Incostituzionale il Piano casa pugliese?

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La Corte costituzionale ha dichiarato illegittime alcune norme di una legge della Regione Lombardia del 2005 sul governo del territorio, successivamente modificate con una legge del 2019 relative alla rigenerazione urbana ed al recupero del patrimonio edilizio esistente e molti sono i punti in comune con la legge pugliese

La legge pugliese sul Piano casa potrebbe essere incostituzionale? Ricordiamo che quella legge, con le varie modifiche per la maggior parte peggiorative in termini di impatti sui territori, ha consentito dal 2009 la realizzazione di edifici residenziali anche al posto di capannoni industriali aumentando il carico urbanistico di intere aree urbane e periurbane al di fuori di qualsiasi pianificazione urbanistica, garantendo aumenti di cubatura fino al 35% dell’esistente.

Almeno un dubbio sulla sua tenuta costituzionale si pone leggendo la sentenza della Corte costituzionale n. 202 pubblicata il 28 ottobre scorso che ha dichiarato illegittime alcune norme di una legge della Regione Lombardia del 2005 sul governo del territorio, successivamente modificate con una legge del 2019 relative alla rigenerazione urbana ed al recupero del patrimonio edilizio esistente. La Consulta è stata chiamata in causa dal Tar Lombardia, cui avevano fatto ricorso alcune società immobiliari, secondo il quale le norme regionali travalicavano i limiti costituzionali posti alle Regioni ed invadevano il campo riservato ai Comuni nella pianificazione territoriale.

La questione di fondo riguardava la disciplina regionale per il recupero degli immobili abbandonati e degradati che (secondo il Tar Lombardia) comprimeva «illegittimamente, da più angolazioni, la potestà pianificatoria comunale, essenzialmente in ragione della sua portata temporalmente indefinita, dell’assolutezza delle sue prescrizioni e dell’assenza di una procedura di interlocuzione con i Comuni».

La norma regionale censurata individuava quali obiettivi da perseguire lo «sviluppo sostenibile» e stabiliva che gli interventi finalizzati alla rigenerazione urbana e territoriale, riguardante ambiti, aree ed edifici, costituiscono «azioni prioritarie per ridurre il consumo di suolo, migliorare la qualità funzionale, ambientale e paesaggistica dei territori e degli insediamenti, nonché le condizioni socio-economiche della popolazione». Verrebbe da dire, pari pari a quel che si dice, in Puglia e non solo, del Piano casa. La Consulta ha condiviso le tesi del Tar ed ha bocciato la norma regionale lombarda poiché «è di tutta evidenza come essa si presti a incidere sull’esercizio della potestà pianificatoria comunale, per il fatto di dettare una disciplina sul recupero degli immobili dismessi idonea, in ragione della sua natura autoapplicativa, a ripercuotersi su scelte attinenti all’uso del territorio».

Peraltro, secondo la Corte costituzionale, le modifiche legislative apportate dal Consiglio regionale lombardo nel 2019, tese a riconoscere ai Comuni la possibilità di stabilire gli aumenti volumetrici tra il 10 e il 25 per cento della volumetria esistente, non sono sufficienti a sanare il vulnus determinato dalla precedente formulazione che applicava l’aumento volumetrico retroattivamente e senza condizioni agli immobili individuati dai Comuni come abbandonati e degradati. Anche perché la modifica legislativa intervenuta si sarebbe concretizzata solo dopo che i Comuni avessero deliberato, entro il 31 ottobre scorso, l’inclusione degli immobili già individuati dai Comuni come abbandonati e degradati.

Insomma la norma su cui la Consulta è stata chiamata ad esprimersi esplicava ancora effetti. Ma la parte più significativa della sentenza della Consulta, è quella in cui si richiama la legge statale (decreto-legge n. 78/2010) che stabilisce come «la pianificazione urbanistica ed edilizia di ambito comunale, nonché la partecipazione alla pianificazione territoriale di livello sovracomunale» sia una funzione fondamentale costituzionalmente riconosciuta ai Comuni. Su questo la Consulta ha, con varie sentenze, ribadito che «il potere dei Comuni di autodeterminarsi in ordine all’assetto e alla utilizzazione del proprio territorio non costituisce elargizione che le Regioni, attributarie di competenza in materia urbanistica, siano libere di compiere» e che la competenza regionale «non può mai essere esercitata in modo che ne risulti vanificata l’autonomia dei Comuni».

Ed ancora, la Consulta ha riaffermato il principio in base al quale «per quanto, come si è detto, la previsione di incentivi per il recupero degli immobili dismessi, anche in deroga agli strumenti urbanistici, possa essere ricondotta a un obiettivo legittimamente perseguibile dal legislatore regionale in quanto rientrante nella sua competenza legislativa in materia di governo del territorio, le modalità con cui questi incentivi sono stati previsti dalla disciplina in esame, e la loro stessa entità, determinano una compressione della funzione fondamentale dei Comuni in materia di pianificazione urbanistica che si spinge “oltre la soglia dell’adeguatezza e della necessità”».

Intanto, la continua proroga della legge pugliese n. 14/2009 (quella sul Piano casa, appunto) di fatto si potrebbe configurare come esautorazione del potere pianificatorio del territorio da parte dei Comuni. Inoltre, la fissazione di aumenti volumetrici fino al 35% stabiliti dalla legge pugliese (similmente alla legge lombarda censurata) anche per fabbricati artigianali ed industriali da destinare a residenze, potrebbe contribuire all’invasione di campo da parte della Regione nella competenza pianificatoria comunale.

È bene rammentare che la Corte costituzionale è stata chiamata ad esprimersi sulla legittimità della legge pugliese sul Piano casa dal Consiglio di Stato, sia pure per motivi diversi ma connessi a quelli appena citati.

 

Fabio Modesti