Anche i criceti vanno salvati

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Le statuizioni della Corte di Giustizia Ue

La risposta alle richieste inoltrate dal Tribunale amministrativo di Vienna in merito all’applicazione dell’articolo 12, Allegato IV della direttiva «Habitat», che regola la tutela delle specie animali selvatiche nel Continente

I siti di riproduzione di specie animali tutelate dalla direttiva 92/43 «Habitat» (Allegato IV) comprendono anche l’ambiente circostante «allorché esso si riveli necessario a consentire alle specie di riprodursi con successo». I siti di riproduzione devono essere tutelati per tutto il tempo necessario a consentire alla specie di riprodursi con successo e la tutela si estende anche ai siti di riproduzione che non sono più occupati, «laddove esistano probabilità sufficientemente elevate che detta specie animale vi faccia ritorno».

Si intende per «deterioramento» e «distruzione» dei siti di riproduzione rispettivamente la «riduzione progressiva della funzionalità ecologica di un sito di riproduzione o di un’area di riposo di una specie animale e la perdita integrale di tale funzionalità, a prescindere dal carattere intenzionale o meno di tale danno».

Queste non sono paranoie di «ambientalisti» addetti al giardinaggio, per parafrasare la terminologia mutuata da politici pugliesi che fa pure piacere oggi, e solo oggi, si cimentino con la «sfida ambientale epocale» di cui si blatera da tempo. No, sono le statuizioni della Corte di Giustizia Ue che ha risposto alle richieste inoltratele dal Tribunale amministrativo di Vienna in merito all’applicazione dell’articolo 12, Allegato IV della direttiva «Habitat», che regola la tutela delle specie animali selvatiche nel Continente.

Ora, queste statuizioni riguardano in particolare la tutela di una specie, il criceto comune (Cricetus cricetus) che non è presente in Italia ma nell’Europa nord orientale fino a tutto il Caucaso. Una specie da poco entrata nella lista rossa Iucn (Unione internazionale per la conservazione della natura) relativa a quelle a rischio di estinzione e, appunto, protetta dalla Direttiva 92/43 Cee «Habitat» – Allegato IV (specie che richiedono una protezione rigorosa). Ma l’interpretazione della Corte costituisce, ovviamente, un precedente vincolante per tutti i Paesi Ue in cui siano presenti situazioni di rischio per specie animali tutelate a livello comunitario. Qualsiasi piano, progetto o intervento da realizzare in corrispondenza di siti di riproduzione, in uso o anche abbandonati ma potenzialmente riutilizzabili dalla specie, o in ambiti ad essi funzionali, non può non tener conto di quell’interpretazione, pena la violazione delle disposizioni comunitarie e l’avvio di procedure di infrazione con possibili relative sanzioni pecuniarie.

Pensiamo per un attimo a progetti di insediamento di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili (in particolare fotovoltaico ed eolico a terra ed anche off-shore) che interessino siti ed habitat di specie tutelate e presenti anche in Puglia come il lupo, il gatto selvatico, o ancora l’istrice oppure la foca monaca nei nostri mari. Sarebbe molto complicato che le tecnologie, anche le più avanzate disponibili, possano fare miracoli non andando a deteriorarli e a distruggerli. Ecco che, quindi, il lamento che si alza da parte di alcuni colleghi giornalisti (leggi Gabanelli) e di amministratori locali e regionali per il ritardo nel dare via libera a progetti di rinnovabili si scontra con valutazioni estremamente complesse ed importanti. Valutazioni che riguardano i sistemi ecologici, le specie e gli habitat collegati, insomma questioni di vita sulla Terra e non di «giardinaggio». Valutazioni che avrebbero bisogno, a monte, di un quadro di regole chiare e ponderate, di strumenti di pianificazione settoriale (leggi Pear, Piano energetico regionale) che sono ben lungi dall’essere prodotti ed esaminati, almeno in Puglia.

È quindi la necessaria, meglio obbligata ma sempre fortemente motivata, discrezionalità delle valutazioni ambientali e paesaggistiche ad operare e queste ultime, per la loro complessità e rilevanza, non hanno bisogno di nuovi «paladini» della tutela ambientale con sottinteso cementizio, ma di competenze che non siano solo ingegneristiche ed architettoniche ma biologiche, insomma di coloro i quali studiano la vita sulla Terra e nelle acque.

 

Fabio Modesti