tempo persistono e poi cosa ci si fa di quelle informazioni. Il nozionismo puro non addestra le menti dei ragazzi.
Bisogna in sostanza cambiare l’approccio dal «cosa» al «come». Come si ragiona, come si impara.
È mia convinzione, inoltre, che nei programmi scolastici, qualcuno «salvi la storia».
Siamo nell’era di internet, è assurdo che la rivoluzione tecnologica non venga menzionata in un’ora di storia nel 2021; ma non solo: non si parla neanche dell’uomo sulla Luna, delle guerre in Vietnam, del periodo hippie, la caduta delle torri gemelle, la lotta al terrorismo, la globalizzazione… c’è così tanta roba da dire. È chiaro però che, per la gioia dei classicisti, per raggiungere questo obiettivo bisogna tagliare, tagliare e tagliare: io suggerisco di eliminare quasi tutta la parte che viene studiata prima dei Greci e dei Romani, e anche di tagliare qualcosina nel Medioevo, in modo tale che l’ultimo anno di storia si concentri solo e soltanto sul Novecento e duemila, studiando bene e nel dettaglio Nazismo, Fascismo e Comunismo, e concentrandosi anche sulla storia recente italiana, europea e mondiale.
Inoltre non sarebbe male impostare il programma di storia in modo che non sia solo eurocentrico: ha senso che ogni paese si concentri sulla sua storia, non dico di no; ma qualcosa anche degli altri paesi bisogna sapere.
Infine, a mio avviso, senza fare leva su una comparazione con altri stati, il sistema scolastico italiano ha principalmente due falle: gli insegnanti i quali, molti (ma non tutti) sono troppo legati al posto di lavoro e poco al tipo di lavoro che fanno. Per spiegarmi meglio intendo, che in Italia ci sono troppi professori anziani di età, che in nessun modo intendono «evolversi» mettendosi al passo dei tempi.
Infine l’insegnamento della lingua inglese: troppa grammatica, non lo si insegna bene e non lo si parla in classe. Per insegnare l’inglese ai ragazzi, bisogna alternare la grammatica ai video di YouTube, ai film, alla musica, alle serie tv e ai libri in lingua originale, magari di argomenti pop che i ragazzi già conoscono in italiano, per aiutarli.
Facciamola finita una volta per tutte con il nozionismo! I bambini e i ragazzi non vanno a scuola per diventare delle piccole enciclopedie, ma per imparare un metodo di apprendimento. Nel loro futuro non c’è solo il «sapere cose» ma anche, e soprattutto il «saper capire» e il «saper imparare».
Francesco Sannicandro, già Dirigente Regione Puglia e Consulente Autorità di Bacino della Puglia