Caccia, contenzioso sempre aperto con lo Stato

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La Regione Liguria si è vista dichiarare incostituzionale due norme, infilate come sempre più spesso accade nella legge di bilancio di fine anno che diventa una legge omnibus, con le quali si definiva il concetto di «arco temporale massimo» di cacciabilità previsto dall’articolo 18 della legge nazionale sulla caccia

Non si può dilatare il periodo di caccia delle specie a piacere delle Regioni. Ormai queste ultime sembrano più operare quali repubbliche autonome invece che parte di un assetto costituzionale che riserva alcuni temi esclusivamente allo Stato. In materia di legislazione venatoria l’anomalia si manifesta sempre più spesso.

Accade così che la Regione Liguria si è vista dichiarare incostituzionale due norme, infilate come sempre più spesso accade nella legge di bilancio di fine anno che diventa una legge omnibus, con le quali si definiva il concetto di «arco temporale massimo» di cacciabilità previsto dall’articolo 18 della legge nazionale sulla caccia (n. 157/1992) e se ne stabiliva la sospensione del decorso durante i giorni di divieto temporaneo di caccia ad una specie. In pratica, si dilatava artificiosamente il periodo di caccia.

Il governo ha impugnato le norme liguri sostenendo che esse travalicavano le competenze regionali in materia venatoria sancite dalla Costituzione e violavano la direttiva Ue per la conservazione degli uccelli selvatici. La Consulta ha condiviso le ragioni del governo ed ha statuito, nella sentenza n. 69/2022 depositata il 15 marzo scorso, che «l’arco temporale massimo è il periodo di tempo compreso tra la data di inizio e la data di fine della caccia riferita a ciascuna specie, periodo modificabile nell’intervallo temporale che va dal 1° settembre al 31 gennaio senza incidere sulla sua durata, che non può essere superiore a quella stabilita dallo Stato. Il principio è stato di recente ribadito da questa Corte che ha precisato che “se i termini dei periodi di caccia sono modificabili, non lo sono, invece, le relative durate, che non possono essere superiori a quelle stabilite, e che, comunque, non possono essere estese all’intera stagione venatoria”».

Queste disposizioni perseguono l’obiettivo della tutela delle specie animali «a cui — scrive la Corte costituzionale — deve essere assicurato un adeguato periodo di tranquillità per la nidificazione e la riproduzione, così da garantirne la conservazione» e trovano fondamento «nell’art. 7 della direttiva 2009/147/CE e nel principio di conservazione delle specie ivi declinato, per cui è esclusa la cacciabilità degli uccelli selvatici durante la stagione riproduttiva».

Insomma, il continuo tentativo da parte delle Regioni di abbassare, peraltro senza valide e coerenti motivazioni, gli standard di tutela delle specie selvatiche stabiliti con la legislazione e nazionale, ha trovato un altro sbarramento nella Consulta.

 

Fabio Modesti