Un recente studio dell’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica del Cnr ha dimostrato che la zona compresa tra il limite superiore del bosco e il limite inferiore dei ghiacciai e della copertura nevosa estiva mostra un tasso di riscaldamento superiore rispetto a quello dell’intera area alpina, con possibili conseguenze per i settori idroelettrico, ecologico e turistico. Lo studio è riferito al periodo 1990-2019
L’ambiente periglaciale alpino è la zona compresa tra il limite superiore del bosco e il limite inferiore dei ghiacciai e della copertura nevosa estiva, dove il clima è dominato da una significativa variabilità della temperatura, sia diurna sia stagionale, e la pioggia e la neve cadono principalmente in primavera e autunno.
L’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irpi) ha condotto uno studio climatico pubblicato recentemente sulla rivista «Journal of Mountain Science» (JMS). «L’ambiente periglaciale alpino, nel trentennio 1990-2019 ha fatto osservare tassi di riscaldamento di 0,4°C, 0,6°C e 0,8°C ogni dieci anni, rispettivamente per le temperature medie, massime e minime annuali — spiega Guido Nigrelli del Cnr-Irpi —. Questi tassi di riscaldamento sono superiori a quelli osservati nello stesso periodo per le temperature medie sull’intera area alpina (0,3°C ogni dieci anni) e a livello globale (0,2°C ogni dieci anni)».
L’ambiente periglaciale alpino è dunque sensibile al riscaldamento climatico, così come importante dal punto di vista energetico, ecologico e turistico. «Molte centrali idroelettriche hanno i loro invasi artificiali di raccolta delle acque meteoriche e di fusione dei ghiacciai e delle nevi, localizzati proprio nelle aree periglaciali alpine — prosegue il ricercatore del Cnr-Irpi —. Inoltre questo ambiente, in conseguenza dell’aumento della temperatura dell’aria e della conseguente contrazione dei ghiacciai e della degradazione del permafrost, è sempre più interessato da processi di instabilità naturale che coinvolgono i versanti rocciosi, mettendo a rischio vie alpinistiche attrezzate e sentieri di alta quota con ricadute anche sul turismo, una delle principali risorse economiche delle popolazioni montane».
In futuro molti ghiacciai potrebbero scomparire. «Nel 2050, sulle Alpi, numerosi ghiacciai sotto i 3.000 metri saranno estinti, lasciando il posto a zone periglaciali — conclude Nigrelli —. In questo contesto potrebbero trovare spazio ulteriori infrastrutture e attività antropiche, alterando ulteriormente il già delicato equilibrio fra uomo e natura. Per adattarsi a questi cambiamenti e proporre forme di gestione del territorio più rispettose e sostenibili è indispensabile operare delle scelte basate su dati climatici ed ecologici aggiornati, come questo lavoro propone, per tutti gli ambienti di alta quota del mondo che stanno subendo cambiamenti simili».
(Fonte Cnr)