Ci siano fiori per i nostri cannoni!

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I rumori della guerra, anche se lontani, riportano alla mente ricordi assopiti di terrore vissuti in casa nostra e diventa prioritario che l’educazione alla pace si radichi nelle menti e le azioni sociali e politiche siano operatrici di pace

Avevo l’età uguale a quella di tanti bambini di cui oggi vediamo e ascoltiamo il pianto tra una diretta e l’altra.

Il cannone tedesco tuonava nella notte di fronte alla nostra casa di Martinella a Linguaglossa. La campagna tutta intorno taceva: noccioleto e castagneto fremevano allo scoppio di ogni tiro martellante, in quella notte lunga da passare. Abbracciati nel buio spesso ai nostri genitori mentre scorrevano le corone tra le dita dei nonni e delle zie, sulle falde est dell’Etna.

L’artiglieria tentava di colpire l’avanzata dell’armata inglese diretta a ricongiungersi a quella americana che dall’altro versante del vulcano procedeva alla volta di Randazzo. Mio padre, ex combattente alpino della prima Grande Guerra, aveva scambiato qualche informazione con il comandante tedesco: ci avrebbe avvertito se, ad una risposta inglese, avessero accorciato il tiro sacrificando la nostra casa!

Come non capire il pianto dei bambini di Kiev! I nostri figli e nipoti sono a scuola. Il libro dell’attualità è aperto: possano rileggere con gli insegnanti i video e i giornali di questi giorni tristi per cercare di capire, per scoprire le ragioni, per interpretare l’incubo per quei carri armati schierati, voraci e spietati e rendersi conto della pace.

La pace non è mai sicura tra le mani di ogni epoca: i 77 anni di pace occidentale sono un soffio come la vita di una persona, ridotti a racconti nella vicenda degli stati.

Questo pensiero per dire ad ogni lettore che ciascuno è artefice dello sforzo pacifico universale perché l’educazione alla pace si radichi nelle menti e le azioni sociali e politiche siano operatrici di pace affinché ci siano «fiori nei nostri cannoni».

 

Francesco Sofia