Dopo Lepri e Conigli, e le generose irrorazioni di letali veleni, grazie a lauti finanziamenti europei. Un nuovo «stile Parco», che ha suscitato vibrate proteste nell’ambiente locale, indignando i naturalisti italiani e stranieri. Il silenzio del ministero della Transizione Ecologica
Quello che sta per accadere quest’autunno nel Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano ha dell’incredibile. Tra qualche giorno partirà, infatti, la campagna di abbattimento dei Mufloni dell’Isola del Giglio, affidata a un drappello di cacciatori travestiti da «selecontrollori», reclutati, indovinate un po’, dallo stesso Parco. Che non smentisce così la meritata fama di «terminator» della vita animale, già conquistata a spese di Lepri e Conigli, e con generose irrorazioni di letali veleni, grazie a lauti finanziamenti europei. Un nuovo «stile Parco», che ha suscitato vibrate proteste nell’ambiente locale, indignando i naturalisti italiani e stranieri. Ma che non sembra turbare il ministero della Transizione Ecologica, né indurre l’Europa a tagliare i fondi.
Le motivazioni addotte per queste estirpazioni indiscriminate, proprio nelle isole dove la vita naturale dovrebbe godere del massimo rispetto, non hanno fondamento alcuno, perché questi Mufloni sono i discendenti d’un nucleo storico qui importato circa 70 anni fa dalla Sardegna e dalla Corsica, dove la specie era a rischio di estinzione, per iniziativa di autorevoli scienziati e naturalisti del calibro di Ugo Baldacci, Alessandro Ghigi, Augusto Toschi e Renzo Videsott. E sono quindi portatori di un patrimonio genetico unico, che andrebbe gelosamente preservato.
D’altro canto, i Mufloni del Giglio risultano ormai ben integrati nell’ecosistema, amati dalla popolazione e ammirati dai numerosi visitatori, che accorrono per osservarli e riprenderli, così alimentando un turismo naturalistico e fotografico che rianima la vita dell’isola anche nella bassa stagione. Assediato dalle contestazioni, il Parco aveva assicurato che si sarebbe limitato a qualche cattura, ma invece ha scatenato la guerra con un minuzioso disciplinare, stabilendo le regole d’ingaggio per l’esercito dei fucilieri in trepida attesa.
Va tuttavia chiarito che, se si fosse voluto trovare una soluzione pacifica e senza spargimento di sangue, non sarebbe stato difficile confinare la piccola popolazione di Ungulati nel promontorio del Franco, un angolo dell’isola dove natura, panorama e silenzio regnano sovrani.
Questa frenesia di manipolare gli ecosistemi insulari, che ricorda il classico elefante in giro per la cristalleria, è alimentata da sostanziosi fondi Life, e ha già prodotto guasti consistenti a danno della preziosa Lepre endemica e della storica Capra selvatica di Montecristo, vanto e prestigio dell’Arcipelago. In altri Paesi, come in Grecia, specie come queste sarebbero state oggetto di ammirazione e tutela, anziché bersaglio di piombo e veleno.
Viene da chiedersi come possa spiegarsi un simile accanimento contro il patrimonio naturale. Si tratta di una barbara pratica, inammissibile in un Paese civile, ma gabellata talvolta da qualche sparatore contorsionista per «Ambientalismo venatorio». Sembrano le giustificazioni demenziali di gente decerebrata, ma in realtà sono perfettamente in linea con le tendenze oggi dominanti, che dall’ineffabile ministero della Transizione Ecologica ci propinano ogni giorno, con impavida sicumera, vari altri Ambientalismi: Nucleare, Energetico, Edilizio e Digitale…
Franco Tassi, Centro Parchi Internazionale